Per una fede capace di plasmare la vita: gli affetti.

A. Brano biblico (1 Cor 13, 1-13) 2
Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e im- perfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ra- gionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!

B. Dall’Amoris lætitia (86-88. 143-145. 148. 150-152)3

  • 86. Con intima gioia e profonda consolazione, la Chiesa guarda alle famiglie che restano fedeli agli insegnamenti del Vangelo, ringraziandole e incoraggiandole per la te- stimonianza che offrono. Grazie ad esse, infatti, è resa credibile la bellezza del matrimonio indissolubile e fedele per sempre. Nella famiglia, “che si potrebbe chia- mare Chiesa domestica”, matura la prima esperienza ec- clesiale della comunione tra persone, in cui si riflette, per grazia, il mistero della Santa Trinità. “È qui che si ap- prende la fatica e la gioia del lavoro, l’amore fraterno, il perdono generoso, sempre rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso la preghiera e l’offerta della propria vita”.
  • 87. La Chiesa è famiglia di famiglie, costantemente arricchita dalla vita di tutte le Chiese domestiche. Pertanto, “in virtù del sacramento del matrimonio ogni famiglia diventa a tutti gli effetti un bene per la Chiesa. In questa prospettiva sarà certamente un dono prezioso, per l’oggi della Chiesa, considerare anche la reciprocità tra famiglia e Chiesa: la Chiesa è un bene per la famiglia, la famiglia è un bene per la Chiesa. La custodia del dono sacramentale del Si- gnore coinvolge non solo la singola famiglia, ma la stessa comunità cristiana“.
  • 88. L’amore vissuto nelle famiglie è una forza permanente per la vita della Chiesa. “Il fine unitivo del matrimonio è un co- stante richiamo al crescere e all’approfondirsi di questo amore. Nella loro unione di amore gli sposi sperimentano la bellezza della paternità e della maternità; condividono i progetti e le fatiche, i desideri e le preoccupazioni; imparano la cura reciproca e il perdono vicendevole. In questo amore celebrano i loro momenti felici e si sostengono nei passaggi difficili della loro storia di vita. La bellezza del dono reciproco e gratuito, la gioia per la vita che nasce e la cura amorevole di tutti i membri, dai piccoli agli anziani, sono alcuni dei frutti che rendono unica e in- sostituibile la risposta alla vocazione della famiglia “, tanto per la Chiesa quanto per l’intera società.
  • 143. Desideri, sentimenti, emozioni, quello che i classici chia- mavano “passioni”, occupano un posto importante nel matrimonio. Si generano quando un “altro” si fa presente e si manifesta nella propria vita. È proprio di ogni essere vivente tendere verso un’altra realtà, e questa tendenza presenta sempre segni affettivi basilari: il piacere o il dolore, la gioia o la pena, la tenerezza o il timore. Sono il presupposto dell’attività psicologica più elementare. L’essere umano è un vivente di questa terra e tutto quello che fa e cerca è carico di passioni.
  • 144. Gesù, come vero uomo, viveva le cose con una carica di emotività. Perciò lo addolorava il rifiuto di Gerusalemme (cf Mt 23, 37) e questa situazione gli faceva versare lacrime (cf Lc 19, 41). Ugualmente provava compassione di fronte alla sofferenza della gente (cf Mc 6, 34). Vedendo piangere gli altri si commuoveva e si turbava (cf Gv 11, 33), ed Egli stesso pianse la morte di un amico (cf Gv 11, 35). Queste manifestazioni della sua sensibilità mostravano fino a che punto il suo cuore umano era aperto agli altri.
  • 145. Provare un’emozione non è qualcosa di moralmente buono o cattivo per sé stesso. Incominciare a provare desiderio o rifiuto non è peccaminoso né riprovevole. Quello che è bene o male è l’atto che uno compie spinto o accompagnato da una passione. Ma se i sentimenti sono alimentati, ricercati e a causa di essi commettiamo cattive azioni, il male sta nella decisione di alimentarli e negli atti cattivi che ne conseguono. Sulla stessa linea, provare piacere per qualcuno non è di per sé un bene. Se con tale piacere io faccio in modo che quella persona diventi mia schiava, il sentimento sarà al servizio del mio egoismo. Credere che siamo buoni solo perché “proviamo dei sentimenti” è un tremendo inganno. Ci sono persone che si sentono capaci di un grande amore solo perché hanno una grande necessità di affetto, però non sono in grado di lottare per la felicità degli altri e vivono rinchiusi nei propri desideri. In tal caso i sentimenti distolgono dai grandi valori e na- scondono un egocentrismo che non rende possibile col- tivare una vita in famiglia sana e felice.
  • 148. L’educazione dell’emotività e dell’istinto è necessaria, e a tal fine a volte è indispensabile porsi qualche limite. L’ec- cesso, la mancanza di controllo, l’ossessione per un solo tipo di piaceri, finiscono per debilitare e far ammalare lo stesso piacere, e danneggiano la vita della famiglia. In realtà si può compiere un bel cammino con le passioni, il che significa orientarle sempre più in un progetto di auto- donazione e di piena realizzazione di sé che arricchisce le relazioni interpersonali in seno alla famiglia. Non implica rinunciare ad istanti di intensa gioia, ma assumerli in un intreccio con altri momenti di generosa dedizione, di spe- ranza paziente, di inevitabile stanchezza, di sforzo per un ideale. La vita in famiglia è tutto questo e merita di essere vissuta interamente.
  • 150. Tutto questo ci porta a parlare della vita sessuale dei coniugi. Dio stesso ha creato la sessualità, che è un regalo meraviglioso per le sue creature. Quando la si coltiva e si evita che manchi di controllo, è per impedire che si verifichi “l’impoverimento di un valore autentico”. San Giovanni Paolo II ha respinto l’idea che l’insegnamento della Chiesa porti a “una negazione del valore del sesso umano” o che semplicemente lo tolleri “per la necessità stessa della procreazione”. Il bisogno sessuale degli sposi non è oggetto di disprezzo e “non si tratta in alcun modo di mettere in questione quel bisogno”.
  • 151. A coloro che temono che con l’educazione delle passioni e della sessualità si pregiudichi la spontaneità dell’amore sessuato, san Giovanni Paolo II rispondeva che l’essere umano è “ chiamato alla piena e matura spontaneità dei rapporti”, che “è il graduale frutto del discernimento degli impulsi del proprio cuor “. È qualcosa che si conquista, dal momento che ogni essere umano “deve con perseveranza e coerenza imparare che cosa è il significato del corpo”. La sessualità non è una risorsa per gratificare o intrattenere, dal momento che è un linguaggio interpersonale dove l’altro è preso sul serio, con il suo sacro e inviolabile valore. In tal modo “il cuore umano diviene partecipe, per così dire, di un’altra spontaneità”. In questo contesto, l’erotismo appare come manifestazione specificamente umana della sessualità. In esso si può ritrovare “il significato sponsale del corpo e l’autentica dignità del dono”. Nelle sue catechesi sulla teologia del corpo umano, san Giovanni Paolo II ha insegnato che la corporeità sessuata “è non soltanto sorgente di fecondità e di procreazione”, ma possiede “la capacità di esprimere l’amore: quell’amore appunto nel quale l’uomo-persona diventa dono”. L’erotismo più sano, sebbene sia unito a una ricerca di piacere, presuppone lo stupore, e perciò può umanizzare gli impulsi.
  • 152. Pertanto, in nessun modo possiamo intendere la dimensione erotica dell’amore come un male permesso o come un peso da sopportare per il bene della famiglia, bensì come dono di Dio che abbellisce l’incontro tra gli sposi. Trattandosi di una passione sublimata dall’amore che ammira la dignità dell’altro, diventa una “piena e limpidissima affermazione d’amore” che ci mostra di quali meraviglie è capace il cuore umano, e così per un momento “si percepisce che l’esistenza umana è stata un successo”.

C. Domande

  1. Le nostre comunità sono capaci di un annuncio evangelico che tocca la vita delle persone nella dimensione degli af- fetti?
  2. Mai come oggi l’amore è fragile. Nel nostro territorio quali sono le fragilità emergenti in questo ambito?
  3. Quali sono le iniziative che la Chiesa mette in atto nel nostro territorio per “evangelizzare gli affetti” nelle differenti stagioni e stati di vita delle persone?
  4. Come le nostre comunità stanno recependo il rinnovamento della pastorale familiare alla luce dell’Amoris lætitia?

D. Bibliografia

  • CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, “La verità vi farà liberi “. Catechismo degli adulti (cap. 27), Roma 1995.
  • CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia. Nota pastorale (n. 9), Roma 2004.
  • CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Lettera ai cercatori di Dio (I, 2: Amori e fallimenti), Roma 2009.