Trevi, festa di sant’Emiliano. L’Arcivescovo Boccardo: «Come cristiani saremo testimoni credibili solo se non ci adeguiamo alla moda del momento».

Trevi ha reso omaggio al suo patrono sant’Emiliano. Nella mattina di venerdì 28 gennaio 2021 l’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo ha presieduto il solenne pontificale nel Duomo della Città intitolato proprio al martire originario dell’Armenia. Emiliano, ricordiamo, fu inviato Vescovo a Trevi per evangelizzare la popolazione. Il 28 gennaio 304, dopo varie torture, fu legato ad un pianta di olivo e decapitato perché non rinnegò la fede in Cristo.

Alla celebrazione, animata dalla corale delle parrocchie del trevano, hanno partecipato diversi fedeli, tutti distanziarti nel rispetto delle norme per evitare la diffusione del Coronavirus. Col Presule hanno concelebrato i parroci di Trevi don Jozef Gercàk e don Kamil Ragan, il vicario generale dell’Archidiocesi don Sem Fioretti, il vicario episcopale per una pastorale missionaria don Vito Stramaccia, altri sacerdoti diocesani. Presente il sindaco Bernardino Sperandio, che ha offerto l’olio per alimentare la fiaccola accesa tutto l’anno a ricordo della testimonianza di sant’Emiliano.

Nell’omelia mons. Boccardo ha ricordato la fedeltà di sant’Emiliano al Vangelo fino a dare la vita. «Anche a noi – ha detto il presule – è chiesta la stessa fedeltà; forse non ci è chiesto di dare la vita, anche se ancora oggi molti cristiani vengono uccisi per la loro fede, ma di andare e predicare la Buona Novella sì. Come? Con lo stile della vita quotidiana: oggi – ha sottolineato l’Arcivescovo – siamo immersi in un mare di parole, sono tanti quelli predicano, ci sono tati messaggi che sono solo di facciata. E allora noi cristiani, senza fare grandi discorsi, possiamo essere dei testimoni credibili solo se non ci adeguiamo alla moda del momento, al pensiero della maggioranza pur di non perdere la nostra posizione. Altrimenti saremo dei cristiani all’acqua di rosa». Poi l’appello di mons. Boccardo alle famiglie, a quanti hanno responsabilità civili ed ecclesiali e a quanti lavorano nel mondo dell’informazione: «Impegniamoci seriamente e senza riserve per trasmettere agli altri la passione di essere genitore, sindaco, vescovo o prete, deputato o giornalista. La nostra è una missione e non solo un mestiere. Siamo chiamati a metterci il cuore, dobbiamo essere di esempio per gli altri i quali, osservando la nostra passione, dovrebbero scendere dal balcone per vedere cosa succede in piazza e poi fare ognuno la propria parte. Sant’Emiliano allora ci provoca: mettiamo testa e cuore nelle nostre giornate, consapevoli che a volte sperimenteremo il fallimento, ma l’importante è ricominciare sempre, come ci dice il Papa».

Perugia: “L’alba arriverà”. La lettera del cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti alla comunità diocesana in occasione della festa del Santo Patrono Costanzo. Il presule: «Festeggeremo senza “luminarie” né fasti esteriori, ma con gesti silenziosi di carità e con l’intimità della preghiera».

Ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi, alle consacrate, a tutti i fedeli di Cristo dell’Archidiocesi di Perugia-Città della Pieve

Quando vi scrissi l’ultima lettera, il 30 ottobre, giorno del mio ricovero in Ospedale, avevo chiara l’intuizione che quella sarebbe potuta essere la mia ultima comunicazione con voi, su questa terra.

Vi ricordo soltanto un passaggio: «Vorrei che in questo periodo di così grave sofferenza non sentissimo la croce come un peso insopportabile ma come una croce gloriosa. Perché la Sua dolce presenza e la Sua carezza nell’Eucarestia fanno sì che le braccia della croce diventino due ali che ci portano a Gesù» (era l’immagine di don Tonino Bello).

Quasi avvertivo che, umanamente parlando, difficilmente avrei superato la prova… Come ho avuto modo di comunicarvi, ciò che mi pesava di più, se non ce l’avessi fatta, erano quelle occasioni di fare del bene che, in 78 anni di vita, non sempre avevo saputo accogliere.

Non vi nego che, per continuare la mia “partita” con voi, ho chiesto al Signore i tempi supplementari…

Con le preghiere di tante persone e comunità, e non solo della nostra Chiesa, delle quali mi sento davvero debitore, il Signore ha accolto la mia supplica.

Cari amici, stiamo attraversando un lungo periodo di sofferenza e smarrimento, che sembra non avere termine. Nessuno è in grado di dirci a che punto siamo della notte, anche se abbiamo salda la speranza che l’alba arriverà.

Vedo famiglie sempre più preoccupate e inquiete: «Cosa darò da mangiare ai miei figli?». Vedo ragazzi e giovani che si stanno caricando, inconsapevolmente, il peso sociale più gravoso di questa pandemia: questi giovani stanno rinunciando alla loro giovinezza, alla loro spensieratezza, al loro dinamismo.

Di fronte a tutto questo, cosa ha da dirvi o da darvi il vostro Vescovo?

Vi invito tutti a prendere in mano il Vangelo, a sostare come Maria di Betania ai piedi del Maestro, per ascoltare le sue parole, per meditarle nel cuore, o semplicemente guardarle con gli occhi della fede, nella gioiosa consapevolezza che Lui ci precede sempre con lo sguardo e l’amore.

Se nella meditazione prevale la ricerca amorosa della verità, nella contemplazione si ha il godimento amoroso della verità trovata. Se, da una parte, raccontiamo al Padre quello che Gesù ha fatto per noi, dall’altra raccontiamo a noi stessi i suoi gesti e le sue parole, per poter camminare sulle sue orme.

Questo è ciò che hanno fatto anche i nostri Patroni, in particolare san Costanzo, padre e in qualche modo fondatore spirituale della nostra Archidiocesi, per la quale ha dato la vita: una vita già spesa nella preghiera e nell’impegno pastorale, nell’ascolto e nella sequela della Parola. Quest’anno è così che lo festeggeremo, senza “luminarie” né fasti esteriori, ma con gesti silenziosi di carità e con l’intimità della preghiera, chiedendogli una particolare forza di intercessione per le difficoltà che stiamo attraversando.

Ricordo quando, 53 anni fa, ero vicario cooperatore nella bellissima chiesa abbaziale di San Salvi a Firenze, e una anziana signora, senza misurare il tempo, dopo la Messa si immergeva nella preghiera. In parrocchia non c’era povero o malato che non la conoscesse. Mentre era assorta il suo volto sembrava trasfigurarsi.

Quando Mosè scese dal monte Sinai, dopo aver conversato con Dio, lui non lo sapeva, ma la sua pelle era diventata raggiante. Ogni discepolo che, in modo autentico, sale il monte della contemplazione della Parola e dell’Eucarestia, ne discende luminoso, anche senza saperlo: ritorna felice tra la gente, ritorna impegnato ad essere riflesso di questa presenza di amore con l’accoglienza e il servizio.

Ecco allora il mio augurio, miei cari amici: diventate raggianti di Parola di Dio e di Eucarestia!

Gualtiero Card. Bassetti

Gli Oratori Umbri e la tavola rotonda online ANSPI nel giorno della festa di san Giovanni Bosco. Don Riccardo Pascolini: «Gli Oratori tra i protagonisti della “ricostruzione sociale” post-pandemia».

«Le nostre realtà oratoriali non mancheranno all’appuntamento nazionale online della festa di san Giovanni Bosco che quest’anno assume un significato molto particolare nel tempo della pandemia. Ci ritroveremo in “rete”, domenica sera 31 gennaio, dalle ore 20.45 alle 22.30, per seguire l’interessante “tavola rotonda online” dedicata al tema: “Oratorio 2030. Sguardi di futuro, tra realtà e profezia”». Ad annunciarlo è don Riccardo Pascolini, responsabile del Coordinamento Oratori Umbri promosso dalla CEU a cui hanno aderito nel 2020 89 Oratori parrocchiali attivi nelle otto diocesi con 12596 tesserati, di cui 5306 maggiorenni e 7290 minorenni.

«La “festa online di san Giovanni Bosco 2021”, organizzata a livello nazionale dall’Anspi (Associazione nazionale san Paolo Italia) è da non perdere soprattutto per gli animatori e i responsabili dei nostri Oratori – commenta don Riccardo Pascolini –, che potranno viverla come occasione di formazione. Tanti saranno gli spunti di riflessione per poi approfondirli e metterli in pratica insieme una volta finita l’emergenza sanitaria».

«Stiamo vivendo un periodo difficilissimo – prosegue il sacerdote –, soprattutto per le famiglie e per i giovani e il mondo degli Oratori è chiamato a fare la sua parte, ad essere tra i protagonisti della “ricostruzione sociale” post-pandemia. E’ una sfida alla quale gli Oratori si dovranno trovare preparati per ripartire. E noi iniziamo a farlo nel seguire questa “tavola rotonda”, un incontro virtuale ma significativo. I relatori ci aiuteranno a comprendere quella “realtà” e quella “profezia” alla luce del “patto educativo globale” tanto a cuore a papa Francesco. Un “patto” che il Santo Padre ci chiede di metterlo in pratica per i nostri giovani, gli adulti di domani, nel decennio che si è appena aperto dinanzi a noi con tante incognite non solo dovute alla pandemia. La nostra epoca “impone un nuovo modello culturale, una pedagogia trasformatrice che risponda e sfide inedite”. E’ quanto, in sintesi, ci esorta a fare il Papa attraverso questo “patto educativo”».

«E’ fondamentale essere ben formati affinché, come ci ricordano i promotori dell’iniziativa online di domenica – conclude don Riccardo Pascolini –, i prossimi anni dei nostri Oratori possano essere all’insegna di un maggiore impegno per un’educazione integrale e di un orientamento alla vita che ha sempre più necessità di ascoltare i tempi e il contesto che influenzano i sogni e le vocazioni di quanti vivono a vario titolo l’esperienza oratoriale».

Per partecipare alla “tavola rotonda online” basta iscriversi al link: https://formazione.anspi.it/ . Interverranno: l’arcivescovo Angelo Vincenzo Zani, segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica, che illustrerà il “patto educativo globale”; don Stefano Guidi, direttore Fom (Fondazione oratori milanesi), che solleciterà alcune pratiche concrete spendibili in oratorio, per rendere tale patto un’effettiva cura di prossimità per ragazzi e famiglie; il salesiano don Claudio Belfiore, direttore dell’Istituto internazionale salesiano “Agnelli” di Torino, che riproporrà una pedagogia salesiana incarnata e attualizzata nei contesti di vita giovanili; don Michele Falabretti, incaricato Cei per la Pastorale Giovanile, che illustrerà alcune prospettive pastorali ed educative in ascolto dei documenti sinodali e in conformità con il “patto globale”; don Luigi Pellegrini, assistente nazionale Anspi, che aiuterà a rileggere il “patto educativo” nel contesto associativo; Giuseppe Dessì, presidente nazionale Anspi, che porterà i saluti dell’associazione.

Assisi – Giorno della memoria. Mons. Sorrentino: “Costruite un futuro senza odio”

“Noi siamo qui a rendere una testimonianza. Siamo eredi di una grande pagina di storia che è veramente ricca di tanti valori. Vorremmo consegnarla soprattutto a voi nuove generazioni perché il futuro è vostro, lo avete davanti. Il futuro è di tutti, ma voi in modo particolare lo dovete costruire mettendo da parte sentimenti di odio e intolleranza”. Lo ha detto il vescovo della diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino, monsignor Domenico Sorrentino mercoledì 27 gennaio Giorno della Memoria durante il primo incontro in diretta streaming delle iniziative “Assisi e l’Umbria ricordano la Shoah” rivolgendosi in particolare ai tanti studenti delle scuole primarie e secondarie collegati online.

L’incontro, moderato da Marina Rosati, responsabile del “Museo della Memoria, Assisi 1943-1944”, si è aperto con la messa in onda del documentario sul “Museo della Memoria, Assisi 1943-1944”, realizzato da Maria Vision. Il sindaco di Assisi, Stefania Proietti, ricordando i luoghi dove “tutto ebbe inizio per volere di un vescovo (monsignor Placido Nicolini ndr) che seppe violare delle leggi perché ingiuste”, ha lanciato un forte monito: “la tragedia dell’Olocausto deve essere ricordata come uno schiaffo alle nostre coscienze”.

Il direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale, Antonella Iunti ha sottolineato l’importanza di “lavorare insieme affinché i ragazzi siano sempre più aperti alle differenze, non facendosi condizionare da forme di intolleranza, razzismo, antisemitismo”. Riferendosi al Museo della Memoria il direttore Iunti ha parlato di un “percorso e di un progetto didattico-educativo importante per costruire coscienze e realtà valoriali”.

Sono seguite le conclusioni della presidente della Regione, Donatella Tesei: “una data importante che va condivisa perché ci sia la consapevolezza di ciò che è stato e perché ciò che è accaduto in quel periodo storico non possa più ripetersi”. Direttamente da Gerusalemme si è collegato il rabbino, Alon Goshen-Gottstein, che ha fatto una riflessione sulla memoria e sulla sua necessità di renderla attuale e viva nel nostro presente.

Nel pomeriggio di mercoledì 27 gennaio alle ore 16,30 ci sarà la presentazione del libro-racconto “Il Castelletto” scritto da una bambina ebrea, Mjriam Viterbi, rifugiata e salvata in Assisi negli anni della persecuzione nazista del 1943-1944 con i saluti del vescovo Sorrentino e di Marco Squarta, presidente dell’Assemblea legislativa della Regione Umbria. Interverranno Claudio Sebastiani, responsabile della sede Ansa dell’Umbria e Marina Rosati, responsabile del “Museo della Memoria, Assisi 1943-1944”. A conclusione canti ebraici eseguiti dal soprano Laura Cannelli con l’accompagnamento musicale del vescovo Sorrentino e di Fausto Perticoni.

Giovedì 28 gennaio alle ore 16,30 è in programma la testimonianza di Francesco Clerici dal titolo: “Io figlio di un rifugiato, nato in una clausura assisana” che racconterà la sua toccante esperienza. L’incontro, al quale interverranno le suore del Monastero di Santa Croce dove la famiglia Clerici venne accolta e salvata, sarà aperto dai saluti di Stefania Proietti, sindaco di Assisi e di Daniela Fanelli, direttrice dell’Opera Casa Papa Giovanni.

Tutti questi eventi si terranno in diretta streaming e saranno visibili sul sito (www.diocesiassisi.it) e sui canali social (pagina Facebook e You Tube) della Diocesi, la pagina Facebook del Museo della Memoria e del Comune di Assisi.

Città di Castello – presentazione dei lavori di restauro del santuario della Madonna delle Grazie

Lunedì 1 febbraio 2021, alle ore 11, presso il santuario della Madonna delle Grazie in Città di Castello si terrà una conferenza stampa per la presentazione del progetto di restauro della cappella laterale e l’illustrazione dello stato di avanzamento dei lavori.

Interverranno: S.E. Mons. Domenico Cancian, vescovo diocesano; don Andrea Czortek, parroco; arch. Francesco Rosi e ing. Alessandro Petrani, progettisti; Vincenzo Tofanelli, assessore alla cultura del Comune di Città di Castello.

I lavori, approvati dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria e parzialmente finanziati dalla Conferenza Episcopale Italiana, hanno preso avvio nello scorso settembre e sono portati avanti dalla Diocesi di Città di Castello e dalla Parrocchia di Santa Maria delle Grazie.

Il progetto, che verrà illustrato nel corso della conferenza stampa, prevede il miglioramento sismico, l’adeguamento e il potenziamento degli impianti tecnologici, il restauro degli elementi artistici (affreschi e sculture) interni ed esterni e l’adeguamento liturgico di uno degli edifici sacri maggiormente legati alla storia – ecclesiale, civile e artistica – di Città di Castello.

Spirito di Assisi – preghiera per gli Stati Uniti e per l’Africa

“L’intenzione di preghiera per la pace del 27 gennaio è dedicata agli Stati Uniti d’America dove l’assalto al Palazzo del Congresso, denota la tensione sociale e politica che il Paese sta vivendo e che rischia di innescare ulteriori disordini e proteste violente, e all’Africa, in particolare alla Repubblica Centrafricana, alla Nigeria, all’Uganda, al Niger. Nazioni che sono state attraversate da tensioni dovute a situazioni sociali interne, ad attacchi terroristici, a elezioni politiche dal confronto aspro”. Lo annuncia il presidente della Commissione Spirito di Assisi, don Tonio Dell’Olio. L’appuntamento, voluto dal vescovo della diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino, monsignor Domenico Sorrentino e che ricorda lo storico incontro interreligioso del 27 ottobre del 1986 ad Assisi, si ripete con cadenza mensile.

“L’anno nuovo – scrive il vescovo nell’invito alla preghiera – si è inaugurato nel segno delle cifre allarmanti della pandemia, che ancora mette a dura prova tutte le regioni del mondo. Ci ha portato anche segnali concreti di speranza, con i rimedi medici che dovrebbero aiutarci a fronteggiarla, almeno nella sua espressione sanitaria. Supplichiamo il Signore perché ci faccia superare questa tremenda crisi, in una solidarietà universale che non lasci dietro nessuno. Su questo sfondo, già tanto triste, abbiamo visto esplodere, in diversi Paesi, fenomeni di aggressività e di violenza, che ci amareggiano e preoccupano, e ci spingono ad elevare al Signore la nostra preghiera. Tutti siamo stati impressionati dalle immagini dell’assalto al Palazzo del Congresso degli Stati Uniti d’America – aggiunge il vescovo -, segno della tensione sociale e politica che quel Paese sta vivendo e che rischia di innescare ulteriori disordini e proteste violente. Sappiamo bene quanto lo stato di quella democrazia condizioni le sorti di tante altre nazioni. Per questo vogliamo mettere nelle mani di Dio il popolo statunitense e i suoi governanti perché possano camminare nella via della giustizia e della pace. Allo stesso tempo, sin dall’inizio dell’anno, alcune nazioni africane sono state attraversate da tensioni dovute a situazioni sociali interne, ad attacchi terroristici, a elezioni politiche dal confronto aspro. Pensiamo in particolare alla Repubblica Centrafricana, alla Nigeria, all’Uganda, al Niger. Chiediamo a Dio di accompagnare, nella sua misericordia, il cammino instabile e difficile di quelle popolazioni verso una pace giusta, convertendo il cuore dei violenti e orientando i governanti ad adoperarsi per il bene del loro popolo”. Per la preghiera infatti non è previsto un momento comune, ma ognuno prega per queste intenzione con la propria comunità o rivolgendosi personalmente a Dio, nella celebrazione eucaristica in chiesa o secondo la propria tradizione religiosa nel caso di appartenenti ad altre religioni, proprio come abbiamo imparato da quel 27 ottobre 1986.

Perugia – è tornato alla Casa del Padre don Lino Burani, per quasi mezzo secolo parroco di Pierantonio. Il suo confratello mons. Renzo Piccioni Pignani: «Don Lino, un “semplice” parroco di campagna che ha amato e si è fatto amare dalla gente»

E’ ritornato alla Casa del Padre, dopo una grave e lunga malattia, la sera del 23 gennaio, don Lino Burani, parroco emerito di Pierantonio, Sant’Orfeto e La Bruna. Ad esprimere il profondo cordoglio ai familiari, a nome dell’intero Presbiterio diocesano di Perugia-Città della Pieve, è stato il cardinale Gualtiero Bassetti recandosi a far loro visita. Le esequie saranno celebrate lunedì 25 gennaio, alle ore 14, nell’abbazia di Montecorona, presiedute dal vescovo ausiliare mons. Marco Salvi insieme al vicario episcopale della IV Zona pastorale dell’Archidiocesi, mons. Alberto Veschini, ai parroci di Pierantonio, don Mauro Lironi, e di Badia di Montecorona, mons. Renzo Piccioni Pignani, e ad altri sacerdoti.

Don Lino Burani avrebbe compiuto 88 anni il prossimo 19 febbraio, nato a Deruta nel 1933. Era stato ordinato sacerdote il 12 febbraio 1959 dopo aver compiuto gli studi presso il Pontificio Seminario Regionale “Pio IX” di Assisi. Nel 1962 veniva nominato parroco di Pierantonio, comunità parrocchiale che ha guidato ininterrottamente fino al 2009, dove ha continuato a vivere restando punto di riferimento spirituale per molte persone.

«Era un “semplice” parroco di campagna come me, che ha amato e si è fatto amare dalla gente – così lo ricorda il suo confratello mons. Piccioni Pignani –, benvoluto e stimato dai parrocchiani guidandoli e facendoli crescere nella fede per quasi mezzo secolo. Don Lino ha contribuito allo sviluppo sociale, oltre che pastorale, della sua comunità e zone limitrofe; una comunità che ha vissuto, in particolare tra gli anni ’70 e 80, una consistente espansione industriale. Ricordo don Lino – prosegue mons. Piccioni Pignani – anche quando c’era da unire le comunità parrocchiali a lui affidate; un compito arduo ma non impossibile seppur lo preoccupava molto, come accadeva a tanti noi preti con la responsabilità di più parrocchie. Era attento alla crescita umana e cristiana dei giovani, non sempre facile nelle zone di periferia».

«Don Lino, che si è ben integrato sin da subito a Pierantonio – conclude mons. Renzo Piccioni Pignani – è stato anche l’artefice di significativi interventi di consolidamento strutturale e funzionalità del complesso della chiesa parrocchiale, oltre ad essere soprattutto un curato di “pietre vive”. Conoscendolo avrebbe fatto la sua parte anche nell’aiutare la gente ad affrontare la crisi economica ed occupazionale che ha avuto pesanti ripercussioni nella nostra zona industriale, ma purtroppo l’età era ormai avanzata e a don Lino le forze iniziarono a venir meno».

Perugia – festa di San Costanzo, patrono della città e dell’Archidiocesi, al tempo del Covid-19. Celebrazioni religiose ridotte all’essenziale nel rispetto delle norme sanitarie, ma non i «segni di speranza» compiuti da credenti e uomini di buona volontà

Da sempre vissuta come evento che rinsalda i legami storico-sociali e culturali della Perugia civile e religiosa, la festa del Santo patrono Costanzo, vescovo e martire del II secondo, fondatore della comunità cristiana perugina, quest’anno, a seguito della pandemia, si svolgerà, sempre il 28 e il 29 gennaio, ma in forma ridotta. Non si terranno la tradizionale e suggestiva processione della “luminaria” per le vie della città e alcune iniziative sociali e culturali.

Il triduo “Nel deserto, segno di speranza”. A precedere la festa sarà il triduo di preparazione (25-26-27 gennaio, ore 17) nella basilica di San Costanzo dedicato ad un tema molto attuale: “Nel deserto, segni di speranza”. «Con il “deserto” – spiega mons. Pietro Ortica, parroco di San Costanzo – identifichiamo la precaria situazione che stiamo vivendo a livello sanitario, sociale, economico…, ma anche interiore e spirituale, dovuta alle necessarie rinunce del momento. Per affrontarle al meglio siamo invitati anche a riflettere e a pregare durante i tre pomeriggi di adorazione eucaristica meditata che ci accompagnano nel cammino di preparazione alla festa in onore del nostro Patrono, esempio di atroci sofferenze fino alla rinuncia della propria vita per la fede in Cristo».

Segni concreti di speranza. Le meditazioni saranno incentrare sul tema scelto e tenute da tre giovani sacerdoti diocesani: don Antonio Paoletti, don Alessandro Scarda e don Alessio Fifi. «Ci aiuteranno a riflettere soprattutto sui segni di speranza – sottolinea don Pietro – che cogliamo in ospedale o in casa attraverso l’attenzione dell’operatore sanitario nel curare con amore e professionalità il malato, anche nell’accarezzarlo e nel tendergli la mano con il sorriso in modo da incoraggiarlo, da non farlo sentire solo nell’affrontare la prova della malattia. Segni di speranza li cogliamo anche nel sociale – aggiunge il parroco di San Costanzo –, quando tante famiglie non riescono più a pagare l’affitto, le utenze domestiche, le spese scolastiche dei figli, le cure mediche non previste dal Servizio sanitario nazionale. In questi casi c’è la Caritas e i suoi operatori e volontari che animano diverse opere e progetti portati avanti grazie alla generosità-solidarietà di tanti benefattori. Basti pensare che solo nella nostra comunità parrocchiale sono stati raccolti più di diecimila euro a sostegno della recente campagna Caritas “Adotta un affitto”. San Costanzo – conclude don Pietro – possa aprirci ancor più il cuore a questi segni di speranza per la nostra umanità e per la crescita della nostra fede».

I Primi Vespri con i doni-simbolo della città al Patrono. Giovedì 28 gennaio (alle ore 18), nella basilica di San Costanzo, si terrà la celebrazione dei Primi Vespri presieduta dal cardinale Gualtiero Bassetti alla presenza del sindaco Andrea Romizi e di una delegazione di non più di trenta persone in rappresentanza delle Istituzioni civili e religiose di Perugia, a seguito delle norme sanitarie per il contenimento del contagio da Covid-19. Durante la celebrazione, davanti all’urna con le reliquie del Santo, sarà rinnovata l’offerta dei doni-simbolo dell’antico legame della città al suo Patrono: il cero, da parte del sindaco, segno della disponibilità degli amministratori pubblici ad essere attenti ai bisogni dei più deboli e indifesi e a promuovere con onestà e saggezza ciò che giova al bene comune; la corona d’alloro, da parte della polizia municipale, segno di devozione e testimonianza di dedizione al bene comune attraverso l’azione di ordine pubblico, che mira alla pace e alla concordia; il torcolo (dolce tipico della festa a ricordo del martirio di Costanzo), da parte degli artigiani, segno di quanti si impegnano ogni giorno a migliorare le condizioni dei lavoratori e per tutti coloro che, con il loro lavoro, contribuiscono alla prosperità della comunità; del vinsanto, da parte di due giovani sposi, perché vivendo la fedeltà, la fecondità e l’attenzione ai piccoli e ai poveri, siano segno dell’amore infinito che lega Dio al suo popolo, e la famiglia sia fondamento del vivere sociale; l’incenso, da parte del Consiglio pastorale parrocchiale di San Costanzo, segno della forza della fede nell’annuncio del Vangelo sull’esempio del martire perché conceda alla Chiesa diocesana di crescere nella santità.

Il programma del giorno della festa del Patrono. Venerdì 29 gennaio, giorno della festa liturgica del vescovo e martire Costanzo, si terranno tre celebrazioni eucaristiche nella basilica intitolata al Patrono (ore 8, 10 e 11.30), dove saranno ammessi ogni volta non più di 30 fedeli e al termine il luogo di culto resterà chiuso per permettere la necessaria sanificazione. La celebrazione eucaristica delle 11.30 sarà presieduta dal vescovo ausiliare mons. Marco Salvi. Nel pomeriggio (ore 15-18) ci sarà la possibilità di un percorso guidato per un atto di devozione alle reliquie del Santo esposte sull’altare. Le celebrazioni in onore di san Costanzo culmineranno nella cattedrale di San Lorenzo, nel tardo pomeriggio (ore 18), con la solenne celebrazione eucaristica presieduta dal cardinale Bassetti alla presenza dei rappresentanti delle Istituzioni civili e religiose del capoluogo umbro (in cattedrale possono accedere 300 fedeli).

Perugia: l’omelia del cardinale Gualtiero Bassetti pronunciata alla celebrazione eucaristica della festa liturgica del Santo patrono dei giornalisti, nella cattedrale di San Lorenzo

Cari fratelli e sorelle,
cari giornalisti,

oggi celebriamo l’Eucaristia nel giorno della festa liturgica di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti e degli operatori dei media. A causa della pandemia siamo stati costretti ad annullare l’annuale incontro con la stampa. Un incontro che, però, oggi rinnoviamo in una forma diversa, forse meno conviviale, ma sicuramente più profonda: stringendoci in preghiera attorno alla figura di un grande santo del Cinquecento che seppe fare del dialogo un eccezionale strumento di testimonianza cristiana e di evangelizzazione.

Alla sfrontatezza della polemica, san Francesco di Sales seppe contrapporre la mitezza del confronto. Alla battuta tagliente seppe sostituire la parola amorevole. Attraverso un dialogo incessante e una dolcezza infinita, che non barattò mai con l’annuncio del Cristo, riuscì a raggiungere le persone più lontane dalla Chiesa. E con l’uso dei manifesti, infine, seppe parlare a tutti. Ecco perché, dal 1923, san Francesco di Sales è conosciuto e venerato come il patrono dei giornalisti e di quanti diffondono la verità servendosi dei mezzi di comunicazione.

Mai come oggi il tema della verità è al centro della discussione pubblica e dell’attenzione pastorale. Secondo alcuni studiosi l’epoca attuale è addirittura caratterizzata dal fenomeno della post-verità. Una verità, cioè, che non corrisponde più con la realtà fattuale delle cose ma è legata, invece, a sensazioni ed emozioni: le proprie convinzioni personali, oggi, sembrano avere più importanza del reale svolgimento dei fatti. Un racconto ben fatto, ben costruito, e che va incontro ai gusti, ai desideri e alle convinzioni del pubblico, può addirittura sostituirsi alla verità ed essere ugualmente creduto come vero. Si tratta, come capite, di una questione di grande rilevanza.

La liturgia della parola di questa domenica, non casualmente, ci propone due episodi in cui si annuncia la verità. Nel primo caso è Giona che svolge la sua missione nella città di Ninive. Una città che il profeta Naum definisce come una “città sanguinaria, piena di menzogne, colma di rapine, che non cessa di depredare”. Giona cammina per un giorno intero per Ninive predicando la conversione del cuore. I cittadini credono alle parole del profeta, cessano la loro condotta malvagia e Dio risparmia Ninive non distruggendola. Nel secondo caso è Gesù che in Galilea fa la sua prima predica e proclama la buona Novella. Andrea e Simone, Giacomo e Giovanni sono i frutti di quella predicazione: abbandonano tutto e seguono Gesù che li fa diventare pescatori di uomini.

“Il regno di Dio è vicino convertitevi e credete al Vangelo”: sono queste le parole del figlio di Dio che risuonano come vere anche al mondo di oggi. Un mondo individualista ed edonista che assomiglia, nella sua dimensione esistenziale, alla città di Ninive. Ma che in più è attraversato da una pandemia terribile che non solo uccide migliaia di persone, ma rompe relazioni umane, attacca la famiglia, distrugge il lavoro. Nella nostra società, che come Ninive è “piena di menzogne” ed è “colma di rapine”, si è abbattuta una piaga sanitaria e sociale prodotta dal virus. Un virus che solo gli scienziati con il loro microscopio riescono a vedere e che, proprio per questo, qualcuno, in modo irresponsabile, ne arriva a mettere in discussione addirittura l’esistenza.

Si tratta in realtà di un morbo che attacca i più deboli e i più fragili e che sta sconquassando il nostro tessuto sociale e anche le nostre comunità ecclesiali. Dobbiamo fare di tutto per combatterlo. Con la virtù della prudenza, prima di tutto. Con la vaccinazione, come ha sottolineato Francesco, perché è “una scelta etica”. E anche con un racconto degli eventi vero e credibile, senza lasciarsi ammaliare da narrazioni complottistiche o negazioniste.

Per poter raccontare la “verità della vita che si fa storia”, scrive Francesco nel messaggio per la giornata mondiale delle comunicazioni sociali, occorre “mettersi in movimento, andare a vedere, stare con le persone, ascoltarle, raccogliere le suggestioni della realtà”. Occorre, in altre parole, “consumare le suole delle scarpe” come hanno fatto Giona e Gesù, per camminare in lungo e in largo per le nostre città, i nostri villaggi e raccontare i fatti mettendo in evidenza sia le difficoltà dei “fenomeni sociali più gravi” e sia le “energie positive che si sprigionano dalla base della società”. È opportuno cioè andare sul posto, vedere quello che accade e raccontarlo con obiettività. Perché, come scrive Francesco, “vieni e vedi” è il modo con cui “la fede cristiana si è comunicata, a partire da quei primi incontri sulle rive del fiume Giordano e del lago di Galilea”.

Cari fratelli e sorelle, il mio pensiero dal più profondo del cuore, in questo momento va a tutti coloro che stanno soffrendo per la perdita dei loro cari – nostra diocesi, per via del morbo, ha perso tre sacerdoti -, per tutti coloro che si trovano in ospedale e, infine, per le famiglie che si sono spezzate, o sono entrate in crisi a causa di questa pandemia. Un pensiero paterno lo rivolgo inoltre a tutti i ragazzi. In particolar modo agli adolescenti che vivono un’età di transizione, di crescita personale delicata e fondamentale per la loro vita, ma che sono costretti a viverla chiusi in casa, senza poter stabilire le normali relazioni sociali. C’è troppo silenzio su questi ragazzi e ragazze che si stanno caricando, inconsapevolmente, il peso sociale più gravoso di questa pandemia: questi giovani stanno rinunciando alla loro giovinezza, alla loro spensieratezza, al loro dinamismo.

Cari ragazzi mi rivolgo a voi, e vi esorto a dare un senso alle vostre rinunce. Anche se obbligatorie, e quindi impopolari, sono un gesto d’amore verso i più deboli, i più fragili, i più anziani. Sono rinunce che fate per amore dei vostri nonni, dei vostri vecchi, dei vostri disabili. San Francesco di Sales quando fondò l’ordine femminile insieme a Giovanna de Chantal disse che bisogna avere «confidenza in Dio» e compiere «seri sforzi dell’uomo». Tenete a mente queste parole: state facendo uno sforzo grande, ma abbiate fede in Dio come l’hanno avuto i discepoli. Seguite Gesù e farete cose grandi nella vostra vita.

Gualtiero Card. Bassetti
Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve

Foligno – omelia del card. Giuseppe Betori per la festa di San Feliciano 2021

La Chiesa di Foligno celebra oggi l’evangelizzatore che ha annunciato nelle nostre terre la fede in Gesù, il testimone di Cristo a lui fedele fino all’effusione del sangue.
Le letture bibliche che abbiamo ascoltato illuminano questa identità. San Feliciano è «messaggero che annuncia la pace… messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza» (Is 52,7). Nella sua parola e nel suo agire ha mostrato ai nostri padri che «Dio è per noi» (Rm 8,31b), e così ci ha introdotti nell’esperienza dell’«amore di Dio, che è in Cristo Gesù» (Rm 8,39. Nella certezza che nessuno «ci separerà dall’amore di Cristo» (Rm 8,35), il nostro santo non ha avuto «paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l’anima» (Mt 10,28), e ha riconosciuto Gesù «davanti agli uomini», così che ora è da lui glorificato «nei cieli» (Mt 10,32), “gemma dei martiri”.
Le parole del libro di Isaia descrivono la missione di un evangelizzatore. Per gli Ebrei esuli in Babilonia si annuncia un rivolgimento del mondo: Ciro, il re persiano, sta per abbattere l’impero babilonese. Il profeta legge la storia e vi scorge le ragioni di una speranza nuova. Dio stesso è all’opera nelle vicende degli uomini, così che «il ritorno» del popolo di Dio in patria diventa possibile e Sion, Gerusalemme, la città santa potrà essere riedificata. Dio «regna»: è lui il Re, «il Signore» della storia.
Anche il tempo di san Feliciano registra i segni di un cambiamento epocale. Per l’Impero romano, alla metà del III secolo d.C., si preannunciano instabilità del potere, crollo delle antiche istituzioni civili, perdita di credibilità del mondo religioso pagano, corruzione crescente, popoli nuovi che irrompono minacciosamente sulla scena del mondo. Continuano le persecuzione dei cristiani, a cui alcuni, come Feliciano, rispondono con fedeltà e perseveranza, mentre altri vengono meno, ma per la Chiesa sta per giungere un’età nuova, non meno problematica: si stanno per aprire spazi di libertà e, con essi, anche le insidie dell’essere coinvolti nell’esercizio del potere.
Il nostro pure è un mondo che cambia. Lo è nei processi sempre più espansivi di globalizzazione economica, in cui i più deboli rischiano di rimanere schiacciati da ingranaggi di produzione e di consumo anonimi, spersonalizzati e spersonalizzanti. Idee, parole e immagini viaggiano e si mescolano velocemente tra noi, e l’impatto fa oscillare tra il conflitto delle civiltà, le chiusure xenofobe e razziste, la confusione delle opinioni, la rinuncia al confronto con la verità. La pace è continuamente minacciata. L’immagine stessa dell’uomo è posta in discussione dall’arroganza di una tecnica che pretende di essere misura a se stessa.
Tutto questo, negli ultimi mesi, è stato ed è attraversato dalla pandemia, che ha messo in luce la precarietà del nostro rapporto con il mondo della natura, la fragilità della condizione umana minacciata dalla morte, l’intreccio delle esistenze dei singoli e dei popoli nel male come nel bene. Gli stessi percorsi di cura non sono esenti da pericoli. Occorre vigilanza per contrastare le derive eugenetiche nascoste nella proposta di una gestione delle risorse che misuri l’intervento sanitario in base all’età e all’avere maggiori probabilità di trarne beneficio. Qualcuno vuole forse convincerci che si debba pensare prima ai più forti e poi, se ce n’è, ai più deboli? E questo a riguardo di popoli, ceti sociali e singole persone?
Qual è il «lieto annuncio» che i cristiani debbono oggi offrire al mondo? Come san Feliciano, dobbiamo proclamare una parola di verità, che possa ridare speranza, perché in grado di sconfiggere le tenebre della ragione lasciata a sé stessa e di abbattere le chiusure dei cuori induriti dai risorgenti egoismi. Dobbiamo tornare a essere evangelizzatori. Dire il Vangelo oggi: questa è la missione che il Signore ci affida. È il Vangelo della dignità della persona umana, della famiglia come luogo dell’amore, dell’ecologia integrale, della fraternità sociale. Sono i grandi temi del magistero di Papa Francesco, che debbono illuminare il nostro pensiero e guidare il nostro agire.
A questo magistero occorre fare riferimento nel delineare il volto delle nostre comunità di fede, superando ogni tentazione di arroccamento in difesa di forme che vanno sbiadendo e accettando di metterci in gioco nel confronto con la storia, come suggerisce la ripetuta esortazione del Papa a essere una “Chiesa in uscita”, con la precisa identità che viene dalla contemplazione del volto di Cristo, come invitò a fare cinque anni fa a Firenze, indicandoci in Gesù i sentimenti dell’umiltà, del disinteresse e della beatitudine.
San Feliciano, il santo martire, ci ricorda che la nostra appartenenza a Cristo non può che essere totale, con la radicalità del testimone pronto a mettere in gioco la vita. E questo perché la totalità del dono, fino all’annientamento di sé, fa parte della logica cristiana, in quanto riflesso dell’immagine di sé che ci ha offerto Gesù.
Questa immagine di Gesù è quella che incontriamo nelle Sacre Scritture. Ricordiamolo oggi, domenica che il Papa ci chiede sia dedicata a rafforzare in noi la coscienza dell’importanza e del valore della Parola di Dio per la vita cristiana. Frequentare con assiduità le pagine della Bibbia è indispensabile per condividere una corretta immagine di Dio e della sua volontà d’amore per l’umanità.
San Paolo, san Feliciano, i cristiani annunciano un Dio che si fa povero per arricchirci, si fa debole per risanarci, si annienta per edificarci. La nostra gloria è infatti la croce e il nostro annuncio è che Dio ci ha tanto amati fino a dare il suo Figlio per noi. Tale è l’amore di Dio per l’uomo, da morire per lui; e tale è l’amore del Padre per il suo Figlio, da vincere la morte e risuscitare lui e tutti noi, suoi fratelli, a vita nuova.
Da questo fatto impensabile che è la risurrezione, realmente accaduto duemila anni fa, scaturisce la possibilità di un mondo nuovo, nel segno della giustizia, della riconciliazione, dell’amore. Per questo fatto incommensurabile san Feliciano ritenne di dover mettere in gioco la propria esistenza. Di questo dobbiamo farci «sentinelle» che «alzano la voce», «esultano», cantano «di gioia» (Is 52,8.9).
Questo è il Vangelo per il quale San Feliciano ha ritenuto di dover vivere e di dover morire. Sia anche la nostra vita.

Giuseppe card. BETORI