Perugia – la Domenica di Pasqua celebrata dall’arcivescovo Ivan Maffeis con la popolazione colpita dal terremoto del 9 marzo.

Tanti i volti di giovani e adulti segnati dalle lacrime e dalla commozione la Domenica di Pasqua, per la casa che non c’è più, per il lavoro divenuto ancora più precario a seguito del terremoto, che, esattamente un mese fa, il 9 marzo, ha messo a dura prova i centri abitati dell’Alta Umbria, al confine tra i comuni di Perugia ed Umbertide. È il clima che ha avvolto le comunità di Pierantonio e Sant’Orfeto nel giorno della festa più importante della cristianità, la Risurrezione del Signore. Ed è per questo che l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Ivan Maffeis ha voluto celebrare la Pasqua con la popolazione ferita dal recente sisma. È ritornato domenica mattina 9 aprile a Sant’Orfeto dove ha celebrato l’Eucaristia pasquale insieme al parroco dell’Unità pastorale di Pierantonio-Sant’Orfeto, don Anton Sascau, alla presenza di numerosi fedeli e dei rappresentanti delle Istituzioni civili locali, il sindaco e vice sindaco di Umbertide, Luca Carizia e Annalisa Mierla.

Affrontare insieme le difficoltà. Il primo cittadino, nel ringraziare l’arcivescovo per l’attenzione e la vicinanza avute sin da subito per la popolazione, ha fatto sue le parole di mons. Maffeis, riguardo alla ricostruzione materiale e del tessuto sociale. “Bisogna essere fiduciosi per il futuro e stare insieme, perché, ha ragione l’arcivescovo – ha detto il sindaco –, tutti quanti insieme ce la faremo sicuramente”.

“Grazie a tutti coloro che aiutano la comunità a non disperdersi in questo memento in cui – ha commentato l’arcivescovo – sarebbe davvero il pericolo più grande. Affrontiamo insieme questo momento anche con la fiducia nella misura in cui saremo davvero insieme, Istituzioni civili e religiose, realtà sociali, produttive e famiglie. Non posso promettervi chissà che cosa, se non una presenza che cercherà di essere settimanale. Stiamo cercando anche con l’aiuto della Chiesa italiana, oltre che come Diocesi, di riaprire le chiese perché è un segno importante per i credenti e per i non, affinché questa terra torni presto a vivere in pienezza come comunità e come famiglie”.

Il dono della vita di Cristo porti un riflesso di luce. Mons. Maffeis nell’omelia ha ricordato che “la liturgia di Pasqua ci assicura che il Crocifisso è risorto e noi preghiamo perché questa comunità risorga, si rialzi. La risurrezione può sembrare la cosa più lontana, più assurda, eppure, se guardiamo nel nostro cuore, c’è una domanda di vita che chiede l’eternità. Sento che la nostra vita non è come se fossero tante foglie che un colpo di vento, un colpo di terremoto, può spazzare via. Questa fiducia l’abbiano nel cuore e la Chiesa, nel giorno di Pasqua, la proclama dicendo che nel Signore Gesù c’è la Luce anche per attraversare questo momento di buio, di pesantezza. In Cristo – ha proseguito l’arcivescovo – c’è la chiave per decifrare il mistero che è nella vita di ciascuno di noi. È un mistero tante volte di sofferenza e di resa, che cerca un po’ di luce, di pace che in Lui questa luce e questa pace c’è data. Cristo conosce la sofferenza, la solitudine”, perché “certi momenti neri della vita li ha vissuti anche Lui arrivando a gridare: ‘Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?’. Chiediamo che il dono della sua vita, della sua pace porti davvero un riflesso di luce, di vita in questa comunità, in questi paesi duramente provati. La Pasqua ci dice che la vita di ciascuno di noi, dal più piccolo al più anziano, è sacra, è preziosa e va difesa e tutelata”.

Terni – celebrazione della Pasqua di Resurrezione nella concattedrale di Narni. Mons. Soddu: “Il Risorto, come fu per la Maddalena e gli apostoli, dischiuse e spalancò la nuova pagina di una esistenza impensabile”

Celebrata la Pasqua di Risurrezione, il 9 aprile, nella Cattedrale di Narni dal vescovo Francesco Antonio Soddu. La Risurrezione del Signore è per i cristiani il giorno della nuova creazione: in Cristo fiorisce la vera vita e la speranza.
All’inizio della celebrazione con il rito dell’aspersione con l’acqua lustrale, benedetta nella veglia pasquale è stata fatta memoria del Battesimo, per mezzo del quale siamo stati immersi nella morte redentrice del Signore per risorgere con lui alla vita nuova.
«Questo è il nuovo giorno – ha detto il vescovo nell’omelia – il giorno senza tramonto, che coinvolge l’intera creazione e la riconsegna salvata al Padre. Rallegriamoci pertanto per tutto questo. Non possiamo non farlo se nelle ricerche affannate della nostra vita non avremo individuato la meta e incontrato il Risorto il quale, come fu per la Maddalena e gli apostoli, dischiuse e spalancò la nuova pagina di una esistenza impensabile, inimmaginabile: questo è il giorno che ha fatto il Signore. In questo giorno, in questa nuova creazione, come fu per l’origine del modo, il Signore dà innanzitutto la luce, ma non più semplicemente come elemento fisico, Egli da sé stesso Luce del mondo. Il Signore è la luce che vince le tenebre. Egli è la luce che illumina e dà il senso all’esistente; Egli è la luce che riscalda le fredde giornate della vita; disgela e scalda il cuore delle persone, dalle quali fa rinascere la primavera di un mondo nuovo.».
«È un giorno nuovo che non si pone semplicemente come rinnovamento, quasi una sorta di manutenzione dei giorni precedenti, passati e vecchi, quanto piuttosto l’inizio di un’autentica rinascita. Non si tratta di un’aggiunta artificiosa al calendario annuale o settimanale ma è la novità assoluta, la pienezza della vita nel nostro tempo. Spetta a noi farne tesoro ed impegnarlo esistenzialmente nell’agenda del tempo che ci è dato da vivere. La Risurrezione di Gesù invade amorevolmente la nostra vita mediante il sacramento del Battesimo, entra nella nostra povera esistenza come la luce del nuovo giorno. Attraverso di esso, per mezzo del quale siamo anche risorti, ci viene regalato il saldo di un debito incalcolabile, quello causato dal nostro peccato e che nessuno al mondo sarebbe mai stato in grado di assolvere e ripagare. Immersi nella morte e risurrezione di Cristo viviamo nel tempo orientati alle cose del cielo per poterle, attraverso la vita nuova, inserire e far germogliare nella storia, che comunque procede ed anela ad essere vivificata attraverso la presenza del Risorto nella esistenza di quanti si affidano a lui».

 

L’OMELIA DEL VESCOVO

Spoleto – Pasqua di Risurrezione. Mons. Renato Boccardo: «Dovremo prenderci cura dell’altro senza sapere bene dove questo ci porterà: lo capiremo strada facendo, e soprattutto guardando negli occhi chi di quella cura ha bisogno»

“Cristo è risorto! È veramente risorto!” Questo augurio nella giornata di domenica 9 aprile 2023, solennità di Pasqua, è risuonato in tutte le chiese del mondo: non è solo una professione di fede, ma anche e soprattutto un impegno di vita. A Spoleto l’arcivescovo Renato Boccardo ha presieduto alle 9.00 la Messa all’Hospice “La torre sul colle” di Spoleto, portando così la carezza della Chiesa a quanti sono segnati dalla sofferenza fisica, e alle 11.30 il solenne pontificale in una Basilica Cattedrale piena di fedeli. «Siate tutti benvenuti», ha detto loro il Presule. «Saluto i tanti spoletini presenti e anche i numerosi turisti che sono qui per ammirare le bellezze della nostra Città». Era presente anche il vice sindaco di Spoleto Stefano Lisci. La liturgia è stata animata dalla corale della Pievania diretta da Loretta Carlini, con all’organo Angelo Rosati. Il servizio all’altare è stato curato dai seminaristi della Diocesi e dai ministranti, coordinati dal cerimoniere arcivescovile don Pier Luigi Morlino.

La celebrazione. La Pasqua di Risurrezione è il culmine della Settimana Santa e mons. Boccardo ha presieduto in Duomo le varie liturgie che hanno scandito questi giorni: la Messa Crismale con tutti i sacerdoti della Diocesi nel pomeriggio di mercoledì 4 aprile; la Messa in Coena Domini giovedì 6 aprile; l’Azione liturgica del Venerdì Santo il 7 aprile; la via Crucis la sera del 7 al Giro della Rocca con arrivo in Cattedrale: le riflessioni alle singole stazioni sono state scritte dai detenuti, dai loro familiari, dal persone del Carcere di Spoleto e dai volontari Caritas che svolgono servizio alla Casa circondariale; la Veglia Pasquale la notte di sabato 8 aprile con l’amministrazione del Battesimo, della Confermazione e dell’Eucaristia ad un uomo adulto, Bernard. E all’avvio dell’omelia del giorno di Pasqua l’Arcivescovo ha proprio sottolineato come «ciò che riviviamo oggi non è estraneo a ciò che abbiamo rivissuto nei giorni scorsi. Ne è piuttosto la prosecuzione, il frutto. La resurrezione infatti non è la rivincita sulla morte, ma lo svelamento della salvezza procurata da quella morte: l’amore infinito vissuto da Gesù con i suoi discepoli nel Cenacolo, quando aveva lavato loro i piedi e offerto il suo corpo e il suo sangue, e l’amore infinito confermato sulla croce, ora appare in tutta la sua potenza di vita. Perché l’amore, quando è autentico, genera vita».

Abbiamo bisogno delle energie del Risorto. Mons. Boccardo, poi, si è chiesto se ha un senso celebrare la Pasqua del Signore quando il modo è lacerato da guerre o quando abbiamo ancora negli occhi e nel cuore le immagini strazianti viste sulla spiaggia di Cutro? «Ha senso – ha affermato l’Arcivescovo – perché, mai come in questo momento, avvertiamo il bisogno di una pace che viene dall’alto, proprio come la vita del Risorto. Mai come in questo frangente ci rendiamo conto che noi esseri umani siamo troppo piccoli per fare da soli, che abbiamo bisogno delle energie del Risorto, della sua vita, del dono della sua presenza in mezzo a noi». Poi, l’invito del Presule ai presenti ad avere cura dell’altro. «Prendersi cura – ha detto – significa agire responsabilmente laddove vediamo il male all’opera; e dovremo farlo spesso senza sapere bene dove questo ci porterà: lo capiremo strada facendo, e soprattutto guardando negli occhi chi di quella cura ha bisogno, come anche chi di quel male è causa. La fiducia nella parola folle della resurrezione dice fede in Colui che crediamo ospite delle nostre miserie e medico delle nostre malattie. Egli, sceso negli inferi che noi esseri umani non smettiamo mai di creare, proprio lì, al fondo del non-senso, ripete sommessamente il suo annuncio pasquale».

Perugia: Celebrata, in una gremita cattedrale di San Lorenzo, la Veglia pasquale. L’arcivescovo Ivan Maffeis ai fedeli: “Vivete un battesimo senza naftalina”

“Grazie a Sofia, Omar, Kamel, Eleonora, Henok e Milad: la loro scelta di ricevere il battesimo per vivere da cristiani diventa un forte richiamo per noi, che il battesimo l’abbiamo ricevuto tanti anni fa e forse l’abbiamo conservato in naftalina, come succede con certe tovaglie, talmente belle che finiscono per restare in un cassettone, inutilizzate, sempre in attesa dell’occasione buona… Da questi giovani ci viene un salutare scossone a far nostra un’esistenza pasquale, che profuma per ogni gesto d’amore, di compassione, di solidarietà, di servizio, di preghiera, di perdono e di tenerezza di cui la sappiamo arricchire”. Così l’arcivescovo Ivan Maffeis a conclusione dell’omelia, intitolata “Un battesimo senza naftalina” (testo integrale al link: https://diocesi.perugia.it/wd-document/8-aprile-2023-veglia-pasquale/), pronunciata alla Veglia pasquale, l’8 aprile, nella cattedrale di San Lorenzo di Perugia, dove per le sue mani hanno ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana sei giovani al termine del catecumenato.

I riti della Veglia. La liturgia battesimale è stato uno dei riti caratterizzanti la Veglia pasquale, “la madre di tutte le celebrazioni cristiane”, come l’ha definita mons. Maffeis, insieme alla benedizione del fuoco, all’accensione del cero pasquale e alla benedizione dell’acqua immergendo il cero nel fonte battesimale.

Una cattedrale gremita. È stata una Veglia pasquale molto partecipata, la prima presieduta dall’arcivescovo Maffeis dopo la sua ordinazione episcopale dello scorso 11 settembre, che ha visto concelebranti mons. Fausto Sciurpa, arciprete della cattedrale, don Calogero Di Leo, parroco del centro storico, don Fabrizio Crocioni, parroco dell’Unità pastorale di Prepo, e don Mauro Angelini, rettore della chiesa del Gesù. Ad animare la liturgia è stato il canonico sacrista don Luca Bartocci assieme ai seminaristi diocesani e la corale Laurenzia che, al termine, ha intonato l’Hallelujah dal “Messiah” di Hadel, accompagnata all’organo dal maestro Adriano Falcioni. Tra i numerosi fedeli, le comunità Neocatecumenali perugine con le vesti bianche, che hanno terminato il loro cammino, e non pochi turisti, che in questi giorni di festa soggiornano nel capoluogo umbro, gremendo la cattedrale sin dal pomeriggio del Sabato Santo per visitarla ma anche per confessarsi. Ai confessionali non si vedevano tanti fedeli in fila da prima della pandemia. Un ritorno alla fede praticata?

Rinascere nuove creature. Una cosa è certa, rivivere il battesimo per ciascun cristiano nella Veglia pasquale, è rinascere “nuove creature, che nel pane della Parola e nel pane dell’Eucaristia trovano la forza di ‘camminare in una vita nuova’”, ha evidenziato, nell’omelia, mons. Maffeis. Riflettendo sulla “notizia sconvolgente di un evento che riapre tutti i giochi”, la risurrezione di Cristo, questa, ha commentato l’arcivescovo, “diventa la chiave di lettura di tutto. Nel buio che ci avvolge, Lui è la luce, come abbiamo cantato accogliendo il simbolo del cero; in Lui le pagine della Sacra Scrittura che abbiamo meditato trovano pienezza e ci coinvolgono nelle grandi opere che Dio ha compiuto per il suo popolo, per la Chiesa, per l’intera umanità”.

Attesa che trova compimento nel Cristo. Mons. Maffeis, prima ancora, ha richiamato i fedeli all’annuncio che “Gesù Crocifisso è risorto dai morti’; un annuncio, ha precisato, “non facile né da comprendere né da esprimere a parole, tanto è sorprendente. Eppure, è un annuncio che incontra la domanda più forte che ci portiamo dentro: come scrive Nietzsche, ‘ogni desiderio reclama eternità, profonda eternità’. Sì, ‘tutta la vita chiede l’eternità’. Più che una speranza, è una necessità, diversamente, la vita resterebbe un conto che non torna, un’incompiuta”. Al riguardo l’arcivescovo ha raccontato la sua esperienza vissuta il mattino del Venerdì Santo (7 aprile) all’Hospice di Perugia, dove, ha raccolto “questa urgenza nella voce spezzata di una donna, nei giorni scorsi è morto il fratello. Nello smarrimento che la morte porta con sé, questa donna avvertiva con chiarezza che suo fratello non poteva essere stato semplicemente cancellato, quasi fossimo foglie che il vento del tempo o della malattia disperde… Questa attesa trova compimento nel Cristo”.

Assisi – veglia pasquale. Mons. Sorrentino: “Non scoraggiamoci di fronte alle disgrazie del mondo, Cristo risorto è con noi”

“La Pasqua di risurrezione è speranza che rimane salda tra le miserie della nostra esistenza. Ognuno di noi, guardando alle proprie fragilità, di spirito e di corpo, potrebbe essere tentato di scoraggiamento. Gesù risorto viene a dirci: non ti scoraggiare, io sono con te. Ognuno di noi, osservando il mondo così provato da guerre, da squilibri ecologici, da disuguaglianze che rendono così ingiusta la ripartizione della ricchezza e così disumana la vita di tanti fratelli e sorelle, sarebbe tentato di pessimismo e dire: non se ne uscirà mai. E invece il Risorto viene a dirci: riprovaci. Riprovateci insieme, con la mia parola e la mia forza. Io sono con voi”. È questo uno dei passaggi centrali dell’omelia pronunciata dal vescovo delle diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino e di Foligno, monsignor Domenico Sorrentino, nel corso della veglia pasquale celebrata sabato 8 aprile, nella cattedrale di San Rufino ad Assisi. In una chiesa gremita, anche per la presenza dei parenti di alcuni adulti che hanno ricevuto il Battesimo, monsignor Sorrentino ha invitato a vivere “la Pasqua come un nuovo sguardo che trae forza dallo sguardo del Risorto. Niente, certo, è automatico: siamo chiamati a fare la nostra parte. Ma sentire Cristo Risorto in mezzo a noi è il segreto per fare cose belle e grandi, che le nostre forze umane non potrebbero realizzare”.

OMELIA VEGLIA PASQUALE ASSISI 2023
Alleluia! Davvero alleluia! Rallegriamoci e lodiamo il Signore, cari fratelli e sorelle!
Che tristezza se tutto fosse finito il venerdì santo! E invece no. E non soltanto come accade in tanti funerali di persone care delle quali si dice: “rimarrai sempre nei nostri cuori”. No. La risurrezione di Cristo è un’altra cosa. Non è nemmeno la semplice risurrezione del corpo, come ad esempio quella sperimentata da Lazzaro ad opera di Gesù. No. La risurrezione di Gesù è il passaggio a una nuova vita, in cui il corpo è trasfigurato secondo criteri misteriosi che lo sottraggono ai limiti di una biologia che inevitabilmente invecchia e perisce, e diventa un corpo glorioso, pienamente abitato e condotto dalla forza dello Spirito di Dio.

Cari fratelli e sorelle, questo mistero sfida la ragione. È tuttavia il mistero sul quale è fondata la nostra fede. Quando tra poco alcuni adulti riceveranno il battesimo, a loro verrà richiesto di accogliere questa verità ed anzi di farne la roccia della loro vita. Come infatti abbiamo ascoltato da San Paolo, il battesimo ci immerge nell’ acqua, per esprimere il nostro morire al peccato, e ci fa risalire da essa, per indicare che risorgiamo con Gesù a nuova vita.
La risurrezione di Gesù è un mistero. Esso è però ben radicato nella storia, come è stata vissuta dai primi testimoni. I vangeli si industriano a raccontarci lo svolgimento dei fatti, con particolari che possono variare a seconda di come la memoria e la lettura degli eventi si sono sviluppate nel tempo e nei diversi contesti narrativi, ma tutti convergono in questa notizia – shock: la tomba di Gesù, la mattina di Pasqua, è stata trovata vuota. A trovarla vuota furono le donne che ne diedero il primo annuncio. Fu poi il Risorto stesso, in diversi momenti e modi, a farsi vedere dai suoi discepoli.
Ci possiamo fidare di quanto ci raccontano? A rendere credibili le loro testimonianze, basti pensare che questi narratori erano gli stessi che poche ore prima erano stati sconvolti dalla passione di Cristo e si erano dileguati. Il Risorto li sorprende nel cenacolo a porte chiuse per paura. Uno di loro, Tommaso, non crederà che dopo aver toccato la carne di Cristo. E che non si tratti di un’invenzione, lo dice il fatto che, dopo la morte di Gesù, tutto era diventato più difficile per i suoi discepoli. Niente li avrebbe spinti a inventare un racconto che li metteva ancora più in difficoltà e li candidava al martirio. Avrebbero potuto cavarsela con molto meno, dicendo che il messaggio di Gesù restava vivo. E invece sono costretti dall’evidenza a scegliere la via più difficile: annunciare che Gesù stesso era vivo, e rimane vivo per sempre. La risurrezione di Gesù è così il fondamento della nostra fede in lui, al punto che, secondo le parole dell’Apostolo Paolo, anch’egli testimone del Risorto sulla via di Damasco, se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede (1Cor 15,14).
Sì, noi siamo qui in questa notte santa a dire che la risurrezione di Gesù è la vera sconfitta della morte. In Gesù Risorto il mondo ritrova il suo significato originario, oscurato dal peccato. Per questo nella veglia che abbiamo fatto, le letture bibliche partivano da molto lontano, dalla creazione stessa del mondo, e ci hanno poi riassunto le principali tappe attraverso le quali Dio si è fatto a noi vicino, per rifare l’alleanza originaria e renderla anzi nuova, più bella e più grande, facendo della morte e risurrezione di Gesù il suo approdo e il suo vertice, la “nuova ed eterna” alleanza.
In Gesù l’armonia del mondo è ricomposta. L’oscurità è vinta, come ci ha spiegato il simbolo della luce e del fuoco nuovo. Con la Pasqua un’ondata traboccante dello Spirito di Dio si è riversata nella storia, perché chiunque confessi il nome di Gesù e si aggrappi a lui possa ritrovare un nuovo senso per la sua vita, ponendosi sulla via dell’eternità, ma anche ritrovando una nuova bussola per la sua umanità.
La Pasqua di risurrezione è speranza che rimane salda tra le miserie della nostra esistenza. Ognuno di noi, guardando alle proprie fragilità, di spirito e di corpo, potrebbe essere tentato di scoraggiamento. Gesù risorto viene a dirci: non ti scoraggiare, io sono con te. Ognuno di noi, osservando il mondo così provato da guerre, da squilibri ecologici, da disuguaglianze che rendono così ingiusta la ripartizione della ricchezza e così disumana la vita di tanti fratelli e sorelle, sarebbe tentato di pessimismo e dire: non se ne uscirà mai. E invece il Risorto viene a dirci: riprovaci. Riprovateci insieme, con la mia parola e la mia forza. Io sono con voi.

Vogliamo pertanto vivere la Pasqua come un nuovo sguardo che trae forza dallo sguardo del Risorto. Niente, certo, è automatico: siamo chiamati a fare la nostra parte. Ma sentire Cristo Risorto in mezzo a noi è il segreto per fare cose belle e grandi, che le nostre forze umane non potrebbero realizzare.

Non è questo che dimostra la nostra Assisi? Qui la forza della risurrezione di Gesù ha tracciato nuove vie di speranza. Che cosa è stata, se non una risurrezione, la conversione di Francesco, che ne fece un uomo tutto di Dio e dei poveri? Che cosa è stata, se non una risurrezione, la scelta di Chiara di seguirne le orme sulla via del Vangelo? E che cosa è oggi il volto sorridente del beato Carlo Acutis, che sta attraendo giovani da tutte le parti del mondo, se non l’esplosione della vita di Gesù Risorto in un ragazzo morto ad appena quindici anni?

Davanti a cose come queste, non c’è che da cantare l’alleluia della gioia e rinnovare la nostra fede, come due millenni di storia ce l’hanno trasmessa: sì, Cristo è risorto, è davvero risorto. E dunque noi possiamo risorgere con lui a vita nuova. È questa la Pasqua che ci auguriamo e vogliamo vivere fino in fondo. Ne facciamo un augurio di pace per i tanti fratelli e sorelle che stanno morendo tra le armi e sotto le bombe anche in questi giorni santi. A tutti, proprio a tutti, buona Pasqua!

Terni – Pasqua 2023 – celebrazione della veglia nella cattedrale di Terni. Mons. Soddu: “La resurrezione di Gesù che ci viene donata, la vita nuova, che è la vita in Dio, il cui sapore e bellezza l’assapora solo chi ha un cuore nuovo”

Celebrata la veglia pasquale nella Cattedrale di Terni con la suggestiva liturgia, presieduta dal vescovo Francesco Antonio Soddu, iniziata sul sagrato della chiesa con la benedizione del fuoco nuovo e con l’accensione del cero pasquale che è stato decorato dalle suore Clarisse di Terni. Il cero è stato portato in processione lungo la navata centrale della cattedrale al canto del Lumen Christi.
È seguita la liturgia della parola con le letture dell’Antico Testamento e del Vangelo e quindi la liturgia battesimale con la benedizione dell’acqua del fonte battesimale, il rinnovo delle promesse battesimali e l’aspersione dell’assemblea. Con l’acqua del fonte battesimale è stata battezzata una giovane donna Rachel, che insieme ad altri sei adulti, ha terminato il percorso del catecumenato, sotto la guida di don Pio Scipioni, ed hanno ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana, dell’Eucarestia e della Confermazione.
«E’ un momento carico di emozione quello che viviamo nella veglia pasquale – ha detto il vescovo – radunati nel cuore della notte per rivivere e incontrare il Signore risorto, questa realtà fondamentale della nostra fede è per l’umanità intera e quindi per ciascuno di noi il dono essenziale in forza del quale, liberati dal peccato, abbiamo l’opportunità di vivere in Cristo Gesù come figli di Dio. La solennità della veglia pasquale ci pone dei segni per rendere evidente quanto il Signore attraverso la passione e morte del suo figlio ha voluto dare all’umanità. Manifestare la potenza dell’amore di Dio, significare attraverso dei gesti che sono il riversarsi dell’amore di Dio nel mondo di sempre. La resurrezione di Gesù che ci viene donata, la vita nuova che è la vita in Dio, il cui sapore e bellezza l’assapora solo chi ha un cuore nuovo. Non si può sovrapporre un dono così nuovo in una situazione di antichità. Ascoltare Gesù non le altre voci che partono da un cuore non rinnovato che sono farfugliate e che non hanno a che fare niente con la vita nuova che Dio ci dà, quella del battezzato di colui che partecipa di Cristo. Non è possibile l’amore senza passare attraverso la donazione».

Perugia: Celebrata la Messa Crismale in cattedrale. L’omelia dell’arcivescovo Ivan Maffeis: “Anche noi presbiteri siamo farina del sacco comune, con le nostre povertà, le nostre miopie e contraddizioni”

“A distanza di quasi sette mesi sento profonda gratitudine per questa Chiesa di Perugia-Città della Pieve, la nostra Chiesa, per la disponibilità cordiale con cui mi avete accolto”. Così l’arcivescovo Ivan Maffeis all’omelia della sua prima Messa Crismale da pastore della Chiesa perugino-pievese (ha ricevuto l’ordinazione episcopale lo scorso 11 settembre), pronunciata il pomeriggio del Mercoledì Santo, 5 aprile, nella cattedrale di San Lorenzo, davanti al suo predecessore, il cardinale Gualtiero Bassetti, al Clero diocesano e a numerosi fedeli provenienti dalle sette Zone pastorali dell’Archidiocesi, insieme a tanti ragazzi e ragazze che nel corso dell’anno riceveranno il sacramento della Cresima.

La storia di ogni vocazione. Al momento della consacrazione degli olii, monsignor Maffeis ha voluto accanto a sé questi fanciulli e, nell’omelia, soffermandosi sulla “storia di ogni vocazione”, che “è essenzialmente un compimento del battesimo”, ha sottolineato che “anche noi presbiteri siamo farina del sacco comune, con le nostre povertà, le nostre miopie e contraddizioni, il ritrovarci esposti al pericolo di lasciar smorzare il fuoco del primo amore… È fuoco che si rianima con la frequentazione della Parola, la celebrazione eucaristica, il silenzio dell’adorazione, il perdono sacramentale. Perché tutto ciò non si riduca a pratiche religiose, ma possa alimentare una vita spirituale, ci è chiesto – per usare l’immagine che accompagna quest’anno sinodale – di assumere lo stare di Maria ai piedi del Signore, imparando a deporre quell’attivismo che trasforma la vita in una fuga, in un nascondimento, in una maschera…”.

La ricchezza della celebrazione. Mons. Maffeis ha parlata di “celebrazione così ricca”, perché è quella, oltre della consacrazione dell’olio crismale – utilizzato nei sacramenti del Battesimo e della Cresima e nelle ordinazioni presbiterali ed episcopali – e degli olii dei catecumeni e per l’unzione degli infermi, i sacerdoti insieme al vescovo diocesano rinnovano le promesse della loro ordinazione.

La natura sacerdotale del popolo. Nell’omelia – il cui testo integrale, insieme alla fotogallery della Messa crismale, è scaricabile dal sito della diocesi rinnovato nei contenuti e nella veste grafica (https://diocesi.perugia.it/celebrata-la-messa-crismale/) – Maffeis ha raccolto tre pensieri rivolti in particolare ai presbiteri, ma, come lo stesso presule ha commentato, “nelle intenzioni vorrebbero raggiungere il cuore di tutti”. E avviandosi alla conclusione ha ringraziato il Signore “per la natura sacerdotale dell’intero popolo di Dio, al quale apparteniamo, alla cui crescita è orientata la nostra vocazione e con il quale deve diventare sempre più intesa la corresponsabilità”.

Segni di una cultura della legalità. L’arcivescovo si è anche soffermato sulla provenienza di parte dell’olio che ha consacrato, “donato dalla nostra Polizia di Stato – ha precisato –. Proviene dagli olivi coltivati nel Giardino della Memoria, a pochi passi dallo svincolo autostradale di Capaci, luogo della strage mafiosa in cui morirono il giudice Falcone, la moglie e gli uomini della scorta. È inoltre profumato con l’essenza del bergamotto, offertoci dal Vescovo di Locri – Gerace con un augurio di pace e di speranza per tutti. Sono segni che ci impegnano a far la nostra parte per una cultura della legalità”.

L’indirizzo di saluto del vicario generale. Don Simone Sorbaioli, vicario generale, nel suo indirizzo di saluto all’inizio della celebrazione, ha espresso a nome di tutto il Presbiterio diocesano la gratitudine all’arcivescovo Maffeis. “Nella nostra diocesi – ha detto don Sorbaioli, rivolgendosi al pastore Ivan –, ha iniziato, in continuità con il magistero del cardinale Bassetti, un puntuale lavoro di conoscenza, revisione e impostazione della realtà diocesana. Abbiamo subito apprezzato il suo tratto discreto e profondo al tempo stesso, capace di andare con ciascuno, oltre la formalità dei rapporti istituzionali”.

Il ricordo dei presbiteri vivi e defunti. Come è consuetudine, il vicario generale ha ricordato i presbiteri che nel corso dell’anno celebrano particolari giubilei sacerdotali, ad iniziare dal più giovane nel sacerdozio, don Claudio Faina, ordinato lo scorso 29 gennaio, “che sta muovendo i primi passi del suo ministero nelle parrocchie di San Nicolò e Sant’Angelo di Celle”, ha commentato don Sorbaioli per poi ricordare il confratello che compie 25 anni di ordinazione, don Francesco Buono, insieme a tre diaconi permanenti, Giovanni Benedetto D’Andola, Remigio Dolci e Gaetano Murino. Mentre festeggiano i 50 anni di sacerdozio don Gino Ciacci e don Giuseppe Cistellini, i 60 di ordinazione don Primo Alberati, don Mario Bellaveglia e don Cesare Piazzoli e raggiunge il traguardo dei 70 don Amerigo Federici. Infine, ha sottolineato il vicario genera, “non possiamo dimenticare il decano del Clero perugino (qui presente), mons. Luciano Tinarelli, classe 1926, che quest’anno festeggia i 74 anni di ordinazione”. Un sentito pensiero don Sorbaioli lo ha riservato ai confratelli che nel corso dello scorso anno sono tornati alla Casa del Padre, mons. Augusto Panzanelli, mons. Mario Stefanoni, don Aldo Milli e don Armando Di Renzo.

Segno di speranza. “Accanto a loro ci piace ricordare – ha concluso don Sorbaioli –, come segno di speranza, che la nostra diocesi conta, al momento presente, tre seminaristi in teologia, due giovani che frequentano l’anno propedeutico e altri tre giovani in periodo di discernimento. Questo ci allarga il cuore ma non ci fa dimenticare il dovere di pregare senza stancarci il Padrone della messe”.

Città di Castello – messa crismale

“Essere preti oggi è un dono meraviglioso e una grazia immensa”. Vuol dire essere servi premurosi dei nostri fratelli e sorelle. Lo ha ricordato questa mattina il vescovo di Città di Castello mons. Luciano Paolucci Bedini presiedendo in Cattedrale, per la prima volta da quando siede sulla cattedra di san Florido, la messa crismale – preludio al Triduo pasquale – presente il clero della diocesi tifernate. Durante la celebrazione è stato ricordato con affetto il vescovo emerito mons. Domenico Cancian nel giorno del suo 76° compleanno. Si è fatta memoria anche di don Aldo Viti e don Vinicio Zambri, scomparsi nei mesi passati.

Parlando ai suoi preti e ai suoi diaconi il presule ha preso spunto dalle letture proprie della celebrazione sottolineando che c’è un oggi che Gesù dichiara compiuto per sé nel vangelo. “È l’oggi che si perpetua per noi nell’esercizio del ministero. Oggi siamo chiamati dare la nostra vita per il servizio del presbiterato e dell’episcopato. In questo oggi del mondo, che ci appare sempre più confuso e smarrito, in preda alle scelleratezze dei potenti e lontano dalla solidarietà fraterna senza distinzioni, dove la luce del vangelo sembra essere ormai velata dallo splendore di ciò che è effimero e superficiale. Ma anche nell’oggi della nostra Chiesa occidentale, che sembra faticare sempre più nell’offrire agli uomini l’annuncio della speranza e dell’amore che nella fede custodisce, e di cui solo è debitrice al mondo, per la misericordia che le è stata usata”.

Mons. Luciano Paolucci Bedini ha come offerto alcune idee concrete ai preti ed ai diaconi quando li ha invitati a vivere “offrendo ai fratelli e alle sorelle il pane buono della Parola e l’acqua viva dei Sacramenti. Chinandoci con compassione su chi è toccato dal male, rimanendo accanto con le nostre lacrime. Prendendo per mano i più piccoli per accompagnarli con fiducia dentro la vita. Poter condividere con tutti loro il cammino che il Signore ci indica imparando insieme ad ascoltare la voce dello Spirito. Fungendo da maestri tra il popolo nel discernimento della volontà di Dio, solo perché per primi ne siamo divenuti discepoli, e da questa guida spirituale ci lasciamo condurre ogni giorno”.

Oggi pomeriggio alle ore 18.30 il Vescovo celebrerà in Cattedrale la Santa Messa nella Cena del Signore.
Domenica 12 aprile alle ore 10.30 mons. Luciano Paolucci Bedini presiederà la Messa di Pasqua ed impartirà la Benedizione Papale.

Spoleto – Messa Crismale. L’Arcivescovo: «Una sofferta carenza di clero porta ad una risposta coraggiosa e innovativa, ad un passaggio, non più rimandabile, da una pastorale di conservazione a una missionaria»

Nel pomeriggio di mercoledì 5 aprile 2023 l’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo ha presieduto nella Basilica Cattedrale di Spoleto la Messa Crismale con i presbiteri e numerosi fedeli. Vescovo e preti si sono ritrovati alle 16.30 nella chiesa di S. Filippo Neri per la liturgia penitenziale dove hanno avuto modo di confessarsi; poi, processionalmente hanno raggiunto il Duomo, hanno varcato la Porta Santa dell’825° anniversario della sua dedicazione e finalmente hanno celebrato l’Eucaristia ed hanno rinnovato le promesse fatte il giorno della loro ordinazione. In questa liturgia, che rivela ogni volta un fascino particolare e che manifesta visibilmente la Chiesa in tutte le sue componenti riunite attorno al Vescovo nella Cattedrale, vengono benedetti gli oli per i sacramenti: il Crisma per i Battesimi, le Cresime, le Ordinazioni sacerdotali ed episcopali; l’Olio dei Catecumeni usato nei Battesimi; e l’olio per l’Unzione degli Infermi. É stata anche fatta memoria dei presbiteri tornati alla Casa del Padre dalla scorsa Messa Crismale ad oggi (mons. Giampiero Ceccarelli, don Guerrino Conti, don Gaetano Conocchia, don Antonio Diotallevi, don Gianfranco Formenton) e si è ringraziato Dio per quanti quest’anno celebrano un anniversario particolare di ordinazione (don Luciano Avenati e don Salvatore Piga 50 anni; don Jozef Gercàk, don Kamil Ragan e P. Pio Spigarelli, Ofm Capp., 25 anni). La Messa è stata animata nel canto dalla corale diocesana diretta da Mauro Presazzi, con all’organo Angelo Rosati.

OMELIA – FOTOGALLERY 

Una sofferta carenza di clero. Nell’omelia mons. Boccardo ha condiviso con i presbiteri e i fedeli la grave preoccupazione per la carenza di clero, situazione che interpella la coscienza di tutti, che deve provocare una seria riflessione e che richiede a tutti un coraggioso impegno. Con chiarezza il Presule ha fornito i numeri: «Con meno di 30 sacerdoti sotto i 75 anni di età e con l’aiuto prezioso di alcuni presbiteri religiosi, occorre provvedere a 71 parrocchie. Con sano realismo, dobbiamo prendere atto di non poter più assicurare al ministero pastorale le modalità pratiche che abbiamo ereditato da chi ci ha preceduto e che fino ad oggi abbiamo più o meno conservato». La riflessione dell’Arcivescovo però non è stata fine e a stessa, non è stata un piangersi addosso, ma un punto reale dal quale partire per individuare un modo rinnovato per trasmettere il Vangelo, per stare come Chiesa tra le case della gente.  Ha detto, infatti: «Se noi siamo ora di fronte ad una sofferta carenza di clero – e dobbiamo prevedere che essa andrà crescendo in maniera preoccupante almeno per i prossimi anni -, occorre che ci riportiamo agli atteggiamenti della Chiesa primitiva e proviamo ad imitarla sia nella fiducia nella Provvidenza, che suscita sempre collaboratori adatti per il ministero, sia nell’ingegnosità e nell’apertura a tutte quelle soluzioni che una riflessione ragionevole ci ispira».

Scelte pastorali nel segno della sinodalità. Di questa situazione già ne hanno riflettuto a lungo, con attento discernimento, i membri del Consiglio episcopale e quelli del Consiglio presbiterale: hanno visto che è giunto il momento di mettere in atto delle forme di pastorale coraggiose e innovative. E per facilitare la realizzazione di questo progetto hanno già rimesso nelle mani dell’Arcivescovo il loro mandato di parroci. «Un gesto di autentica corresponsabilità ecclesiale», lo ha definito mons. Boccardo. Una scelta, va chiarito, non dettata da una ritirata strategica fronte della realtà, ma generata dallo sforzo di leggere i segni dei tempi. Ciò richiede una grande disponibilità e una grande libertà interiore da parte dei presbiteri che, su questo percorso che si apre, avranno dei colloqui personali con l’Arcivescovo durante il tempo pasquale.

Le nuove Pievanie. «Si è dunque unanimemente deciso – ha detto l’Arcivescovo – di confermare l’istituzione della Pievania, nella quale convergono le parrocchie di una intera zona pastorale, dando origine ad un unico soggetto canonicamente costituito, con figure ministeriali destinate al suo servizio e provvisto di alcuni elementi identificativi, quali una sede e una denominazione. Ciò richiederà anche la ricollocazione ministeriale dei sacerdoti e una diversa definizione di quelle comunità che da tempo non sono più in grado di assicurare gli elementi fondamentali necessari per essere considerate parrocchia. Un solo presbitero – con il titolo di pievano – sarà riferimento unitario per la Pievania, essendo anche canonicamente parroco di tutte le singole parrocchie che la compongono (can. 526 § 1). Egli eserciterà il ministero con i sacerdoti del territorio e ne sarà coordinatore, in stretta comunione di intenti e di atteggiamenti, per la realizzazione di un medesimo progetto pastorale, anche con forme concrete di vita condivisa, all’interno di una più intensa relazione con i fedeli laici che partecipano con un proprio specifico contributo alla cura pastorale della comunità. Sarà prezioso in questo ambito il coinvolgimento dei diaconi permanenti, con l’attrattiva del realismo umano e pastorale che nasce dalla ordinarietà di vita di cui ciascuno di essi fa esperienza».

Una maggiore corresponsabilità dei fedeli laici. Al pievano e ai sacerdoti della Pievania verrà affiancata nella responsabilità della cura d’anime una Équipe pastorale nominata dal Vescovo con una apposita “Lettera di missione” e composta da alcuni fedeli laici scelti tra quanti si vogliano dedicare in modo più stabile al servizio della comunità nel suo insieme. «Essi – ha detto ancora nell’omelia il Presule – dovranno essere opportunamente accompagnati ad acquisire una adeguata formazione spirituale e ministeriale, per poter rispondere con efficacia al compito loro affidato. Mentre il Consiglio Pastorale di Pievania continuerà ad essere promotore e animatore della vita delle comunità, luogo di sinodalità e corresponsabilità, scuola di ascolto e di discernimento».

Nessuna comunità sarà abbandonata. È importante sottolineare un principio fondamentale: «In forza del mandato di Cristo e della nostra responsabilità come sacri ministri ­– ha detto mons. Boccardo –  nessuna comunità sarà lasciata senza una adeguata cura pastorale, nessuna comunità sarà abbandonata. Anche dove non è più possibile esprimere le funzioni tipiche della parrocchia, persisterà per il Vescovo e per la Diocesi l’obbligo della cura della gente che vi risiede. Non ci proponiamo quindi di ridurre l’attività pastorale, bensì di farne di più, meglio organizzata e condotta, assicurando modalità di1verse di presenza e di servizio, non necessariamente identiche a quante messe in atto finora».

Terni – celebrazione della Messa Crismale con i sacerdoti e i cresimandi

In una gremita cattedrale di Terni è stata celebrata la Messa Crismale del mercoledì santo, presieduta dal vescovo Francesco Antonio Soddu, alla presenza di tutti i sacerdoti diocesani e religiosi, diaconi, religiose, laici e 400 ragazzi e ragazze di tutte le parrocchie della diocesi che riceveranno la cresima nei prossimi mesi.
Una significativa espressione di unione e comunione di tutti i presbiteri nel ministero del sacerdozio e della missione evangelizzatrice a cui sono stati chiamati, ma anche di unione con l’intera comunità ecclesiale.
Il vescovo ha benedetto gli olii sacri che saranno usati nell’amministrare i sacramenti: l’olio dei catecumeni col quale sono unti coloro che vengono battezzati; del crisma, una mistura di olio e essenze profumate usata nel battesimo, nella cresima, nella ordinazione di sacerdoti e vescovi, nella dedicazione delle chiese; l’olio degli infermi, che viene utilizzato per dare conforto ai malati e per accompagnare all’incontro col Padre, i moribondi fortificati e riconciliati.
«La bellezza della Messa Crismale ci porta a considerare l’incommensurabile grandezza dell’amore di Dio, il quale si fa presente nei doni che oggi riceviamo – ha detto il vescovo -.
Base di tutto, presupposto essenziale per ogni nostra azione è la presenza, anzi l’immanenza dello Spirito Santo nella nostra vita. Ogni nostra azione non potrà che essere il riflesso dei doni che lo stesso Spirito effonde su di noi, affinché possiamo esserne pienamente compresi. L’abituale presenza del Signore, potremmo dire la sua familiarità col luogo sacro dell’assemblea, sollecita tutti, ma in modo particolare noi presbiteri, ministri del Signore, nella cura da avere sia del luogo come anche della consuetudine nella frequentazione. E poi l’ascolto della Parola di Dio e il suo approfondimento, un ascolto non limitato al mero senso dell’udito ma partecipativo, accogliente, attivo, generativo. Lo Spirito del Signore fa sì che la Parola diventi vita, che cioè si avveri, prenda carne in noi.
L’abituale nostra presenza in Chiesa, nel luogo ordinario del culto, sia non una sorta di abitudine, che con l’andar del tempo si trascina, fa trasparire stanchezza e noia, quanto piuttosto, evidenziando sempre di più la squisita familiarità che corrobora e alimenta l’amore, riceva e trasmetta vita; vitalità che incentiva la gioia di sentirsi figli amati, familiari di Dio e fratelli tra di noi».

La comunità sacerdotale
«Il presbiterio vive in una forma comunitaria, aspetto questo che dobbiamo sempre presidiare, custodire e coltivare; allontanando da noi ogni forma o tentazione di isolamento, di personalismi e visioni di parte che indeboliscono il corpo, lo fanno ammalare e lo portano progressivamente alla distruzione. Lo sappiamo bene, tutto questo è possibile non tanto in forza di chissà quale mirabile nostro sforzo, quanto piuttosto attraverso il presupposto di una virtù essenziale: quella dell’umiltà, unica dote capace di arginare il peccato, generare disponibilità e dare vigore e slancio ad ogni buon proposito».

«Il senso e il fine dell’unzione, della nostra consacrazione lo rivela la stessa Scrittura: siamo innanzitutto dei mandati, degli inviati. Siamo mandati a portare, a proclamare, a rimettere in libertà, tuttavia non siamo chiamati ad essere dei meri e freddi esecutori. Siamo, come il Signore Gesù, degli inviati in quanto primariamente amati, consacrati, eletti da Dio. Fuori dal contesto dell’essere tali, mandati dal Signore, il nostro lavoro, le nostre attività, il nostro ministero cesserebbe di essere tale. Sarebbe niente di più di un qualsiasi mestiere.
Siamo invece mandati da Dio per essere servi della sua Parola, espressione viva di un dono immenso: del suo ministero pastorale che egli prolunga ed attua attraverso la nostra povera persona. Siamo perciò degli inviati e non dei liberi professionisti.
In virtù del Battesimo che ci rende tutti figli di Dio, quanto detto per i presbiteri è valido per ciascun credente in Cristo, perché tutti abbiamo ricevuto il dono della salvezza».
E quindi un invito ai tanti ragazzi presenti in Cattedrale: «cari ragazzi: non perdete la grande e splendida occasione della vita-bella, che ci proviene unicamente dal vivere, cioè mettere in pratica il Vangelo di Gesù. Mettetevi sempre a sua disposizione ed egli vi guiderà al bene; illuminerà la vostra intera esistenza riempendola del profumo unico della sua presenza».
«Per tutti significa – ha poi aggiunto – che, nella misura in cui ognuno concepisce la propria vita come la risposta a una chiamata del Signore, tutte le singole azioni di ciascuna persona non potranno che convergere verso un unico obiettivo. Su questa prospettiva sarà necessario essere continuamente consapevoli della necessità di dover rinverdire sempre e continuamente il senso della chiamata di Dio; chiamata che ci ha resi suoi figli, costituiti ministri, pastori, servitori del Regno».
Testimoni del Vangelo nella società
«Siamo mandati a portare il Vangelo: ad essere il segno concreto di speranza, di gioia e di vita rinnovata; nella nostra vita, con le nostre azioni, con il nostro modo di essere e di rapportarci. Davanti alle trasformazioni sociali, davanti ai mutati contesti ecclesiali, davanti al perdurare e forse peggiorare del clima generale, non più consono ad accogliere determinate proposte di vita, lo sappiamo, ma è salutare ridircelo sempre e con forza: abbiamo ancora maggiore necessità d’essere ancorati alla sorgente della nostra salvezza e del nostro apostolato. Credendo in questo, abbiamo anche la bella opportunità di poter accostare la nostra attuale missione a quella che caratterizzò l’inizio della storia della Chiesa, con tutte le fatiche e le prove, ma anche con quello slancio missionario di fede che ha fatto sì che “il sangue di Cristo non fosse stato versato invano” ma fosse fatto germogliare nella testimonianza di quanti aderivano alla fede.
In tal modo, per mezzo della nostra vita resa libera, in quanto totalmente orientata a Dio, sapremo anche essere segno eloquente e credibile della libertà proclamata da Gesù».
Il vescovo ha ricordato quei sacerdoti e diaconi che in questo anno celebrano un particolare anniversario: i 60 anni di sacerdozio mons. Piergiorgio Brodoloni e di mons. Antonio Maniero; i 55 anni Accettulli padre Enrico Ofm, mons. Marcello Giorgi; i 50 anni di sacerdozio mons. Antonino De Santis; i 45 anni di sacerdozio mons. Carlo Zucchetti SdB; i 35 anni di sacerdozio can. Adolfo Bettini, mons. Roberto Bizzarri, don Miroslaw Boguszewski; don Andrea Rowny; i 30 anni di sacerdozio don Luca Andreani, don Pietro Blaj, don Enzo Greco, don Lisnardo Morales Serrano, don Tiziano Presezzi; i 25 anni di sacerdozio don Giuseppe Capsoni, don Marco Castellani, don Diego Ceglie, don Angelo D’Andrea, don Leopold Sandor, don Sergio Vandini; i 20 anni di sacerdozio di don Andrei Anghelus, don Roberto Cherubini, don Ioan Ghergut, don Andrea Piccioni, don Lorenzo Spezia e i 20 anni di ordinazione dei diaconi Antonelli Giorgio, Belarducci Felice, D’Andrea Walter, Federici Roberto, Gasperoni Gabriele, Maschiella Sandro, Millesimi Evaldo, Orlando Corrado, Torelli Franco; i 15 anni di sacerdozio padre Marco Ronca OfmCapp; i 40 anni di diaconato di Giocondi Dario e i 10 anni di diaconato di Jacopo Tacconi.