Gubbio: «Il lavoro non può trasformarsi in morte, perché il lavoro è vita…». E’ il commento della coordinatrice della Commissione per i problemi sociali e il lavoro della Ceu Francesca Di Maolo

«Il nome di Samuel e di Elisabetta si aggiungono ad una lunga lista di persona che hanno perso la vita a causa del lavoro nella nostra Regione e ad una lista ancora più lunga che nel nostro Paese si aggiorna tragicamente ogni giorno. Sentimenti di sgomento, sofferenza e rabbia pervadono tutta la nostra comunità di fronte a queste giovani vite spezzate nell’atto del lavoro». A sottolinearlo è l’avv. Francesca Di Maolo, coordinatrice della Commissione regionale per i problemi sociali e il lavoro della Ceu nell’esprimere, a nome dell’organismo pastorale delle Chiese dell’Umbria, «immenso dolore per la tragedia sul lavoro che si è verificata a Gubbio (il 7 maggio, ndr) e la nostra vicinanza ai familiari, agli amici delle vittime e a tutta la comunità».

Sicurezza sul lavoro fattore rilevante di civiltà. «Se questo è il momento del dolore – prosegue la coordinatrice Di Maolo –, né oggi, né domani può essere il tempo della rassegnazione. Non si può morire di lavoro. Non si può più. Il lavoro non può trasformarsi in morte, perché il lavoro è vita, perché il lavoro è espressione della nostra identità, è partecipazione all’organizzazione economica e sociale del Paese, è espressione e fondamento della nostra democrazia. Per questo la sicurezza di chi lavora è una priorità sociale fondamentale ed è uno dei fattori più rilevanti della nostra civiltà».

La crisi occupazionale non attenui la sicurezza. «Siamo tutti consapevoli che ci aspettano giorni difficili – evidenzia l’avv. Di Maolo – perché stiamo attraversando una crisi senza precedenti. Di fronte alla crescita della disoccupazione, che colpisce soprattutto i giovani e le donne, c’è il serio rischio che l’attenzione sulla sicurezza del lavoro si attenui. Tutte le Istituzioni e la comunità nel suo complesso devono impegnarsi sulla via della sicurezza sul lavoro con determinazione e responsabilità».

No al lavoro che possa ferire, umiliare o uccidere. «Samuel ed Elisabetta, insieme a tutti gli altri nomi che li hanno preceduti – conclude la coordinatrice della Commissione Ceu –, non diventino per noi solo una doverosa memoria, ma un impegno a custodire la persona che lavora e a fondare realmente la nostra Repubblica di un lavoro degno che esprima tutta la vita delle persone che lo rendono e che mai possa ferire, umiliare o uccidere».

Spoleto – In unione con la maratona di preghiera voluta dal Papa, nei sabati del mese di maggio l’Arcivescovo reciterà il Rosario da Poreta, Bevagna, Eggi e Trevi. Diretta nei canali social.

«Nel mese di maggio alziamo lo sguardo verso la Madre di Dio, segno di consolazione e di sicura speranza, e preghiamo insieme il Rosario per affrontare insieme le prove di questo tempo ed essere ancora più uniti come famiglia spirituale». È iniziata con queste parole la recita del Rosario che il 1° maggio scorso ha avviato la maratona di preghiera dal tema “Da tutta la Chiesa saliva incessantemente la preghiera a Dio (At 12,5)” per invocare la fine della pandemia. L’iniziativa, nata per desiderio di papa Francesco, è promossa dal Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione e coinvolge trenta santuari mariani di tutto il mondo che, a turno, guideranno ogni giorno del mese di maggio, tradizionalmente mese mariano, la preghiera del Rosario per tutta la Chiesa.

L’archidiocesi di Spoleto-Norcia si unisce all’appello del Papa e invita i fedeli ad unirsi alla preghiera del Sommo Pontefice con la recita giornaliera del Rosario. Nei sabati del mese di maggio, poi, l’arcivescovo mons. Renato Boccardo guiderà la preghiera del Rosario da alcuni luoghi mariani del territorio: le persone potranno seguire in diretta nei canali social (Facebook e YouTube) della Diocesi. Date, orari, luoghi:

Sabato 8 maggio, ore 16.30: chiesa di Santa Maria delle Grazie a Poreta di Spoleto;

Sabato 15 maggio, ore 16.30: chiesa della Madonna della Valle a Bevagna;

Sabato 22 maggio, ore 18.30: chiesa della Madonna delle Grazie ad Eggi di Spoleto;

Sabato 29 maggio, ore 16.30: chiesa di Santa Maria di Pietrarossa in Trevi.

Narni – solenne pontificale di San Giovenale. Mons. Piemontese: “San Giovenale ci sostiene a non lasciarci andare allo scoraggiamento e alla china di una indifferenza religiosa che sembra di moda, e al disimpegno civile ed ecclesiale».

La ricorrenza della festa del patrono di Narni san Giovenale, il 3 maggio, è stata celebrata in forma contingentata e ridotta, in ossequio alle norme di contrasto alla epidemia del Coronavirus. Il vescovo Giuseppe Piemontese, ha celebrato il solenne pontificale nella concattedrale di Narni per fare memoria del santo Patrono, e quale segno di unità spirituale nella preghiera per il popolo sofferente a causa del Coronavirus.
Presenti il sindaco Francesco De Rebotti, che ha donato l’olio e acceso la lampada davanti al busto di San Giovenale e recitato la preghiera al santo patrono, i rappresentanti delle parrocchie del narnese che hanno offerto i ceri, i rappresentanti dei Terziari e del corteo storico della Corsa all’anello, i fedeli narnesi. Hanno concelebrato il parroco don Sergio Rossini, i canonici del capitolo della Concattedrale di Narni, i sacerdoti della vicaria di Narni.

L’ardore missionario di San Giovenale
Il vescovo ha rivolto un saluto particolare ai malati, anziani, a coloro che hanno avuto sofferenze e lutti nel tempo della pandemia. Ricordando poi il patrono e primo vescovo di Narni ne ha sottolineato «l’ardore nello svolgere la missione di evangelizzatore. Nella sua qualità di medico, ma anche di custode e guida del popolo, ne divenne il difensore, defensor civitatis: al suo tempo e ancora oggi, in tempo di pandemia, da nemici ancora più subdoli. A lui ci rivolgiamo con fiducia: vigilia oggi sulla salute, sul benessere; guidaci alla concordia, alla pace e alla santità di questa comunità civile ed ecclesiale».

Proteggere e custodire il tesoro della fede
«Questa mattina siamo al cospetto di san Giovenale per incontrarlo e onorarlo – ha aggiunto il vescovo -. E tuttavia vogliamo dare verità al nostro incontro e rispondere al richiamo del santo, che ci propone una sterzata alla nostra vita invitandoci ad essere cristiani fedeli e autentici. Di generazioni in generazione è stata trasmessa la fede delle famiglie, della comunità cristiana cittadina fino a noi, che abbiamo accolto questo tesoro.
Ci chiediamo: quale convinzione, consapevolezza, testimonianza abbiamo e viviamo in riferimento alla nostra identità di cristiani, alla fede e all’amore per Gesù?
Le rilevazioni statistiche, ma anche l’osservazione comune dicono che la frequenza alla messa domenicale, la partecipazione alla vita della chiesa e la coerenza con i principi e valori cristiani è scemata. Il tesoro di conoscenze, convinzioni, amore, ricevuto per l’opera di san Giovenale si va dilapidando, smarrendo. La nostra generazione non è all’altezza di proteggere e custodire il tesoro della fede, dell’amicizia con Gesù, la nostra tradizione cristiana, la solidità della nostra chiesa. Adulti indifferenti, giovani distratti e ammaliati da lucciole e surrogati di felicità, famiglie scombinate dalle fragilità dei tempi, dalla indifferenza spirituale, da malsana laicità. Il tesoro in vasi di creta può conservarsi intatto e custodirsi se la nostra responsabilità fa affidamento sulla grazia di Dio, ed è riconosciuto come dono di Dio».

Una vita cristiana più autentica
«San Giovenale ha donato la sua vita per amore. I cristiani di quella iniziale comunità e dei secoli successivi hanno accolto questa consegna e hanno edificato, in una corale impresa coraggiosa, la chiesa: quella spirituale, questa cattedrale e tanti altri segni ed espressioni della loro fede, che hanno consegnato alle odierne generazioni.
Noi cristiani del XXI siamo afflitti e mortificati perché la festa esterna di san Giovenale si celebra solo on line, virtualmente, la corsa all’anello, momento altro di questa festa non si può mettere in atto, la tradizione si raffredda e i gli interessi sono annullati. Credo sia il momento di porre mano a rafforzare la vera tradizione legata a san Giovenale: la conversione ad una vita cristiana più autentica e la testimonianza cristiana più concreta e visibile».
Il vescovo ha poi ricordato quanti in questo periodo sono stati dei buoni pastori per le persone che hanno avuto accanto ed ha invitato a riflettere sul senso della vita in questo tempo di pandemia: «Molti, di fronte alla sofferenza e alla morte di propri cari ed amici sono stati indotti a riflessioni esistenziali più sentite e a considerazioni sul valore della vita nella sua consistenza e durata. Oggi volgiamo leggere tutto questo alla luce di Gesù Risorto, che dà senso all’esistenza, e di san Giovenale che ci sosteine a non lasciarci andare allo scoraggiamento e alla china di una indifferenza religiosa che sembra di moda, e al disimpegno civile ed ecclesiale».

La celebrazione si è conclusa sulla gradinata della concattedrale, da dove il vescovo Piemontese ha impartito la benedizione alla città.

L’offerta dei ceri
Il 2 maggio, alla vigilia della festa del patrono di Narni San Giovenale, si è tenuta la tradizionale cerimonia “De Cereis et Palii Offerendi”, l’omaggio al vescovo della diocesi di Terni, Narni e Amelia successore di San Giovenale da parte delle autorità comunali della città di Narni, delle sue contrade e dei rappresentanti delle arti. Una cerimonia che in questo anno di pandemia ha avuto una valenza diversa, perché incentrata sull’attualità di questo difficile periodo, e con protagonisti non consueti. Sono stati infatti i rappresentanti del mondo ospedaliero, medico, scolastico, del volontariato, del commercio e dei vari ambiti in particolare lotta al Coronavirus oltre ai consueti delegati dei Terzieri a fare omaggio al vescovo Giuseppe Piemontese.
Hanno consegnato simbolicamente il cero al vescovo Piemontese i rappresentanti delle associazioni di volontariato che, nel tempo del Covid19 sono stati accanto ai deboli e malati; le associazioni di Protezione Civile; le associazioni benefiche cattoliche; coloro che hanno perso il lavoro; medici e infermieri e operatori sanitari; coloro che sono guariti dal Covid; gli insegnanti e gli studenti; una coppia di sposi; gli universitari; gli operatori del turismo, operatori delle arti e dello spettacolo, di quanti hanno continuato ad essere a disposizione del pubblico come i negozianti di generi di prima necessità; una rappresentanza di chi perso i propri congiunti a causa del Covid ed infine i ceri dei cittadini di Narni e dei terzieri.
La consueta simbolica liberazione del prigioniero è stata concretizzata in una raccolta a favore della Caritas diocesana per tutte le famiglie che hanno perso il lavoro.

“L’emigrazione giovanile è un fenomeno che investe sempre più la nostra comunità regionale”. Lo ha detto il cardinale Gualtiero Bassetti all’incontro Ceu “Giovani e lavoro: un cantiere aperto”

“Con questo incontro la Chiesa umbra affronta un tema decisivo per il presente e per il futuro della nostra società. I giovani e il lavoro, infatti, sono due elementi cruciali che si riflettono non solo sull’economia ma anche sulla famiglia e l’educazione, sui diritti sociali e sulla robotica, sulla coesione sociale e sulla mobilità umana. Parlare del rapporto tra giovani e lavoro significa, in definitiva, parlare di una nuova questione sociale che è, al tempo stesso, una nuova questione antropologica”. A sottolinearlo è stato il cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, nell’intervenire all’incontro di riflessione e di preghiera sul tema “Giovani e lavoro: un cantiere aperto”, tenutosi nel pomeriggio del 30 aprile, presso la sala “Seneca” dello Stabilimento Nestlé-Perugina del capoluogo umbro.

All’incontro, promosso dalla Commissione regionale per i problemi sociali e il lavoro, la pace e la custodia del Creato della Ceu, hanno partecipato in presenza circa trenta persone in rappresentanza delle Istituzioni civili e religiose e del mondo imprenditoriale e sindacale dell’Umbria, ed altre hanno preso parte in remoto, seguendo la diretta streaming trasmessa dai canali social di Chiesainumbria.it , del settimanale La Voce e dell’emittente Umbria Radio InBlu.

A moderare i lavori è stata l’avv. Francesca Di Maolo, coordinatrice della Commessione regionale Ceu e presidente dell’Istituto Serafico di Assisi e a relazionare e a tracciare una sintesi dei vari interventi è stato il prof. Luca Fiorucci, docente ordinario di Economia e management delle imprese all’Università di Perugia. A precedere i relatori, tra cui la dott.ssa Laura Binda, responsabile delle risorse umane della Nestlé, sono state quattro testimonianze di storie di resilienze e intraprendenze nel mondo del lavoro di giovani delle Diocesi di Foligno, Spoleto-Norcia, Perugia-Città della Pieve e Terni-Narni-Amelia.

“Il cardinale Bassetti, nel suo intervento, si è soffermato sul rapporto giovani e lavoro prendendo spunto dal fenomeno riemergente dell’emigrazione che li riguarda da vicino. “Tra i nuovi emigranti italiani del XXI secolo, moltissimi sono i giovani – ha evidenziato il porporato –. Giovani che subito dopo la scuola superiore o dopo l’Università, lasciano il nostro Paese. Ne ho incontrati molti di questi giovani. Alcuni scelgono di partire come scelta di vita. Si sentono cittadini del mondo. Molti altri no. Vorrebbero rimanere in Italia ma sono costretti a partire. È questo un fenomeno su cui riflettere perché investe in pieno la nostra comunità regionale. Si riflette per esempio sulla formazione delle famiglie. Uno dei motivi per cui si ritarda la data del matrimonio riguarda proprio la mancanza del lavoro. E conseguentemente della casa e di ogni protezione sociale. E anche dopo il matrimonio, portare avanti una famiglia in questa situazione sociale così complessa diventa veramente difficile. Fare una famiglia oggi è in molti casi un gesto eroico. Penso per esempio alle giovani coppie con figli che vivono nelle grandi città. Ma anche nei nostri piccoli borghi umbri. Riuscire ad armonizzare la vita familiare e il lavoro è una sfida quotidiana dal risultato incerto”.

“Mai come oggi, dunque, è veramente importante rimettere al centro della nostra attenzione il rapporto tra giovani e lavoro – ha commentato Bassetti –. Si tratta di una grande questione su cui è opportuno riflettere e soprattutto fare delle proposte concrete sia per ciò che concerne la creazione di nuovi posti di lavoro e sia per ciò che riguarda le politiche sociali che armonizzino il rapporto tra famiglia e lavoro. Una di queste proposte è l’assegno unico universale: spero vivamente, come ho già avuto modo di scrivere su “Avvenire”, che il Governo fornisca un’adeguata dotazione finanziaria. Ma in generale, mi auguro che il recovery plan sia veramente di aiuto per far ripartire l’Italia dopo lo shock della pandemia”.

Il cardinale, ribadendo quanto già detto in passato, ha parlato di una “nuova questione sociale”, che “si caratterizza per un potere pervasivo della tecnica e per uno sradicamento della persona umana, facendo passare nel silenzio invece una dimensione fondamentale del lavoro: la sua sacralità. Il lavoro è sacro, lo ha detto spesso Papa Francesco, perché attraverso di esso l’uomo si fa con-creatore del mondo. Le persone attraverso questa attività, che va svolta con equità e carità, acquisiscono una loro dignità. Una dignità che però perdono quando al lavoro si sostituisce lo sfruttamento oppure una lunga stagione di precariato e di umiliazione, fino alla disoccupazione”.

Obiettivo dell’incontro, come ha sottolineato la coordinatrice della Commissione Ceu Di Maolo, “è quello di portare alla conoscenza comune che in Umbria esistono giovani lavoratori e imprenditori straordinari, che non si arrendono dinanzi alle difficoltà (pandemia e terremoto), che sono competenti, che hanno deciso di tornare in Umbria dopo esperienze professionali all’estero, che hanno voglia di mettersi in gioco”. Anche da queste esperienze nasce l’appello della Commissione Ceu alle Istituzioni affinché realizzino politiche sociali volte a favorire l’occupazione giovanile, promuovendo anche iniziative per far conoscere storie propositive come quelle emerse all’incontro “Giovani e lavoro…”. Il prof. Ferrucci, facendo eco a quanto evidenziato dal cardinale Bassetti, ha detto: “i giovani umbri se ne vanno per lavoro, ma hanno una grande voglia di restituire a questa terra, a cui rimangono attaccati, la loro energia potenziale e su questo la comunità politica deve riflettere”. La responsabile risorse umane di Nestlé-Perugina Laura Binda ha presentato i progetti “Nestlé Needs Youth” volto ad aiutare 10milioni di giovani in tutto il mondo ad avere accesso a opportunità economiche entro il 2030 e “Nestlé Startup Programme” cui hanno risposto 500 giovani italiani per favorire lo sviluppo imprenditoriale delle loro idee imprenditoriali.

L’incontro si è concluso con la preghiera dinanzi all’icona di san Giuseppe lavoratore la cui festa liturgica ricorre il primo maggio, presieduta dall’arcivescovo Renato Boccardo, presidente della Ceu.

Terni – la vicinanza della Chiesa al mondo del lavoro nel 40° anniversario della visita di Giovanni paolo II all’acciaieria

Nel giorno della festa di San Giuseppe lavoratore, il primo maggio, la chiesa diocesana esprime vicinanza e solidarietà al mondo del lavoro, ai lavoratori e ai disoccupati con un messaggio del vescovo Giuseppe Piemontese. Affida a san Giuseppe lavoratore le speranze di ogni cittadino per un lavoro dignitoso, e invoca per tutti prosperità e salute, in questo periodo difficile in cui la pandemia ha messo a nudo i limiti del nostro sistema socio-economico e nel mondo del lavoro si sono aggravate le diseguaglianze esistenti e create nuove povertà.
«La festa di San Giuseppe lavoratore, che Papa Francesco ha voluto celebrare con un anno a lui dedicato, ci spinga a vivere questa difficile fase senza disimpegno e senza rassegnazione. Nulla ci distolga dall’attenzione verso i lavoratori, sapendo che le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce del mondo del lavoro, dei poveri soprattutto e di coloro che soffrono, sono i sentimenti dei discepoli di Cristo Signore. Condividiamo le preoccupazioni, ma ci facciamo carico di sostenere nuove forme di imprenditorialità e di cura. Se tutto è connesso, lo è anche la Chiesa italiana con la sorte dei propri figli che lavorano o soffrono la mancanza di lavoro. Ci stanno a cuore». (dal messaggio dei vescovi italiani per il 1° maggio 2021)

Terni, città operaia, celebra il 40° anniversario della visita di papa san Giovanni Paolo II alle acciaierie e alla città di Terni (19 marzo 1981) con la messa che sarà celebrata dal vescovo Piemontese il 15 maggio 2021 alle ore 18 presso Acciai Speciali Terni, in viale Brin, nello stesso piazzale interno all’acciaieria dove il Papa incontro migliaia di lavoratori.
Nell’incontro con il mondo del lavoro papa Giovanni Paolo II toccò temi fondamentali per la vita dell’uomo: la dignità del lavoro, la giustizia e la moralità come condizioni essenziali per la pace in tutte le nazioni, la famiglia, la libertà dell’uomo e la creatività dell’opera umana, insegnamenti profetici che il Papa consegnò al mondo del lavoro e all’intera comunità diocesana

«La memoria di questa storica visita – ricorda il vescovo Piemontese – col suo messaggio di speranza, può sostenere gli sforzi della chiesa, dei concittadini, uomini e donne di buona volontà, a promuovere il rinnovamento e lo sviluppo sociale e religioso. Rivedendo i gesti di quella visita memorabile, rileggendo le parole del Papa Santo, possiamo trovare spunti e suggerimenti per inventare e seguire vie di nuovo umanesimo e crescita sociale.
Rileggiamo i segni: la fabbrica, il lavoro, le persone, le autorità, la convivialità, il dialogo, la preghiera, l’Eucarestia conclusiva, evento santificatore del lavoro umano e prospettiva metodologica di giustizia sociale e di dignità civile e religiosa, culmine e ripartenza di ogni rinnovamento.
La nostra città, capoluogo e capofila della pluralità delle città e dei castelli del territorio, non può rassegnarsi al declino indotto da scelte sbagliate, da egoismi di campanile o di parte e da ultimo dalle asfissie e dai fallimenti causati dalla pandemia.
Parafrasando le parole di Gesù, è utile prendere consapevolezza che se una città “è divisa in se stessa, non può reggersi; se una casa è divisa in se stessa, quella casa non può reggersi”.
In un’ora grave e delicata, varie vicende politiche hanno portato la nostra Italia a dotarsi di un governo di collaborazione nazionale. Un analogo spirito dovrebbe spingere la classe dirigente e tutte le forze civili, politiche e sociali più significative della città e della regione a collaborare a favore della next generation a Terni, in Umbria, in Italia e in Europa».

Città di Castello – la beata Margherita è stata proclamata Santa

La Chiesa che è in Città di Castello vive con immensa gioia e gratitudine al Signore per la canonizzazione della nostra amatissima beata Margherita, che ha vissuto tra noi gran parte della sua vita fino alla morte, avvenuta il 13 aprile 1320.
La sua immagine raffigurata al centro del catino absidale della Cattedrale, così come nella cupola, evidenzia la straordinaria importanza di questa piccola donna nelle generazioni lungo i sette secoli che la separano cronologicamente dal nostro tempo. Ininterrottamente le è stato tributato il culto, estesosi progressivamente in vari continenti in un crescendo di devozione, e la sua figura è stata ispiratrice di opere di carità.
La canonizzazione avviene mentre si stanno svolgendo le celebrazioni del settimo centenario della sua morte, che si concluderanno il 9 maggio. Avviene, inoltre, in un periodo segnato in maniera drammatica dalla pandemia: Margherita può autorevolmente insegnarci come trasformare il male in bene, senza cedere allo sterile vittimismo e alla lamentela inutile, invitandoci a una reazione evangelica che sa vedere come tutto può concorrere al bene.
Passando per le nostre vie possiamo immaginarcela con le parole poetiche di Fernando Pessoa:
Con le mie mani tocco i muri,
ma con l’anima la verità …
Sento solo ali di uccelli
Ma vedo ali di angeli.
In me esiste, al fondo di un pozzo,
un pertugio di luce verso Dio.
Là, molto in fondo alla fine,
un occhio fabbricato nei cieli.

Nel 2019 il vescovo di Città di Castello, mons. Domenico Cancian, e l’arcivescovo di Urbino – Urbania – Sant’Angelo in Vado, mons. Giovanni Tani, tenuto conto della grande diffusione del culto tributato alla beata in varie parti del mondo e con il sostegno di altri presuli umbri, hanno presentato al Santo Padre Francesco la richiesta di procedere alla canonizzazione per equipollenza. Oggi, al termine dell’espletamento di tutte le procedure canoniche e grazie all’impegno della Postulazione Generale dell’Ordine dei Predicatori, questa richiesta trova la sua piena accoglienza con la firma del papa.
Il prossimo 19 settembre, secondo modalità che saranno successivamente rese note, avrà luogo una solenne concelebrazione eucaristica di ringraziamento al Signore per la nuova santa nella chiesa monumentale di San Domenico in Città di Castello.
Questa circostanza è un grande stimolo per la Chiesa e per l’intera città a raccogliere la preziosa eredità umana e spirituale lasciata dalla nuova santa impegnandoci tutti a concretizzare l’accoglienza, l’inclusione, la pacificazione, la gioiosa carità di cui lei è stata esemplare testimone.

Città di Castello, 24 aprile 2021
+ Domenico Cancian, Vescovo

PROMULGAZIONE DI DECRETI

Il 24 aprile 2021, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.
Durante l’Udienza, il Sommo Pontefice ha confermato le conclusioni della Sessione Ordinaria dei Cardinali e Vescovi, Membri della Congregazione, e ha deciso di estendere alla Chiesa universale il culto della Beata Margherita di Città di Castello, del Terz’Ordine dei Frati Predicatori; nata intorno al 1287 a Metola (Italia) e morta a Città di Castello (Italia) il 13 aprile 1320, iscrivendola nel catalogo dei Santi (Canonizzazione Equipollente).

La Beata Margherita di Città di Castello nacque intorno al 1287 nel borgo fortificato di Metola (Urbino, Italia), in una famiglia della piccola nobiltà. Nata cieca e deforme, fu rinchiusa dal padre in una piccola cella costruita a ridosso della chiesa del castello in modo che restasse nascosta agli occhi del mondo. All’età di cinque anni, fu portata dai genitori a Città di Castello, nella chiesa di San Francesco presso la tomba di un frate francescano laico, Giacomo da Città di Castello, morto nel 1292 in concetto di santità, nella speranza di ottenere il miracolo della vista per la figlia. Ma il miracolo atteso non avvenne, perciò i genitori decisero di abbandonare definitivamente la figlia e di affidarla alla solidarietà degli abitanti di Città di Castello.
La bambina visse per qualche tempo mendicando per le vie della città, prima di essere accolta da alcune monache della piccola comunità di Santa Margherita. La sua condotta di vita molto mortificata e i suoi ammonimenti destarono l’invidia delle monache, che dopo un breve tempo la mandarono via. La bambina fu salvata da una coppia di devoti genitori cristiani, Grigia e Venturino, che l’accolsero, insieme ai due figli che già avevano, riservandole una piccola cella nella parte superiore della propria casa, affinché potesse liberamente dedicarsi alla preghiera, alla contemplazione e alle pratiche penitenziali, quali digiuni, flagellazioni e il cilicio. Da parte sua Margherita mise a disposizione della famiglia i suoi doni spirituali ed intellettuali, dedicandosi all’educazione cristiana dei figli di Grigia e Venturino e, nonostante la sua cecità, alle opere di carità, visitando i carcerati e gli infermi. Si cominciò ad attribuirle segni prodigiosi, miracoli e guarigioni straordinarie ed altri fenomeni mistici.
Margherita frequentava anche quotidianamente la vicina chiesa della Carità dei Frati Predicatori e fece parte delle Mantellate Domenicane, più tardi chiamate Terziarie secolari di San Domenico. Si dedicò alla preghiera assidua, alla confessione quotidiana, alla comunione frequente, alla recita dell’ufficio della Vergine e del Salterio, alla costante meditazione del mistero dell’Incarnazione.
Morì il 13 aprile 1320 a Città di Castello (Italia).

Il vissuto virtuoso della Beata si caratterizza soprattutto per il fiducioso abbandono alla Provvidenza, come partecipazione gioiosa al mistero della croce, soprattutto nella sua condizione di disabile, rifiutata ed emarginata. Questa conformità amorosa al Cristo era accompagnata da intense esperienze mistiche. La sapientia cordis così maturata si irradiava negli altri. Frequente e assidua era la sua meditazione della vita di Cristo. Le furono attribuite anche guarigioni miracolose e questo contribuiva a farne un punto di riferimento per tanti. Nonostante la sua disabilità, spinta dalla carità, esercitò il proprio magistero nei confronti di alcune discepole, alle quali insegnava l’Ufficio della Vergine e il Salterio; istruì i figli della coppia che l’accolse nella sua casa; fu madrina e formò alla dottrina cristiana una nipote dei suoi genitori adottivi; orientò la vocazione di una giovane, invitando lei e la madre a vestire l’abito religioso; cercò anche di ricondurre con dolci ammonimenti le monache di un monastero a una perfetta osservanza.
Come altre mistiche medievali, all’assidua preghiera, la Beata univa penitenze durissime: digiuno, veglie, cilicio, flagellazione. Tutto per imitare il Cristo che si consegnò volontariamente alla passione per la salvezza dell’umanità.

La Beata Margherita è un esempio di donna evangelica che maturò una profonda e fervente esperienza di vita unitiva con il Signore. L’infermità non le impedì di vivere una eccezionale e feconda maternità spirituale, che anche oggi richiama l’importanza del prendersi cura degli altri. Inoltre, può essere un forte richiamo di speranza per ogni situazione di emarginazione e sofferenza.

Nel tempo il culto si è largamente diffuso nel mondo, grazie all’impegno dei frati Predicatori. Più di recente 1988 la beata venne proclamata patrona dei disabili per le Diocesi di Città di Castello e di Urbino – Urbania – Sant’Angelo in Vado, su richiesta del vescovi mons. Carlo Urru e Ugo Donato Bianchi. Nel 1999 il vescovo di Città di Castello, mons. Pellegrino Tomaso Ronchi, riaprì la causa per la canonizzazione, in collaborazione con la Postulazione dell’Ordine dei Predicatori. Dal 22 marzo 2000 ha avuto inizio il processo diocesano e nel 2019 i vescovi di Città di Castello, mons. Domenico Cancian, e di Urbino – Urbania – Sant’Angelo in Vado hanno chiesto al Santo Padre la procedura dell’equipollenza, proprio tenendo conto della vasta diffusione del culto.
L’11 dicembre 2019, il Santo Padre Francesco, durante l’Udienza concessa all’Em.mo Card. Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, autorizzò la preparazione della Positio super canonizatione aequipollenti, ossia circa l’estensione del culto della Beata alla Chiesa universale.
La Seduta dei Consultori Storici si tenne il 29 settembre 2020, con esito affermativo.
Il Congresso Peculiare dei Consultori Teologi si celebrò il 26 gennaio 2021, con esito affermativo.
La Sessione Ordinaria dei Cardinali e Vescovi si riunì il 13 aprile 2021, esito affermativo.
In data odierna, al termine delle procedure canoniche richiese, papa Francesco ha approvato l’iscrizione del nome di Margherita di Città di Castello nell’albo dei santi della Chiesa Cattolica. La sua canonizzazione potrà contribuire a promuovere la dignità delle persone emarginate e a superare la diffusa “cultura dello scarto”.

I Vescovi dell’Umbria hanno incontrato il Presidente dell’ANCI regionale Michele Toniaccini, Sindaco di Deruta

Venerdì 23 aprile 2021, presso il Seminario regionale di Assisi, si è svolta la riunione della Conferenza Episcopale Umbra (Ceu). I Vescovi, tra l’altro, hanno incontrato il presidente dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani dell’Umbria, Michele Toniaccini, sindaco di Deruta.

In un clima di grande cordialità, sono state affrontate tematiche significative sia per la Chiesa che per la società civile. Si è parlato del prezioso ruolo degli Oratori nel cammino educativo delle giovani generazioni, delle comunità di accoglienza per giovani in difficoltà a seguito di dipendenze, ed è stato evidenziato l’importante impegno delle Caritas in collaborazione con enti pubblici per far fronte alle difficoltà di tante persone e famiglie.

L’arcivescovo di Spoleto-Norcia e presidente della Ceu mons. Renato Boccardo ha ringraziato Toniaccini per l’intesa esistente tra i Comuni e le parrocchie in favore delle popolazioni del territorio, auspicando che possa crescere sempre più: «Abbiamo apprezzato l’iniziativa del Presidente dell’ANCI Umbria di farci visita, portando il saluto dei suoi colleghi sindaci, e abbiamo confermato la reciproca disponibilità ad incrementare forme di collaborazione che favoriscano la ripresa e il consolidamento del tessuto sociale ed economico, ma soprattutto umano, dopo il difficile tempo difficile della pandemia da Covid-19.

«Oggi – ha detto Michele Toniaccini – si rafforza il dialogo tra l’istituzione civile e quella ecclesiale. Solidarietà, collaborazione, fede e spirito civico sono gli elementi essenziali e necessari che ci vedono coinvolti nel progettare un nuovo percorso volto a superare questo momento caratterizzato non solo da una crisi economica, ma anche morale, civile e relazionale. Una crisi anche di valori che possiamo e dobbiamo condividere con la Chiesa: la persona e la famiglia, fulcro della nostra società, devono tornare al centro dell’azione di noi Sindaci. La missione di ogni politico deve essere ricca di ideali e di valori».

Il cardinale Bassetti ha concluso le celebrazioni pasquali nella concattedrale di Città della Pieve. Il presule: «La morte non può più avere l’ultima parola e questa è la notizia sconvolgente della Pasqua»

Le celebrazioni del Triduo pasquale presiedute dal cardinale Gualtiero Bassetti si sono concluse nella concattedrale dei Ss. Gervasio e Protasio di Città della Pieve, scrigno prezioso d’arte, cultura e storia, nella terra natale del divin pittore, Pietro Vannucci, detto il Perugino, del quale tra due anni, nel 2023, ricorrerà il V centenario della morte. Per l’importante evento è stata istituita recentemente una Commissione diocesana per l’organizzazione delle iniziative culturali ecclesiali presieduta dal vescovo ausiliare monsignor Marco Salvi.

Un forte legame. Il cardinale Bassetti, che sin dall’inizio del suo episcopato umbro ha intessuto un forte legame anche affettivo con la comunità pievese, è giunto a Città della Pieve nel pomeriggio di Pasqua, 4 aprile, celebrando la messa vespertina nella concattedrale insieme al parroco e arciprete don Simone Sorbaioli e ai canonici don Aldo Gattobigio e mons. Augusto Panzanelli.

Una presenza discreta. In queste festività pasquali, nella terra del divin pittore, soggiorna con la sua famiglia il presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi, che ha preso parte alla messa vespertina, come fa spesso quando è alla Pieve. Una presenza discreta, quella di Draghi nella concattedrale dei Ss. Gervasio e Protasio della quale il cardinale Bassetti non era informato. Infatti, all’inizio dell’omelia, ha detto: «Voglio anche mandare un indirizzo di saluto e soprattutto assicurare le nostre preghiere al presidente del Consiglio che è da tempo nostro concittadino. In questo momento, per tutti coloro che hanno una grande responsabilità, e ne sa qualcosa anche il sottoscritto, c’è veramente bisogno di tante preghiere».

La presenza del Pastore. Prima ancora il cardinale aveva rivolto il suo ringraziamento ai sacerdoti concelebranti e al sindaco Fausto Risini, «che ci sentiamo sempre sostenuti e confortati dalla sua presenza». Rivolgendosi ai pievesi presenti nel rispetto delle norme sanitarie per prevenire la pandemia, il presule ha detto: «prego per tutti voi, per le vostre famiglie, soprattutto se ci sono delle persone ammalate e per quanti hanno perso i loro cari. La presenza del vescovo vuole essere la presenza del Pastore che tiene unito tutto il suo gregge, rivolgendo la sua attenzione e la sua preghiera verso tutti».

Pregare Dio. A conclusione della celebrazione, nel rinnovare il suo augurio pasquale alla comunità pievese, il cardinale ha esortato tutti a pregare Dio affinché «abbia misericordia per tanta parte della nostra umanità dove la gente muore senza medicine, senza ossigeno, senza ospedali, nelle capanne, per la strada. E’ una umanità che invoca la misericordia di Dio, ma c’è anche tanto bisogno della nostra preghiera che vi chiedo di rivolgere incessantemente al Signore e vedrete che Lui ci ascolta».

Tradizione e civiltà. Bassetti, nell’omelia, ha ribadito che «il primo compito del vescovo nella Chiesa è quello di testimoniare che il Signore è risorto. E se il Signore è risorto – ha precisato – è ritornata la vita, è ritornata la speranza. Per noi cristiani la Pasqua è il cuore del mondo, perché è il centro della nostra fede. E’ la festa che celebra la nascita di un mondo nuovo, ed è il giorno di un uomo, che era morto ed è risuscitato, ora è vivo e trionfa. Noi siamo qui per prendere coscienza di questo fatto, che è la nostra tradizione cristiana ed anche la nostra civiltà. Proprio perché conosciamo tutto questo finiamo per darlo per scontato. Tutto si dà per scontato, anche le cose più significative della nostra vita».

La morte è vinta. «Cristo è veramente risorto e quindi il mondo intero e la nostra vita hanno un altro senso. Questo non significa non rendersi conto dei drammi che attanagliano l’umanità – cominciando dalla pandemia, una tragedia a livello mondiale -, pensando alle guerre, alle divisioni fra gli uomini e a tutti i problemi che ben conosciamo e che sono anche nella nostra società. Ieri sera, durante la Veglia pasquale nella cattedrale di Perugia, ho sottolineato alcune di queste problematiche che ci riguardano più da vicino. Con la resurrezione di Cristo, la morte è vinta, è svotata del suo veleno, della sua maledizione. La morte non può più avere l’ultima parola e questa, fratelli e sorelle, è la notizia sconvolgente della Pasqua».

La parola Pasqua. «Accogliere questa notizia è estremamente impegnativo, perché essa deve cambiare totalmente il nostro modo di vivere. Non a caso la parola Pasqua significa passaggio dalle tenebre alla luce, passaggio dalla morte alla vita, passaggio dall’odio all’amore, passaggio da quella ruggine che sta dentro di noi – spesso nei confronti delle persone – al perdono, passaggio dal peccato alla vita di grazia, passaggio – come dice san Paolo – dall’uomo vecchio all’uomo nuovo. Oggi Cristo ci offre questa possibilità e l’unica raccomandazione che ci fa è quella di non tornare indietro, di tagliare i ponti con il vecchio, con l’odio, con le divisioni, con tanti rancori, con tutto quello che non ci fa onore nella vita, come uomini e come cristiani, che va buttato dietro le spalle per vivere come creature nuove. San Paolo ci dice: “togliete via il lievito vecchio per essere la pasta nuova”».

Pasqua di Resurrezione. L’Arcivescovo Boccardo: «Gesù Cristo è veramente risorto! E la speranza della risurrezione è anche speranza per l’uomo, per la sua cultura, perché le apre una prospettiva diversa da quella del declino e dell’autodistruzione».

«La Pasqua è il punto nodale della fede cristiana; è quel segno in cui l’autentico significato di Gesù per l’intera umanità viene condensato in una unità e in una chiarezza assolute». Con queste parole l’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo si è rivolto ai fedeli riuniti nel Duomo di Spoleto, nel rispetto delle norme in atto per evitare il diffondersi del Covid-19, per partecipare alla Messa di Pasqua (domenica 4 aprile 2021). «La morte liberamente accettata per amore – ha detto ancora il Presidente della Conferenza episcopale umbra – è mutata in vita per Gesù e, in lui, per tutta l’umanità che a lui aderisce, per tutti coloro che in lui credono. Cristiano è dunque colui che proclama: Gesù Cristo è veramente risorto! Non solo chi afferma genericamente, con un istinto religioso: c’è un Dio, c’è un Dio buono; oppure, con una venatura etica: dobbiamo amarci gli uni gli altri. Non solo questo fa il cristiano, ma tutto deve condensare e riassumere nella confessione: Gesù Cristo è veramente risorto!».

La liturgia è stata animata dalla corale della Pievania di Santa Maria ed è stata trasmessa in diretta nei canali social della Diocesi. «L’evento della risurrezione – ha affermato mons. Boccardo – ci apre un orizzonte di senso, un universo di speranza; ci ripropone la bontà inalienabile dell’uomo e di tutto il creato che deriva dall’amore di Dio, dall’alleanza che Dio ha da sempre fatto con l’uomo e con la sua vita. La prospettiva della risurrezione è affermare che c’è un futuro per la vita e che questo futuro è per sempre. E la speranza della risurrezione è anche speranza per l’uomo, per la sua cultura, perché le apre una prospettiva diversa da quella del declino e dell’autodistruzione».

La sera della vigilia l’Arcivescovo, sempre in Duomo, ha presieduto la solenne Veglia Pasquale, “la notte di veglia in onore del Signore” (Es 12, 42), definita da S. Agostino “la veglia madre di tutte le veglie”. Mons. Boccardo con i fedeli presenti, tra l’altro, si è soffermato sullo slogan che imperversava durante la prima ondata della pandemia da Covid-19: “Andrà tutto bene!”. «Il passato – ha proseguito il Presule – è visto semplicemente come un tempo lontano, superato, da dimenticare, pieno di rimpianti, di tristezze o, al massimo, come un cumulo di esperienze che fanno da sfondo alle conquiste dell’oggi e del domani. L’uomo moderno si presenta volentieri come l’uomo senza memoria, senza passato, senza padre, contestatore per principio di ogni tipo di tradizione o limitazione che sembri vincolare la sua libertà. Troviamo una manifestazione di questo sentimento nella smania attuale – rilevabile in modi diversi a tutti i livelli – di tornare quanto prima alla situazione sociale ed ecclesiale pre-Covid. […] Impariamo, in questa veglia pasquale, a ricordare i fatti del passato attraverso i quali il Dio dell’alleanza, il Dio dell’amore misericordioso e fedele, ha assicurato la sua perenne presenza nella storia. Impariamo ad inserirci nei fatti del passato grazie alla presenza del Vivente, che è Signore di ogni tempo e nel quale raggiungiamo la presenza a tutte le cose su cui egli regna nella sua pienezza. Abbiamo bisogno di fare memoria in questo modo, inserendoci in Cristo, proprio in vista dei compiti che ci attendono. Sono i tanti problemi di ripresa, di crescita, di trasformazione, che dobbiamo affrontare in questo tempo, e molti di più quelli che ci attendono al termine – che speriamo non troppo lontano – di questo periodo di pandemia. Siamo chiamati ad allargare il respiro tradizionale, attingendo a pieni polmoni al vento dello Spirito, che è il dono pasquale del Risorto».

Perugia – Veglia pasquale nella cattedrale di San Lorenzo. Il cardinale Bassetti: «La Pasqua è la vita della nostra vita… Diffondete i frutti della Resurrezione: c’è chi ha bisogno di pane, c’è chi ha bisogno di casa, c’è chi ha bisogno di lavoro, c’è chi ha bisogno di ospedale…»

«Cristo è risorto! L’evento della Resurrezione non riguarda soltanto lui: irrompe nella vita degli uomini e nella storia, e quindi riguarda ciascuno di noi. Purtroppo nel mondo sembrano prevalere zone di tenebre e tanta paura». A ricordarlo è il cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, nell’omelia della celebrazione della Veglia pasquale nella cattedrale di San Lorenzo, Sabato Santo 3 aprile, anticipata in orario compatibile con il coprifuoco in vigore a seguito della pandemia. Celebrazione che è iniziata con i riti della benedizione del fuoco e dell’accensione del cero pasquale.

Non abbiate paura. L’omelia del cardinale, che è anche il suo messaggio augurale alla comunità diocesana, incoraggia a non avere paura. «Anch’io ho corso il rischio di dover lasciare questo mondo ed ho avuto paura – ha detto Bassetti –. Ci sono tante cose che ogni giorno possono farci temere, e sono come tante pietre pesanti sul cammino della nostra esistenza. Ma non temete: lo Spirito Santo, che è l’amore del Padre, ci ripete: “non abbiate paura!”. Cristo è risorto!».

Essere la Pasqua visibile. «La potenza dello Spirito Santo – ha proseguito il cardinale – è il terremoto misterioso e invisibile che rotola ogni pietra sul nostro cammino. Perciò noi cristiani, non tanto con le nostre parole ma con le nostre opere, dobbiamo essere la Pasqua visibile. Diffondete i frutti della Resurrezione: c’è chi ha bisogno di pane, c’è chi ha bisogno di casa, c’è chi ha bisogno di lavoro, c’è chi ha bisogno di ospedale, perché ora è diventato più difficile poter curare ciò che non è pandemia, e gli ospedali hanno enormi difficoltà».

Annunciare Cristo. «Oggi noi cristiani siamo interpellati: dov’è il vostro Cristo? Dov’è la vostra Pasqua? Guai a noi se non sapremo rispondere: Cristo è qui, vive in me, è in noi, è nella comunità, è nella chiesa! Noi credenti dobbiamo diventare credibili. E la credibilità dello stesso Gesù è dove c’è una famiglia, una comunità, una chiesa viva, in cui lui viene amato, comunicato e testimoniato. Quanto è grande la nostra responsabilità di credenti! È dalla Pasqua, dall’incontro con il Signore che nasce la nostra vocazione missionaria. È lo Spirito del Signore, che deve ardere dentro e spingerci ad annunciare Cristo!»

Non distrarsi dallo Spirito. «Facciamo dunque Pasqua in questo modo, cari figli e fratelli. La Pasqua non può terminare con la consuetudine degli auguri di domani e che domani l’altro non ci sono più. La Pasqua è la vita della nostra vita: è giunto il momento, ed è questo, di deciderci per Cristo. Dice San Paolo: “Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra”. La vita cristiana è proiettata verso il futuro. E anche se il mondo ci distrae dalle cose spirituali, tuttavia è proprio là che dobbiamo orientare il nostro sguardo. “Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio”».

Invadere la vita. «Il tradimento vero della liturgia, e quindi anche della celebrazione pasquale – ha evidenziato Bassetti –, è quello di chiuderla nel tempio e impedirle di invadere la vita. È nascondere nel cuore il tesoro di grazia come qualcosa di personale e di privato e non avere il coraggio della fatica dell’annuncio: questo comportamento sarebbe “mettere la luce sotto il secchio e non innalzarla sopra il candelabro”».

La carezza di Dio. Il cardinale, soffermandosi sulla Via crucis da piazza San Pietro della sera precedente, ha commentato dicendo: «Sul volto scavato del Santo Padre c’era il dolore di questa umanità, così provata dalla pandemia e triste, come se la speranza fosse morta. Quei bimbi con le loro riflessioni e le loro preghiere sono stati per tutti noi la carezza di Dio».

Aprirsi alla speranza. «E se pensiamo a tutti i poveri e i disperati che giungono dai paesi della guerra, vittime di situazioni assurde, disumane, createsi in questi anni, con in più la tragedia mondiale del “virus”, e pensando quanti, anche da noi, tra breve avranno bisogno di lavoro, di casa, di aiuti economici e di solidarietà, mai come in questo nostro tempo è necessario aprirsi alla speranza. In tutti c’è bisogno di Pasqua: “le donne corsero a dare l’annuncio!”. E noi come annunceremo il Risorto, in un mondo assetato di Pasqua, ma anche così distratto?».

Alcuni suggerimenti. Al riguardo il cardinale ha voluto dare a ciascuno «alcuni suggerimenti concreti: Metti tutti gli uomini, tutti davvero, nel cuore della tua preghiera. Essa è più potente di quanto tu pensi e arriva più lontano di quanto tu immagini; Fatti una mente pulita, libera da pregiudizi e giudizi, per pensare agli altri e incontrarli con disponibilità e libertà interiore; Mantieni con tutti un dialogo aperto e carico di speranza, nel quale, come una fiammella dentro una lampada, splende la coerenza della tua vita; Apri la mano ad aiutare i fratelli secondo le loro necessità e le tue possibilità. La nostra Caritas sta promuovendo interessanti e utilissime iniziative. La carità autentica proclama che Dio non è morto e continua ad amare gli uomini. La carità autentica garantisce l’esperienza pasquale, facendoci passare dalla morte alla vita».