Il saluto di monsignor Domenico Sorrentino ai partecipanti alla marcia straordinaria della pace Perugia – Assisi

Cari fratelli e sorelle,
abbiamo da poco ricevuto il saluto di papa Francesco. Ci ha chiesto due cose:
1. «accrescere la preghiera per la pace».
2. «avere il coraggio di dire, di manifestare che la pace è possibile».
Per voi, marciatori della pace, l’invito a manifestare sfonda una porta aperta.
Permettetemi di sottolineare, come mi è già capitato di fare nella Lettera ai governanti dei popoli, la prima richiesta del papa: «accrescere la preghiera per la pace».
Facciamo forse fatica a percepire la forza “strategica” di questa parola. Eppure è proprio questa il fondamento di una cultura della non-violenza, che non si limiti a dire “no” alle armi. Da solo, questo “no” potrebbe essere ambiguo. A chi è aggredito potrebbe apparire persino cinico, come una complicità con l’aggressore.

Dentro l’invito alla preghiera c’è l’invito alla conversione di ciascuno di noi, ma anche delle nostre istituzioni e delle nostre politiche. Noi cristiani siamo convinti – in sintonia con quanti esprimono la loro fede in modi diversi, come avvenne nella preghiera per la pace elevata qui da Giovanni Paolo II con i leaders religiosi del mondo il 27 ottobre 1986 e da noi rilanciata il 27 di ogni mese – che se non ritroviamo il senso di Dio come unico Signore della vita, di ogni vita, e come fondamento della nostra fraternità, non avremo abbastanza forza per riconoscere, anche come base delle nostre istituzioni nazionali e internazionali fino all’ONU, che nessuno di noi è padrone della vita, e nessuno può credersi in diritto di usare la forza per risolvere alla sua maniera i problemi del mondo.

La cultura della non-violenza è oggi di fronte a una sfida: dimostrare di avere la capacità di difendere veramente gli aggrediti sostenendo una diplomazia che poggi non su equilibri di potere, ma sulle ragioni della fraternità.

È questa la diplomazia che serve. Papa Francesco si è messo a disposizione. Ieri Zelenski ha detto che accoglierebbe la sua mediazione. E perché non potrebbe accoglierla anche Putin? Questa piazza è la grande scuola della diplomazia della pace di cui è maestro il Poverello di Assisi. Noi vogliamo aiutare le diplomazie ascoltando l’invito del Papa a compiere il primo atto, direi “popolare”, di questa diplomazia, e cioè un atto di verità con noi stessi e dentro noi stessi, di cui è appunto espressione la preghiera, o, per chi non sa pregare, la meditazione sul senso della vita e del mistero che la avvolge. Vi chiedo un minuto di silenzio orante, in cui ciascuno di noi si faccia carico intimamente delle sofferenze di tanti fratelli che stanno morendo e soffrendo in questa guerra e in tutte le guerre del mondo. Un silenzio orante che sia anche un atto di umiltà, in cui ci riconosciamo tutti “custodi” dei fratelli e delle sorelle, e facciamo arrivare un sentimento di fraternità persino a coloro che consideriamo nemici o che sono responsabili della guerra, chiedendo a Dio di toccare i loro cuori.

Questa piazza di pace diventi, almeno idealmente, il luogo ospitale di una diplomazia che metta subito fine a questa sciagurata guerra e ponga le premesse di una pace giusta e duratura in Europa e nel mondo. Grazie, popolo della pace!