Per una fede celebrata e condivisa: tessuto delle comunità, senso di appartenenza, qualità delle celebrazioni.

A. Brano biblico (At 2, 42-47; 4, 32-35)
Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.

La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Con grande forza gli apostoli davano testi- monianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti go- devano di grande favore. Nessuno infatti tra loro era biso- gnoso, perché quanti possedevano campi o case li ven- devano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distri- buito a ciascuno secondo il suo bisogno.

B. Dalla Evangelii gaudium (24. 113-114. 137-138)

    • 24. La comunità evangelizzatrice gioiosa sa sempre “festeg- giare”. Celebra e festeggia ogni piccola vittoria, ogni passo avanti nell’evangelizzazione. L’evangelizzazione gioiosa si fa bellezza nella Liturgia in mezzo all’esigenza quotidiana di far progredire il bene. La Chiesa evangelizza e si evan- gelizza con la bellezza della Liturgia, la quale è anche ce- lebrazione dell’attività evangelizzatrice e fonte di un rin- novato impulso a donarsi.
    • 113. Questa salvezza,che Dio realizza e che la Chiesa gioiosamente annuncia, è per tutti, e Dio ha dato origine a una via per unirsi a ciascuno degli esseri umani di tutti i tempi. Ha scelto di convocarli come popolo e non come esseri isolati. Nessuno si salva da solo, cioè né come individuo isolato né con le sue proprie forze. Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che comporta la vita in una comunità umana. Questo popolo che Dio si è scelto e convocato è la Chiesa. Gesù non dice agli Apostoli di formare un gruppo esclusivo, un gruppo di élite. Gesù dice: “Andate e fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19). San Paolo afferma che nel popolo di Dio, nella Chiesa “non c’è Giudeo né Greco... perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3, 28). Mi piacerebbe dire a quelli che si sentono lontani da Dio e dalla Chiesa, a quelli che sono timorosi e agli indifferenti: il Signore chiama anche te ad essere parte del suo popolo e lo fa con grande rispetto e amore!
    • 114. Essere Chiesa significa essere Popolo di Dio, in accordo con il grande progetto d’amore del Padre. Questo implica essere il fermento di Dio in mezzo all’umanità. Vuol dire annunciare e portare la salvezza di Dio in questo nostro mondo, che spesso si perde, che ha bisogno di avere ri- sposte che incoraggino, che diano speranza, che diano nuovo vigore nel cammino. La Chiesa dev’essere il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo.
    • 137. Occorre ora ricordare che “la proclamazione liturgica della Parola di Dio, soprattutto nel contesto dell’assemblea eu- caristica, non è tanto un momento di meditazione e di ca- techesi, ma è il dialogo di Dio col suo popolo, dialogo in cui vengono proclamate le meraviglie della salvezza e continuamente riproposte le esigenze dell’Alleanza”. Vi è una speciale valorizzazione dell’omelia, che deriva dal suo contesto eucaristico e fa sì che essa superi qualsiasi catechesi, essendo il momento più alto del dialogo tra Dio e il suo popolo, prima della comunione sacramentale. L’omelia è un riprendere quel dialogo che è già aperto tra il Signore e il suo popolo. Chi predica deve riconoscere il cuore della sua comunità per cercare dov’è vivo e ardente il desiderio di Dio, e anche dove tale dialogo, che era amoroso, sia stato soffocato o non abbia potuto dare frutto.
    • 138. L’omelia non può essere uno spettacolo di intrattenimento, non risponde alla logica delle risorse mediatiche, ma deve dare fervore e significato alla celebrazione. È un genere peculiare, dal momento che si tratta di una predicazione dentro la cornice di una celebrazione liturgica; di conseguenza deve essere breve ed evitare di sembrare una conferenza o una lezione. Il predicatore può essere capace di tenere vivo l’interesse della gente per un’ora, ma così la sua parola diventa più importante della cele- brazione della fede. Se l’omelia si prolunga troppo, dan- neggia due caratteristiche della celebrazione liturgica: l’armonia tra le sue parti e il suo ritmo. Quando la predica- zione si realizza nel contesto della liturgia, viene incorporata come parte dell’offerta che si consegna al Padre e come mediazione della grazia che Cristo effonde nella celebra- zione. Questo stesso contesto esige che la predicazione orienti l’assemblea, ed anche il predicatore, verso una co- munione con Cristo nell’Eucaristia che trasformi la vita. Ciò richiede che la parola del predicatore non occupi uno spazio eccessivo, in modo che il Signore brilli più del ministro.

C. Domande

  1. Quali segnali mettono in evidenza il senso di appartenenza alla parrocchia, all’unità pastorale, alla diocesi, alla Chiesa universale?
  2. Quanto la domenica esprime e genera la gioia di fare comunità attorno al Risorto e manifesta il senso della festa?
  3. Come valutiamo la qualità delle celebrazioni domenicali? Circola in esse la gioia della fede, il clima della festa e il senso di appartenenza ecclesiale?
  4. Come il clero della nostra diocesi vive e annuncia la gioia del Vangelo? In che misura la Evangelii gaudium è stata recepita dai presbiteri e dai diaconi?

D. Bibliografia

  • CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Eucaristia, Comunione e Comunità. Documento pastorale, Roma 1983.
  • CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Il giorno del Signore. Nota pastorale, Roma 1984.
  • CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia. Nota pastorale (nn. 3-4), Roma 2004.