Assisi – La scrittrice Edith Bruck racconta la sua vita di sopravvissuta e lancia un appello ai giovani contro la guerra in Ucraina

“Purtroppo c’è ancora male nel mondo, sia vicino che lontano, anche se oggi non c’è vera lontananza e arriva tutto in tempo reale. Succedono cose allucinanti, che bisogna seguire, capire, non tacere e protestare. La guerra non è mai lontana”. Da Assisi Edith Bruck lancia il suo appello per la pace, affinché certe tragedie non abbiano a ripetersi mai più. Ma ai giovani, Bruck racconta anche come sia importante mobilitarsi, perché ciò sembra lontano – il conflitto tra Russia e Ucraina – non è lontano da noi. “Non tacete: bisogna assolutamente protestare perché è in gioco il vostro futuro, il futuro dell’Europa, la vostra vita. E Assisi, che ha salvato tanti ebrei facendo la cosa più umana giusta che si possa fare, potrebbe ancora essere un esempio in tal senso. Scendete in piazza e protestate”.

Accolta da manifesti dei ragazzi con scritto “Grazie Edith Bruck” e interrotta da frequenti e scroscianti applausi, la scrittrice ungherese, naturalizzata italiana e sopravvissuta, quando aveva 13 anni, a sei campi di concentramento, è arrivata ad Assisi martedì 1 marzo, protagonista di un doppio appuntamento per la Giornata europea dei Giusti che si celebra il 6 marzo. L’iniziativa è stata organizzata dal Museo della Memoria, Assisi 1943-1944 realizzato dalla fondazione diocesana Opera Casa Papa Giovanni e dal Comune di Assisi, con il patrocinio della Provincia di Perugia. Al teatro Lyrick di Santa Maria degli Angeli Bruck intervistata da Simona Sala, direttore del TG3 e da Marina Rosati, responsabile del Museo della Memoria, ha raccontato la sua storia di donna, deportata e sopravvissuta a circa mille studenti di ogni ordine e grado di numerose scuole umbre. Ai ragazzi ha raccontato la sua vita, come Papa Francesco ha chiesto di incontrarla dopo aver visto una sua intervista all’Osservatore Romano, la testimonianza “faticosa” della sua esperienza nei campi di concentramento, i momenti bui, ma anche “i cinque punti di luce nel campo: un cuoco che mi chiese come mi chiamavo, un soldato che mi diede un guanto bucato, uno che non mi sparò, un altro che mi fornì un’indicazione salvifica e uno che mi diede un po’ di marmellata. Ho ricominciato a vivere pensando a queste piccole luci nel buio”.

“Avevo 13 anni e venivo da una famiglia poverissima, con decine di famiglie ebraiche, tutte abbastanza povere. Quella degli ebrei ricchi era una favola, e faceva parte della disinformazione generale. Eravamo alla mercé di chi ci aggrediva e ci sputava. Mio padre nel ’42 è stato mandato a casa dal lavoro, non servivano più gli ebrei”. Ha anche rievocato la vicenda che dà origine a uno dei suoi libri più famosi: “La mia vicina ci regalò della farina: perché, dopo la Pasqua ebraica durante la quale non si mangia il pane lievitato, mia madre aveva preparato cinque pagnotte. E quando i gendarmi arrivano alla nostra porta, mia madre che era andata lievitazione del pane, di cui era orgogliosa, cominciando ad urlare: ‘Il pane è perduto, il pane è perduto!…’, episodio da cui nasce il titolo del romanzo”. Sulla vita nei campi ha spiegato come l’amicizia fosse impensabile: “Erano tempi in cui arrivavi a pensare di rubare l’ombra di pane dalle mani di tua sorella. Era un miracolo sopravvivere, ogni giorno portavano via le persone: Auschwitz non era un campo di lavoro, ma di sterminio. E poi ci hanno portato a Dachau, un altro campo di concentramento dove hanno portato anche omosessuali e handicappati, anche figli dei tedeschi, e diversi sacerdoti”. La sua esperienza di testimonianza l’ha portata in tutta Italia: “Io – ha detto rispondendo alle domande dei ragazzi – volevo parlare subito di questa terribile tragedia, anche con i parenti, ma nessuno voleva ascoltare. E per questo ho scelto di scrivere perché anche se l’orecchio umano non vuole sentire, la carta sopporta tutto. Come si può raccontare tutto questo senza odio? Ringrazio Dio di non conoscere il sentimento dell’odio, e infatti non capisco chi oggi definisce gli immigrati ‘zecche di cane’, che dovrebbero affogare. Non capisco come si possa, ancora oggi, uccidere in nome di Dio: è una cosa mostruosa. Testimoniare per me è una missione, è una cosa faticosissima, ma quando vedo i ragazzi come voi che ascoltano mi ripaga di tutta la fatica”. L’incontro con i ragazzi si è concluso con la consegna a Bruck di un cartellone con disegnati i suoi cinque punti luce e un diario bianco dove poter continuare a scrivere questa importante testimonianza.

Nel pomeriggio, nella sala della Conciliazione del palazzo comunale, Edith Bruck è stata accolta dal sindaco, Stefania Proietti, come cittadina onoraria di Assisi: il 17 giugno scorso insieme agli altri sopravvissuti italiani alla Shoah, la scrittrice è stata insignita della cittadinanza onoraria di Assisi. Presenti le altre autorità civili e militari.