Terni – Coronvirus. Dichiarazione del vescovo Giuseppe Piemontese sul protrarsi del divieto delle celebrazioni religiose con il popolo, disposto dal DPCM 26 aprile.

E’ inutile negare che questo provvedimento, annunciato dal presidente Conte il 26 aprile, ha provocato una grandissima amarezza tra i cristiani, tra i vescovi e in me. Un’amarezza per una limitazione che io leggo come un abuso. In questi due mesi abbiamo accettato con grande sacrificio, con grande sofferenza, le limitazioni che ci sono state imposte per le celebrazioni dei sacramenti e soprattutto della messa. Le abbiamo accettate sapendo di dare un contributo per il benessere della Nazione. Ci siamo chiesti più volte come mai i nostri governanti prestassero attenzione a coloro che accompagnano i cani a fare una passeggiata, a coloro che vanno a comprare sigarette, a coloro che vanno a fare la spesa, ma per coloro che vogliono partecipare alla messa, con le dovute protezioni, ci fosse un diniego perentorio e sistematico.

Chi non conosce la vita cristiana non può capire la sofferenza grande che abbiamo provato nel privarci dell’eucarestia e soprattutto delle celebrazioni della settimana santa. Pensavamo che tanto sacrificio fosse sufficiente, ma ci rendiamo conto che a qualcuno ciò non basta. Ora viene concessa la possibilità di fare le passeggiate, le corse a piedi, andare nei parchi, perfino di celebrare funerali con la presenza di 15 persone possibilmente all’aperto. Voglio ricordare che abbiamo pregato per i morti, siamo andati al cimitero (anzi fuori dei cimiteri ci è stato consentito) a benedire le salme, a dare conforto ai familiari. Ora vediamo queste nuove disposizioni e proibizioni come un abuso che non può passare inosservato e sotto silenzio, ne va di mezzo la fede dei cristiani e la libertà di culto. Ne va di mezzo il benessere spirituale di tante persone che sono impegnate nelle varie forme di Carità, di assistenza, di volontariato, che come hanno scritto i vescovi nella nota consegnata ieri alla stampa: “dovrebbe essere chiaro a tutti che l’impegno al servizio verso i poveri, così significativo in questa emergenza” – e so quanto la chiesa, le parrocchie sono vicine e poveri e sostengono i poveri – “tutto questo nasce non da una filantropia, ma da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare alla vita sacramentale”.

Mi auguro che il governo ripensi a tutto questo e ci ponga, almeno, sullo stesso piano, sullo stesso livello di chi va a fare la spesa, o di chi accompagna il cane a passeggio, faccia come vuole, ma che ci consenta, con tutte le accortezze che noi siamo disposti a mettere in campo, di celebrare l’Eucarestia con il popolo di Dio e tornare a nutrire la fede dei cristiani attraverso i sacramenti. Me lo auguro e spero che questo si realizzi, perché, altrimenti, si verificherà veramente un abuso insostenibile.

Perugia: Il cardinale Bassetti ha celebrato la decima messa a “porte chiuse”. Il presule: «“Resta con noi, Signore!”. Sia questo anche il nostro grido, e allora nella nostra vita non si farà mai sera»

«In questa terza Domenica di Pasqua, abbiamo ascoltato una Parola, così ricca, così incisiva, così appropriata alla nostra vita, che sarebbe davvero un peccato se rimanesse come un suono nelle nostre orecchie e non penetrasse profondamente nel nostro cuore». Così ha esordito il cardinale Gualtiero Bassetti nell’omelia della messa domenicale del 26 aprile celebrata nella cappella di Sant’Onofrio della cattedrale di Perugia. E’ stata la decima celebrazione eucaristia festiva presieduta dal cardinale, a “porte chiuse”, dall’inizio dell’emergenza sanitaria, trasmesse tutte in diretta da Umbria Tv, Umbria Radio InBlu e sui social media ecclesiali.

Non sapere attendere. Commentando il passo del Vangelo di Luca, dei due discepoli di Emmaus, il presule ha detto: «Mi colpisce il gesto di Gesù, dinanzi all’insistenza dei due discepoli nel chiedergli: “Resta con noi, Signore, perché si fa sera e il giorno, ormai, è al tramonto. Egli entrò per rimanere con loro”. Stamani, cari fratelli e sorelle, questo è anche il nostro grido: “Resta con noi, Signore!”. Resta con noi nei momenti bui, come questo che stiamo vivendo, con problemi enormi e con un futuro che è incerto per tutti. Resta con noi, perché siamo troppo distratti e quindi ci capita spesso, come ai due discepoli di Emmaus, di non sapere leggere al presente la storia del passato… “Noi speravamo – essi dissero – con tutto ciò sono passati tre giorni…” Ecco la consistenza della nostra fede! Tre giorni e sembrano un’eternità… Dobbiamo riconoscere, purtroppo, che non sappiamo attendere».

Dipanare il gomitolo della vita. «Signore noi abbiamo bisogno di te – ha proseguito il cardinale –. Dei tuoi gesti e delle tue parole: speriamo di poter tornare presto a celebrare l’Eucarestia! Te lo chiediamo col cuore, perché abbiamo bisogno di sentire da te la spiegazione delle Scritture, ma soprattutto abbiamo bisogno che la nostra vita si dipani davanti alla tua Parola e non continui ad arrotolarsi su sé stessa, perché questo è il rischio che noi corriamo. Abbiamo bisogno che la Parola di Dio e il cibo dell’Eucaristia, soprattutto, dipanino questo gomitolo che è la nostra vita».

No al ruolo di rimorchi. «Dovremmo essere proprio noi cristiani ad essere innamorati di Cristo e della Chiesa, per poter contagiare gli altri – ha esortato a fare il cardinale –: invece quante volte quasi ci vergogniamo della nostra fede e siamo i primi a dare una controtestimonianza… Dovremmo essere noi credenti a creare novità, come dice il Santo Padre a sviluppare “processi”, a trascinare gli altri con la forza e la freschezza del Vangelo, invece ci ritroviamo spesso rimorchiati».

Coscienza critica della società. Innalzando la preghiera al Signore, il presule ha detto: «Aiutaci a non cedere mai alle superficialità! Rendici vivi, attivi, protagonisti all’interno della società. Rendici più incisivi: non basta essere credenti, occorre essere credibili, capaci di testimonianza, capaci di pronunciare parole di vita, parole vere che escano dalla bocca di Dio! Torniamo ad essere costruttivi e, quando necessario, anche coscienza critica della società, perché sia più sveglia e più attenta nei confronti dei perseguitati, dei poveri, di quanti subiscono violenza, degli ultimi e di tutti coloro che sono soli, nell’abbandono e nelle ristrettezze economiche. Se un tempo si diceva per quest’ultima categoria di persone: “non arrivano alla fine del mese”, oggi, in questo difficile momento, possiamo dire: “non arrivano alla fine della giornata”. Quante volte anche nel volto di tanti cristiani io noto tristezza… Questa tristezza non sia mai dovuta alla sconfitta del Vangelo nella nostra vita e in quella dei fratelli, perché se si sconfigge il Vangelo allora abbiamo ben motivo per essere tristi».

Riconoscere il Crocifisso. «Non ci manchino mai occhi per vedere: ci sono tanti motivi per essere preoccupati e tristi nella nostra vita, in quella delle nostre famiglie e della società. Sono spesso questi i motivi che ci rendono preoccupati, ma è proprio in questo contesto di problemi che il Crocefisso si accosta a noi e spesso non lo riconosciamo fino in fondo. Solo la compagnia di Gesù vivo e Risorto – ha concluso il cardinale – può trasformarci il cuore e la nostra vita. “Resta con noi, Signore!”. Sia questo anche il nostro grido! “Resta con noi”, e allora nella nostra vita non si farà mai sera».

Assisi – preghiera per il Kivu nell’appuntamento mensile del 27 in ricordo dell’incontro interreligioso del 1986 voluto da San Giovanni Paolo II

Il 27 aprile ricorre il consueto appuntamento mensile di preghiera per la pace voluto dal vescovo monsignor Domenico Sorrentino e portato avanti dalla Commissione diocesana Spirito di Assisi. La preghiera del 27 ricorda lo storico incontro interreligioso del 1986 voluto da San Giovanni Paolo II. Questo mese l’invito è a pregare per la pace in Kivu e per la cessazione in questa regione della Repubblica democratica del Congo dell’epidemia da virus ebola e della pandemia da coronavirus.

“Siamo consapevoli – scrive il vescovo Sorrentino nell’invito alla preghiera – che pur di fronte a conflitti mediaticamente e politicamente “dimenticati” e “a bassa intensità”, nel cuore di Dio sono invece molto vive e presenti.

Tra i conflitti armati definiti in quel modo c’è appunto quello in Kivu, una regione della Repubblica Democratica del Congo, la cui disgrazia sembra essere dettata dalla sua ricchezza, ovvero dalle materie prime presenti nel sottosuolo – in primis il coltan – indispensabili per la nostra tecnologia (smartphone, computer…). Il governo e alcune formazioni armate irregolari ormai da anni si contendono il controllo delle aree delle miniere con la violenza. Molto spesso sono donne e bambini a restare vittime di crudeltà di ogni tipo. A questo si aggiunge l’epidemia di ebola che ha mietuto un numero impressionante di vittime e che sembra essere stata ormai ridotta drasticamente proprio nel momento in cui la pandemia del Covid 19 sta raggiungendo il continente africano. Non è difficile comprendere quali effetti distruttivi avrebbe la diffusione della pandemia nel continente africano poco attrezzato in termini di assistenza sanitaria e di infrastrutture.

Sono tutte ragioni – conclude il vescovo – che ci inducono a elevare la nostra preghiera dell’appuntamento del 27 aprile all’unico Dio secondo le diverse tradizioni religiose, nei tempi e nei modi che ciascuno sceglierà, per le popolazioni di quella vasta area del Congo. In questo tempo in cui anche il nord del mondo vede negli occhi la morte e la sofferenza di tanti fratelli e sorelle, sgorghi più forte anche la supplica perché gli uomini possano accogliere il dono della pace”.

Come di consueto religiosi e laici sono invitati a pregare per questo Paese nei vari momenti e nelle celebrazioni eucaristiche della giornata. Non è previsto un momento comune, ma ognuno è invitato a pregare per questa intenzione nell’arco della giornata del 27 aprile.

Perugia – Nel tempo del Covid-19: primo maggio, l’Atto di Affidamento dell’Italia a Maria annunciato dal presidente della Cei da piazza IV Novembre di Perugia. Domenica 26 aprile, decima messa celebrata dal cardinale Bassetti a “porte chiuse”

«Nasce dal cuore della gente l’idea di affidare l’Italia alla protezione della Madre di Dio come segno di salvezza e di speranza». Così, in sintesi, il cardinale arcivescovo e presidente della Cei Gualtiero Bassetti, nell’annunciare, attraverso un video-messaggio da piazza IV Novembre di Perugia, davanti all’Arcivescovado, l’Atto di affidamento del Paese a Maria che la Chiesa italiana farà raccogliendosi idealmente in preghiera il primo maggio, alle ore 21, dalla basilica di Santa Maria del Fonte presso Caravaggio, nella Diocesi di Cremona (provincia di Bergamo). E’ un santuario mariano di una delle zone-simbolo dell’epidemia che fino ad oggi ha causato in Italia più di 26mila morti. Il video-messaggio di annuncio del cardinale Bassetti, a cura dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei, è visionabile all’indirizzo internet: https://chiciseparera.chiesacattolica.it/card-bassetti-latto-di-affidamento-a-maria-nasce-dal-cuore-della-gente/.
Il popolo cristiano spinge i pastori. «I pastori hanno il compito di guidare il loro gregge, il popolo cristiano – evidenzia il presidente della Cei –, ma spesso è il popolo cristiano che spinge i pastori, come è avvenuto in questo caso. Ho ricevuto più di trecento lettere piene di amore e di devozione nei confronti della Vergine Maria» in cui, racconta il cardinale Bassetti, si chiede «perché non dedicare al Cuore Immacolato di Maria la nostra nazione, le persone che soffrono per questa epidemia, tutti coloro che lavorano negli ospedali e che devono occuparsi del loro prossimo».

Dieci messe pro populo. Nel frattempo l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, domenica 26 aprile, alle ore 10, celebrerà per la decima volta, dall’inizio dell’emergenza, la S. Messa festiva a “porte chiuse”, pro populo, trasmessa dalla cattedrale perugina in diretta da Umbria Tv, Umbria Radio InBlu e sui social media ecclesiali (vedi locandina allegata), nell’attesa, come sottolinea il cardinale Bassetti rivolgendo un «appello alle Istituzioni perché al più presto il popolo cristiano sia riammesso alla celebrazione dell’Eucarestia». Il presule auspica che «la gente possa avere la consolazione dei funerali in chiesa», come anche possano «essere dati gli altri sacramenti sempre nel rispetto delle norme sulla sicurezza che sono necessarie».

Le precedenti nove celebrazioni eucaristiche presiedute dal cardinale Bassetti (incluse quelle del Triduo pasquale), a partire da domenica 15 marzo, sono state sempre trasmesse in diretta e annunciate ai fedeli attraverso articoli e messaggi sui social media.

Terni – Monastero delle Clarisse celebrazione della III domenica di Pasqua. Mons. Piemontese: “Nei due discepoli, che si allontanano di Gerusalemme, in fretta e distanziati, possiamo intravedere e leggere la vicenda dell’umanità nel tempo del Coronavirus”.

La messa festiva della III domenica di Pasqua, è stata celebrata, senza la presenza dei fedeli, dal vescovo mons. Giuseppe Piemontese, nella chiesa di Santa Chiara del monastero clariano della Santissima Annunziata di Terni, e che è stato animata dalle sorelle Clarisse.
Il vescovo ha ricordato come “Quella che abbiamo vissuto e stiamo vivendo è una Pasqua senza la presenza fisica del Popolo di Dio, sottolineata dalle note del dolore, sofferenza, malattia, morte” e facendo riferimento al vangelo dei discepoli di Emmaus ha evidenziato “Nei due discepoli, che si allontanano di Gerusalemme, in fretta e distanziati, possiamo intravedere e leggere la vicenda dell’umanità nel tempo del Coronavirus…. Uomini e donne, che avevano impostato la parabola dell’esistenza in una folle gara di orgogliosa presunzione di raggiungere traguardi scientifici, economici e sociali infiniti, ponendo ai margini limiti etici e il bene complessivo dell’intera umanità: la terra, il cielo, il mare, gli animali, le piante, l’uomo in tutte le sue dimensioni. I due di Emmaus, spaventati fuggono, impauriti per le loro attese deluse e per le ambizioni frustrate. Una prospettiva di vita infranta. Noi speravamo…
Emmaus è la certificazione della sconfitta di un modello di umanità e di sviluppo basato solo in una dimensione orizzontale, in una prospettiva terrestre, fatta di possesso smodato, sfruttamento della creazione, in una competizione selvaggia, prevalenza degli istinti animaleschi della lussuria, predominio dell’uomo sull’uomo, di nazioni su nazioni con la forza della violenza, delle armi, dell’economia, della finanza…Noi speravamo… Ora constatiamo la fine di un sogno, la certificazione della vittoria e prevalenza dell’odio e della morte. La prospettiva è allontanarsi e in fretta… andare lontano anche fisicamente dal teatro dei nostri sogni, incontro al buio, alla notte, verso una meta sconosciuta”.

OMELIA DEL VESCOVO

Caritas Italiana – aumentano i nuovi poveri. I primi dati di una rilevazione nazionale di Caritas

Un aumento in media del +114% nel numero di nuove persone che si rivolgono ai Centri di ascolto e ai servizi delle Caritas diocesane rispetto al periodo di pre-emergenza coronavirus. È il dato allarmante che risulta da una prima rilevazione condotta a livello nazionale su 70 Caritas diocesane in tutta Italia, circa un terzo del totale.

Caritas Italiana, in accordo con la Segreteria generale della Conferenza Episcopale Italiana della quale è organismo pastorale, fin dai primi giorni dell’emergenza ha intensificato il contatto e il coordinamento di tutte le 218 Caritas diocesane in Italia, a partire da quelle del nord più immediatamente colpite dalla diffusione del coronavirus. Coordinamento che continua anche attraverso questa rilevazione, in un’ottica anche di cura della rete e rafforzamento delle relazioni.

Le Caritas diocesane interpellate hanno evidenziato nella quasi totalità dei casi un aumento nelle segnalazioni dei problemi di occupazione/lavoro e di quelli economici. Il 75,7% di esse segnala anche un incremento dei problemi familiari, il 62,8% di quelli d’istruzione, il 60% di salute, anche in termini di disagio psicologico e psichico, e in termini abitativi. Vengono poi indicati anche nuovi bisogni, come quelli legati a problemi di solitudine, relazionali, anche con risvolti conflittuali, ansie e paure, disorientamento e disinformazione.

Allo stesso tempo, si registra un aumento rispetto alle richieste di beni e servizi materiali – in particolare cibo e beni di prima necessità, con la distribuzione di pasti da asporto/a domicilio, sussidi e aiuti economici a supporto della spesa o del pagamento di bollette e affitti, sostegno socio-assistenziale, lavoro e alloggio. Cresce anche la domanda di orientamento riguardo all’accesso alle misure di sostegno, anzitutto pubbliche, messe in campo per fronteggiare l’emergenza sanitaria, di aiuto nella compilazione di queste domande e la richiesta di dispositivi di protezione individuale (mascherine, guanti, etc.), che sono già stati distribuiti a circa 40.000 beneficiari.

Inoltre, fin dall’inizio della crisi, la rete Caritas si è contraddistinta anche per aver messo in pratica quella “fantasia della carità”, cui Papa Francesco l’ha più volte spronata. Si registra così l’attivazione di nuovi servizi legati all’ascolto e all’accompagnamento telefonico con circa 15mila contatti registrati in poche settimane dalle Caritas diocesane coinvolte nella rilevazione, la trasformazione della fornitura dei pasti in modalità da asporto o con consegne a domicilio, la fornitura di dispositivi di protezione individuale e igienizzanti, le iniziative a supporto della didattica a distanza con la fornitura di tablet, pc, il sostegno a famiglie nomadi, giostrai e circensi, l’assistenza ai senza dimora rimodulata per garantire gli standard di sicurezza, nonché l’acquisto di farmaci e prodotti sanitari. Ci sono, poi, alcune esperienze inedite, come ad esempio quella denominata #TiChiamoIo, per offrire la vicinanza, seppur solo telefonica, alle persone accompagnate nei centri di ascolto, indipendentemente dal bisogno materiale; o il progetto “Message in a bottle” ideato per far recapitare assieme, ai pasti da asporto, messaggi e poesie da parte della cittadinanza. È una ricchezza questa che passa anche dalle tante strutture afferenti alle Chiese diocesane e destinate da queste a tre categorie di soggetti: medici e/o infermieri, persone in quarantena e senza dimora.

Ad oggi sono 68 le strutture per quasi 1.450 posti messe a disposizione della Protezione civile e del Sistema Sanitario Nazionale da parte di 48 Diocesi in tutta Italia. A queste si sommano altre 45 strutture, per oltre 1.000 posti in 33 Diocesi, disponibili per persone in quarantena e/o dimesse dagli ospedali e più di 64 strutture per oltre 1.200 posti in 42 diocesi per l’accoglienza aggiuntiva di persone senza dimora, oltre all’ospitalità residenziale ordinaria.

«Davanti a questi dati – dichiara don Francesco Soddu, Direttore di Caritas Italiana – e nel 75° anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, la quale ha fatto da presupposto a un riscatto morale e sociale dell’Italia nel Dopoguerra, ricordiamo l’esortazione del Concilio Vaticano II alla libertà e alla dignità di ogni persona bisognosa: “Non avvenga che si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia”, e ancora: “Si eliminino non soltanto gli effetti ma anche le cause dei mali” (AA 8). Un ammonimento valido per l’oggi, perché non siano i poveri, gli ultimi, gli emarginati e gli indifesi a pagare il prezzo più alto della crisi».

Domani 25 aprile si svolgerà #IoRestoLibero, evento nazionale che sostiene Croce Rossa e Caritas Italiana con una raccolta fondi tramite la piattaforma GoFundMe.

È possibile sostenere gli interventi di Caritas Italiana (Via Aurelia 796 – 00165 Roma), utilizzando il conto corrente postale n. 347013, o donazione on-line tramite il sito www.caritas.it, o bonifico bancario (causale “Emergenza Coronavirus”) tramite:

• Banca Popolare Etica, via Parigi 17, Roma –Iban: IT24 C050 1803 2000 0001 3331 111

• Banca Intesa Sanpaolo, Fil. Accentrata Ter S, Roma – Iban: IT66 W030 6909 6061 0000 0012 474

• Banco Posta, viale Europa 175, Roma – Iban: IT91 P076 0103 2000 0000 0347 013

• UniCredit, via Taranto 49, Roma – Iban: IT 88 U 02008 05206 000011063119

Perugia: Il cardinale Bassetti in visita alla Caritas diocesana. Agli operatori e volontari: «Grazie per quello che fate, per quello che siete… I “cinque pani e i due pesci” a disposizione del prossimo con generosità»

«I “cinque pani e i due pesci” che abbiamo, li dobbiamo mettere a disposizione attraverso la nostra generosità, che poi si traduce in mille forme di aiuto e di sostegno al prossimo». Lo ha sottolineato il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, nel visitare la mattina del 24 aprile la sede della Caritas diocesana di Perugia, presso il “Villaggio della Carità”, dove sono situati il Centro di ascolto diocesano e l’Emporio della Solidarietà “Tabgha”. Il cardinale è stato accolto, nel rispetto delle norme anti-contagio da Covid-19, dai coniugi Giancarlo e Maria Luisa Pecetti, direttore e condirettore della Caritas diocesana, dagli operatori e responsabili di settore Silvia Bagnarelli, assistente sociale del Centro di Ascolto, Alfonso Dragone, dell’area progetti, Paolo Montoni, dell’Emporio, e da alcuni volontari di quest’ultimo servizio tra cui il responsabile del “Daidò-donazioni” Luigi Palazzoni.

Nei giorni dell’emergenza sanitaria i servizi socio-caritativi della Caritas perugina sono stati operativi, in alcuni casi intensificando le attività, e per i loro operatori e volontari il cardinale Bassetti ha avuto parole di gratitudine ed incoraggiamento.  «Mi metto anch’io dalla vostra parte – ha detto il presule –, perché, anche se non servo la gente con le mani, cerco di servire la mia diocesi e l’Italia con il cuore, con tante preoccupazioni e sofferenze. Grazie per quello che fate, per quello che siete. Vedo dei giovani coraggiosi: il Signore vi è accanto perché siete qui per aiutare i fratelli. Ricordate sempre nella vostra opera di volontari, soprattutto di cristiani, le parole di Gesù: “Quello che avete fatto al più piccolo l’avete fatto a me”. Coraggio, giovani e adulti, continuate il vostro lavoro, benedico voi e le vostre famiglie».

Perugia: Il “Piano per una protezione sociale universale contro la crisi” da Covid-19. Lo presenta l’economista perugino Grasselli, direttore dell’Osservatorio diocesano sulle povertà

“Il diffondersi dell’epidemia da corona virus determina una forte espansione della povertà.  Girano stime secondo cui gli italiani in povertà assoluta si avvicinerebbero a 10 milioni.  Si contraggono i flussi di reddito delle famiglie, in particolare dove è presente lavoro indipendente e lavoro a tempo determinato”. A sostenerlo è l’economista Pierluigi Grasselli, direttore dell’Osservatorio sulle povertà e l’inclusione sociale dell’Archidiocesi di Perugia-Città della Pieve, presso la Caritas diocesana, nel presentare il “Piano per una protezione sociale universale contro la crisi” a cui ha aderito anche la Caritas italiana.

Sostegno concreto con l’8XMille. La Chiesa italiana, sta sostenendo concretamente le Chiese particolari e le loro realtà territoriali in ambito socio-caritativo, economico, pastorale e sanitario. Basti pensare che a tutt’oggi, la Cei, ha stanziato 218milioni e 900mila di euro attinti dal Fondo 8XMille della Chiesa cattolica sia per fronteggiare a livello di diocesi la prima fase dell’emergenza Covid-19, con uno stanziamento iniziale di 10 milioni di euro per le Caritas diocesane attraverso Caritas Italiana, più 500mila euro per il Banco alimentare, che per la ripresa delle attività diocesane socio-caritative, economiche e pastorali, con un finanziamento di 200 milioni di euro, oltre a sostenere le attività delle diverse strutture ospedaliere ecclesiali presenti in Italia, con 8 milioni e 400mila euro. A questi interventi va aggiunto quello della Cei per le Chiese del Sud del mondo, con altri 6 milioni di euro a sostegno dei progetti sanitari di prevenzione e cura a seguito della pandemia.

Caritas moltiplica attività. “Alla povertà da crisi economica preesistente al contagio – evidenzia Grasselli – si somma quella legata al Covid-19, che colpisce in particolare persone sole, rifugiati, disabili, badanti, lavoratori in nero … E si manifesta subito l’insufficienza delle risorse dell’intervento iniziale a livello governativo. A livello nazionale come in Umbria, Caritas moltiplica e intensifica le sue attività espandendo i servizi tradizionali, magari modificandone le modalità di erogazione, e offrendone di nuovi, collaborando con altre associazioni, con Enti locali e Protezione civile”.

Persiste crisi economica. “Per la povertà nel nostro territorio – ricorda il direttore dell’Osservatorio diocesano sulle povertà – disponiamo anche dei dati più recenti sull’attività dei quattro Empori Caritas di Perugia-Città della Pieve. Per il mese di marzo 2020, si rileva un incremento del 30% di fruitori dell’Emporio Caritas di Perugia città rispetto allo stesso mese del 2019. Emerge in particolare un aumento di richieste di aiuti materiali di prima necessità delle famiglie giovani e italiane residenti nelle due zone industriali di Perugia: San Sisto e Ponte San Giovanni (a San Sisto le famiglie italiane fruitrici del servizio Empori contano per il 37%). Da questi dati può desumersi come persista ancora l’effetto crisi economica dell’ultimo decennio con ricadute negative sull’occupazione”.

Sostegno immediato. “Caritas Italiana, consapevole del grave pericolo di un diffondersi dell’impoverimento e dell’acuirsi delle disuguaglianze, e dell’esigenza primaria di “mettere in sicurezza il presente … per costruire la fiducia necessaria ad affrontare il futuro” – annuncia l’economista Grasselli –, ha aderito alla proposta di un “Piano per una protezione sociale universale contro la crisi” innescata dalla pandemia Covid-19, ed elaborata dal “Forum Disuguaglianze Diversità”. Il Piano si prefigge di predisporre un sostegno immediato e straordinario per i poveri, ma anche per tutte le situazioni di bisogno presenti nella popolazione complessiva, e cominciando a preparare gli interventi necessari per la fase successiva, coinvolgendo le molteplici realtà impegnate su questi fronti, compreso il Terzo Settore”.

L’azione Caritas. “Tra le nuove misure proposte, eccezionali e a tempo – spiega il professore –, il SEA (Sostegno di Emergenza per il Lavoro Autonomo), di importo variabile secondo le diverse situazioni, e il REM (Reddito di Cittadinanza per l’Emergenza), cioè un RdC per i nuovi richiedenti, con un allentamento dei vincoli di accesso e una semplificazione e velocizzazione delle procedure”. Anche il contesto in cui si sviluppa l’azione di Caritas a livello territoriale mostra una marcata, articolata, variegata fioritura di manifestazioni di solidarietà. Si diffondono in Italia forme di cooperazione tra istituzioni, associazioni e singoli cittadini, con una particolare vivacità e intraprendenza dei giovani”.

Onda di solidarietà. “Sembra di assistere ad un’assunzione collettiva, forte e coraggiosa, di responsabilità, di ciascuno verso gli altri, da cui si sprigiona un’onda di solidarietà, intrecciata a iniziative molteplici di sussidiarietà – conclude Pierluigi Grasselli –.  E si delinea così una rete di relazioni generatrici di Bene Comune, con il contributo di ciascuno e a beneficio di tutti. Questa è la direzione in cui procedere, con un impegno coordinato e crescente di tutte le componenti della società italiana, e con il contributo, generoso e di lungo periodo, dell’Europa”.

Perugia: “Attraversare il deserto, al tempo della pandemia. Una riflessione biblica per la Chiesa di oggi”. La Lettera settimanale del cardinale Bassetti alla comunità diocesana

Carissimi, questa lettera, in forma di riflessione, o meglio di meditazione, vuole essere una risposta di fede a tanti dubbi sollevati dalla presente pandemia. Ho ricevuto tante lettere, dove mi viene chiesto, di fronte a quello che sta succedendo: «Dove è o dove era Dio?». Cercherò di darvi una risposta secondo il mio cuore di Pastore.

Una Chiesa in difficoltà

La situazione che il mondo sta vivendo mette duramente alla prova ogni essere umano e quindi, in quanto anch’essa realtà umana, la comunità cristiana. La Chiesa cattolica, in particolare, si trova a dover affrontare una situazione inedita. Forse potremmo esser capaci di saper dire come si affronta una situazione di persecuzione, ma questa prova collettiva, provocata da un agente patogeno del tutto imprevisto, ci lascia disorientati.

Non appena ci si è accorti che anche in Italia il pericolo di contagio era più che reale, abbiamo dovuto sospendere ogni attività pubblica, inclusa la celebrazione dell’Eucarestia con la presenza dei fedeli. E questo ci ha messo subito in difficoltà, dal momento che l’Eucarestia è per tutti, sacerdoti e fedeli, fonte e culmine di tutta la vita cristiana.

Con generosità e inventiva e, perché no, con coraggio, ci si è dedicati a moltiplicare le occasioni di Messe in streaming, celebrazioni televisive in chiese vuote con celebranti solitari, a cominciare dallo stesso papa Francesco. Ma “guardare” la Messa non è celebrarla. Messe senza popolo, popolo senza Messa. Si è cercato di puntare sulla maturità e sulla responsabilità del popolo cristiano, sulla sua capacità di meditare e di accogliere e celebrare la parola di Dio e di pregare anche la Liturgia delle Ore. Cose che chiamano in causa, se non del tutto almeno in parte, la responsabilità dei laici e la fede nella dimensione sacerdotale propria del Battesimo.

Ma ora, lo dico in coscienza a tutte le istituzioni, è arrivato il tempo di riprendere la celebrazione dell’Eucarestia domenicale e dei funerali in chiesa, oltre ai battesimi e a tutti gli altri sacramenti, naturalmente seguendo quelle misure necessarie a garantire la sicurezza in presenza di più persone nei luoghi pubblici.

Una Chiesa che attraversa il deserto

A un tratto ci siamo trovati nel deserto, esattamente come è accaduto al popolo di Israele. Quante volte, nel mondo cristiano, ci siamo riempiti la bocca di questa parola, il deserto: «facciamo un momento di deserto!» Cioè prendiamoci uno spazio, un tempo di preghiera e solitudine. Ma si trattava di un deserto che avevamo scelto noi e che, alla fine, ci dava anche un po’ di gratificazione. Oggi, invece, ci troviamo in un deserto che non abbiamo scelto, che ci appare pieno di pericoli mortali e del quale non si vede ancora la fine. E la Chiesa condivide con l’intera umanità questa improvvisa condizione di deserto globalizzato. Come riuscire a viverla? Questo è il punto su cui può venirci in aiuto la parola di Dio: che cosa ci può dire la Scrittura in relazione al deserto? E al deserto dei nostri giorni?

Il Signore è in mezzo a noi, sì o no?

Nel libro dell’Esodo si legge che, nel momento in cui Israele deve partire dall’Egitto, il Signore non lo conduce per la strada più corta, ma per quella più lunga (Es 3,17): perché non nasca nel popolo la tentazione di tornare indietro, alla schiavitù d’Egitto. Il deserto appare così fin dall’inizio come uno spazio, e insieme come un tempo di prova.

Tra tutti gli episodi narrati in Es 15-17 risalta in modo drammatico la protesta degli israeliti a Massa e Meriba («prova» e «tentazione»), a causa della mancanza d’acqua; l’episodio si conclude con una domanda radicale: «Il Signore è in mezzo a noi, sì o no?» (Es 17,7). Il deserto sembra a Israele solo un vuoto spaventoso, che pare voler inghiottire il popolo che in tale solitudine ha iniziato a camminare: questo Dio così misterioso è davvero in mezzo a noi, oppure no? Oppure questo deserto è una maledizione della quale possiamo incolpare solo un cieco destino?

Israele chiama Dio in processo, quasi che sia Egli il colpevole della sua situazione. Mettere alla prova Dio significa voler fissare a Dio delle scadenze, imporgli i propri schemi, volere in realtà prenderne il posto. Significa stravolgere il senso stesso dell’esodo: Dio ha portato il popolo alla libertà, ma il popolo arriva ad accusarlo di essere lui il colpevole delle sue sofferenze: «Perché ci hai fatti uscire dall’Egitto nel deserto per morire di sete?» (17,3).

«Il Signore è in mezzo a noi, sì o no?». Questa non è la domanda di un ateo, ma il dubbio di un credente che non ha ancora pienamente compreso che il Dio di Israele è un Dio liberatore. E tuttavia la domanda rimane, con tutta la sua forza provocatoria e scandalosa. In questo momento di deserto che stiamo vivendo, la comunità cristiana deve saper abitare questa domanda, condividerla con tanti esseri umani che oggi rispondono «no, il Signore non è affatto in mezzo a noi, anzi, non c’è proprio alcun Signore in cielo».

La comunità cristiana deve saper camminare insieme con loro, anche di fronte a questo tipo di risposte. Ma per farlo è necessario un supplemento di umanità che non sempre noi cristiani riusciamo ad avere.

Dio, dove sei?

In queste settimane di pandemia, si ha l’impressione che nel mondo globalizzato la religione sia rimasta al margine: ho sentito con le mie orecchie questa obiezione, alla quale dovremo dare risposte convincenti. Ma continuiamo la nostra riflessione.

Dio, dove sei? La risposta a questa domanda rischia di essere terribile; del resto l’aveva già anticipata Nietzsche: Dio è morto, e noi l’abbiamo ucciso.

La Bibbia rovescia una tale domanda: «Dove sei?» è piuttosto ciò che Dio chiede all’uomo nel giardino (cf. Gen 3,9). La vera domanda che la Bibbia ci propone è così quella sulla nostra identità. Chi siamo noi? La risposta dell’uomo alla domanda di Dio è tragica: «Ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto» (Gen 3,10). L’essere umano si scopre improvvisamente fragile, debole, impotente. Sperimenta che, nel momento in cui ha preteso di porsi lui stesso come “dio” («Sarete come Dio», cf. Gen 3,5), tutto crolla: crolla il rapporto con l’altro (ed ecco le foglie di fico per nascondersi), si rompe il rapporto con la terra («spine e cardi produrrà per te»), si apre il cerchio della violenza, e il fratello uccide il fratello (Gen 4); la terra si corrompe e viene sommersa dal diluvio.

«Ho avuto paura». L’essere umano inizia a concepire Dio come un giudice terribile, pronto a punire la minima trasgressione; non lo coglie più come quella presenza amica che passeggia nel giardino alla brezza del giorno (Gen 3,8). «Dove sei?». Che ne è, uomo, di te? Che ne è del tuo delirio di onnipotenza e della tua illusione di poter realizzare tutto con le tue sole forze?

        Di riflesso, alla luce di questa domanda sull’uomo, nasce una nuova domanda su Dio. Non tanto quella già ricordata: «Dov’è Dio?». Ma piuttosto: chi è Dio? In quale Dio crediamo, prima ancora di chiederci dove egli sia? Di chi stiamo parlando? Di Dio o del vitello d’oro?

Nel cammino nel deserto, la grande tentazione di Israele è infatti quella di costruirsi un dio su misura, il vitello d’oro (cf. Es 32). Non si tratta di un altro Dio, ma di quello stesso Yhwh che ci ha fatti uscire dall’Egitto, che però adesso vogliamo raffigurarci come a noi pare meglio. Con l’oro, appunto. Qualcosa che ci siamo acquistati, per cui abbiamo sudato. Un dio-idolo a nostro uso e consumo, che risponda alle nostre esigenze. Ebbene, quel dio non esiste, ce lo siamo appunto creati. E lo accusiamo poi di aver mandato la pandemia.

Non dimentichiamo che il cammino dell’esodo culmina nelle dieci parole ricevute al Sinai (cf. Es 20,1-17); e la prima di queste parole non ci dice tanto dov’è Dio, quanto piuttosto chi Egli sia: «Io sono il Signore tuo Dio che ha fatto uscire te dalla terra d’Egitto, dalla casa delle schiavitù. Non avrai dèi stranieri davanti al mio volto» (Es 20,1-2). Il Dio biblico è un Dio che libera e che salva, che non tollera il male. È un Dio che scommette sulla libertà dell’essere umano e che vuole che sia l’umanità stessa a realizzare il suo progetto nel mondo.

Nel Nuovo Testamento, è il Dio di cui parla Gesù chiamandolo «abbà», padre, proprio nel momento della maggior sofferenza, di fronte alla prospettiva della croce (cf. Mc 14,36). Un Dio che Gesù incarna nella sua umanità e, in modo tutto speciale, nella sua compassione verso l’altro.

Se non ci poniamo correttamente la questione della “identità” di Dio, rischiamo seriamente che, una volta usciti da questa pandemia, il mondo occidentale rimanga ancor più convinto che la vera salvezza viene solo dalla scienza e che la religione può tutt’al più avere un ruolo subalterno, magari consolatorio, ai margini della razionalità. Per le Chiese cristiane è l’ora di puntare sulla maturità della fede.

Quella che oggi stiamo vivendo è certamente un’ora di crisi; “crisi” nel senso profondo della parola, dal greco “giudizio”: un’occasione cioè per operare un giudizio sulla realtà e sulla nostra vita, e per compiere delle scelte. È anche un’ora “apocalittica”, ma nel senso biblico del termine: non cioè “distruzione”, ma “rivelazione”. In quest’ora della storia, il Signore ci rivela per quel che veramente siamo, per quello in cui realmente crediamo. Mi auguro che questa “crisi” e questa “apocalisse” si trasformino in un’opportunità che ci aiuti a confidare meno nelle nostre forze, ad abbandonarci all’aiuto che viene dal Signore, e ad essere più solidali gli uni verso gli altri. Spero che ne nasca quella compassione universale radicata nella Misericordia di Dio che ci renda più umani, nella convinzione che l’ultima parola della vita non è né la sofferenza, né il dolore, né la morte, ma l’amore, la bontà e la Resurrezione.

La verità è che nel momento delle grandi prove ci vuole più fede. Dove la fede consiste non nel chiedere «dov’è Dio?» o «Dio dove era?», ma nell’accogliere Lui stesso, il Dio vero, che è il Dio della vita.

Sperando che questa riflessione possa essere utile a ognuno di noi nel cammino della fede pasquale, rinnovo il mio fraterno saluto e tutti benedico di cuore.

Perugia, 23 aprile 2020

Gualtiero Card. Bassetti

Terni – la Caritas e San Martino: solidarietà nell’emergenza Coronavirus. Grazie ai tanti benefattori

Centinaia di aiuti di vario genere sono stati dati da parte della Caritas di Terni-Narni-Amelia e associazione di volontariato San Martino, dal mese marzo a seguito dell’emergenza sanitaria legata al Covid 19, alle tante persone che si trovano in difficoltà e che, sempre più numerose, chiedono aiuto per la mancanza di beni alimentari e di prima necessità.

Alla usuale attività dei Centri di ascolto e dell’Emporio solidale di via Vollusiano, che hanno mantenuto attivo il servizio, pur con modalità differenti adeguate alle disposizioni governativa sull’emergenza Covid 19, si sono aggiunte le numerose richieste giunte al numero verde 800 766 455, attivo da inizio aprile per dare ancora maggiore ascolto e risposte concrete alle persone in difficoltà.

Il numero è attivo dalle 9:30 alle 12:30 dal lunedì al venerdì per l’ascolto psicologico; per informazioni e orientamento ai servizi, ai sussidi e sostegni economici offerti sul territorio per l’emergenza, dalle 9:30 alle 12:30 dal lunedì al venerdì e dalle 14:00 alle 16:00 dal lunedì al giovedì. Un team composto da personale esperto e qualificato fornisce aiuto per affrontare nel migliore dei modi i giorni di isolamento a casa, fornendo assistenza, supporto morale e materiale a chi più di altri risente dell’emergenza sanitaria in corso.

E’ stato potenziato il servizio dell’Emporio solidale con un ampliamento degli accessi e dell’accoglienza, su appuntamento, delle persone segnalate dalle parrocchie, avviando un vero e proprio Emporio di emergenza che sta aiutando più di 100 nuovi nuclei familiari, oltre ai 130 che già usufruivano del servizio. Oltre agli aiuti alimentari vengono sostenute diverse famiglie per il pagamento delle bollette e medicinali.

La Mensa per i poveri “San Valentino” continua ad ospitare ogni giorno circa 70 persone, in gran parte italiani e anziani, fornendo un pasto caldo e distribuendo, in altri casi, cestini da asporto. Alla mensa “San Valentino” sono stati predisposti turni di massimo dieci persone che siedono a tavoli separati, mantenendo le distanze di sicurezza. Il servizio avviene con piatti, posate, bicchieri monouso e con le protezioni per gli operatori e volontari. Viene preventivamente misurata a tutti la temperatura corporea con il termoscanner, con il supporto di un medico volontario.

Tanti i benefattori che hanno contribuito, in questo periodo, con la donazione di prodotti alimentari che sono aumentate, come del resto è aumentato il numero dei fruitori degli empori. Questa solidarietà ha consentito di fronteggiare in maniera efficace la nuova emergenza di povertà. Altri benefattori hanno fatto versamenti in denaro tramite conto corrente, in particolare per aiutare gli immigrati che vivono in condizioni molto disagiate.

“La Caritas Diocesana di Terni Narni Amelia e l’Associazione di Volontariato San Martino, intendono ringraziare quanti hanno voluto essere vicini alle situazioni di povertà, che questo momento di straordinaria gravità di pandemia ha evidenziato – sottolinea il direttore della Caritas Ideale Piantoni – effettuando versamenti o donando liquidità e alimenti alla Mensa San Valentino ed all’Emporio Solidale. Ricordo in particolare due anziane signore novantenni, il Comando Provinciale della Guardia di Finanza, il Lion Club Terni San Valentino, la ditta Valnerina tartufi, Centinari, Terni Pan, Serafini, Biscottificio Santangelo, Ipercoop e tante altre, insieme a tutte le persone che ci hanno chiamato o si sono adoperate per donarci, attraverso anche solo con un piccolo gesto, non solo sostanza, ma anche la forza di trasmettere la speranza a coloro che si rivolgono a noi”.

La concretezza della carità nell’emergenza Coronavirus ha bisogno di tutti per “Aiutare a sostenere i più fragili”, per questo si può contribuire per la Mensa dei poveri San Valentino, l’Emporio della Solidarietà per aiuti alimentari, per il pagamento utenze e affitti, con una donazione alla Diocesi Terni Narni Amelia – Caritas bonifico bancario IBAN IT70Q0503414400000000002961 o conto corrente postale n. 11376050 “Associazione di volontariato San Martino – Caritas Diocesana” specificando la destinazione della tua donazione.