Perugia: “Attraversare il deserto, al tempo della pandemia. Una riflessione biblica per la Chiesa di oggi”. La Lettera settimanale del cardinale Bassetti alla comunità diocesana

Carissimi, questa lettera, in forma di riflessione, o meglio di meditazione, vuole essere una risposta di fede a tanti dubbi sollevati dalla presente pandemia. Ho ricevuto tante lettere, dove mi viene chiesto, di fronte a quello che sta succedendo: «Dove è o dove era Dio?». Cercherò di darvi una risposta secondo il mio cuore di Pastore.

Una Chiesa in difficoltà

La situazione che il mondo sta vivendo mette duramente alla prova ogni essere umano e quindi, in quanto anch’essa realtà umana, la comunità cristiana. La Chiesa cattolica, in particolare, si trova a dover affrontare una situazione inedita. Forse potremmo esser capaci di saper dire come si affronta una situazione di persecuzione, ma questa prova collettiva, provocata da un agente patogeno del tutto imprevisto, ci lascia disorientati.

Non appena ci si è accorti che anche in Italia il pericolo di contagio era più che reale, abbiamo dovuto sospendere ogni attività pubblica, inclusa la celebrazione dell’Eucarestia con la presenza dei fedeli. E questo ci ha messo subito in difficoltà, dal momento che l’Eucarestia è per tutti, sacerdoti e fedeli, fonte e culmine di tutta la vita cristiana.

Con generosità e inventiva e, perché no, con coraggio, ci si è dedicati a moltiplicare le occasioni di Messe in streaming, celebrazioni televisive in chiese vuote con celebranti solitari, a cominciare dallo stesso papa Francesco. Ma “guardare” la Messa non è celebrarla. Messe senza popolo, popolo senza Messa. Si è cercato di puntare sulla maturità e sulla responsabilità del popolo cristiano, sulla sua capacità di meditare e di accogliere e celebrare la parola di Dio e di pregare anche la Liturgia delle Ore. Cose che chiamano in causa, se non del tutto almeno in parte, la responsabilità dei laici e la fede nella dimensione sacerdotale propria del Battesimo.

Ma ora, lo dico in coscienza a tutte le istituzioni, è arrivato il tempo di riprendere la celebrazione dell’Eucarestia domenicale e dei funerali in chiesa, oltre ai battesimi e a tutti gli altri sacramenti, naturalmente seguendo quelle misure necessarie a garantire la sicurezza in presenza di più persone nei luoghi pubblici.

Una Chiesa che attraversa il deserto

A un tratto ci siamo trovati nel deserto, esattamente come è accaduto al popolo di Israele. Quante volte, nel mondo cristiano, ci siamo riempiti la bocca di questa parola, il deserto: «facciamo un momento di deserto!» Cioè prendiamoci uno spazio, un tempo di preghiera e solitudine. Ma si trattava di un deserto che avevamo scelto noi e che, alla fine, ci dava anche un po’ di gratificazione. Oggi, invece, ci troviamo in un deserto che non abbiamo scelto, che ci appare pieno di pericoli mortali e del quale non si vede ancora la fine. E la Chiesa condivide con l’intera umanità questa improvvisa condizione di deserto globalizzato. Come riuscire a viverla? Questo è il punto su cui può venirci in aiuto la parola di Dio: che cosa ci può dire la Scrittura in relazione al deserto? E al deserto dei nostri giorni?

Il Signore è in mezzo a noi, sì o no?

Nel libro dell’Esodo si legge che, nel momento in cui Israele deve partire dall’Egitto, il Signore non lo conduce per la strada più corta, ma per quella più lunga (Es 3,17): perché non nasca nel popolo la tentazione di tornare indietro, alla schiavitù d’Egitto. Il deserto appare così fin dall’inizio come uno spazio, e insieme come un tempo di prova.

Tra tutti gli episodi narrati in Es 15-17 risalta in modo drammatico la protesta degli israeliti a Massa e Meriba («prova» e «tentazione»), a causa della mancanza d’acqua; l’episodio si conclude con una domanda radicale: «Il Signore è in mezzo a noi, sì o no?» (Es 17,7). Il deserto sembra a Israele solo un vuoto spaventoso, che pare voler inghiottire il popolo che in tale solitudine ha iniziato a camminare: questo Dio così misterioso è davvero in mezzo a noi, oppure no? Oppure questo deserto è una maledizione della quale possiamo incolpare solo un cieco destino?

Israele chiama Dio in processo, quasi che sia Egli il colpevole della sua situazione. Mettere alla prova Dio significa voler fissare a Dio delle scadenze, imporgli i propri schemi, volere in realtà prenderne il posto. Significa stravolgere il senso stesso dell’esodo: Dio ha portato il popolo alla libertà, ma il popolo arriva ad accusarlo di essere lui il colpevole delle sue sofferenze: «Perché ci hai fatti uscire dall’Egitto nel deserto per morire di sete?» (17,3).

«Il Signore è in mezzo a noi, sì o no?». Questa non è la domanda di un ateo, ma il dubbio di un credente che non ha ancora pienamente compreso che il Dio di Israele è un Dio liberatore. E tuttavia la domanda rimane, con tutta la sua forza provocatoria e scandalosa. In questo momento di deserto che stiamo vivendo, la comunità cristiana deve saper abitare questa domanda, condividerla con tanti esseri umani che oggi rispondono «no, il Signore non è affatto in mezzo a noi, anzi, non c’è proprio alcun Signore in cielo».

La comunità cristiana deve saper camminare insieme con loro, anche di fronte a questo tipo di risposte. Ma per farlo è necessario un supplemento di umanità che non sempre noi cristiani riusciamo ad avere.

Dio, dove sei?

In queste settimane di pandemia, si ha l’impressione che nel mondo globalizzato la religione sia rimasta al margine: ho sentito con le mie orecchie questa obiezione, alla quale dovremo dare risposte convincenti. Ma continuiamo la nostra riflessione.

Dio, dove sei? La risposta a questa domanda rischia di essere terribile; del resto l’aveva già anticipata Nietzsche: Dio è morto, e noi l’abbiamo ucciso.

La Bibbia rovescia una tale domanda: «Dove sei?» è piuttosto ciò che Dio chiede all’uomo nel giardino (cf. Gen 3,9). La vera domanda che la Bibbia ci propone è così quella sulla nostra identità. Chi siamo noi? La risposta dell’uomo alla domanda di Dio è tragica: «Ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto» (Gen 3,10). L’essere umano si scopre improvvisamente fragile, debole, impotente. Sperimenta che, nel momento in cui ha preteso di porsi lui stesso come “dio” («Sarete come Dio», cf. Gen 3,5), tutto crolla: crolla il rapporto con l’altro (ed ecco le foglie di fico per nascondersi), si rompe il rapporto con la terra («spine e cardi produrrà per te»), si apre il cerchio della violenza, e il fratello uccide il fratello (Gen 4); la terra si corrompe e viene sommersa dal diluvio.

«Ho avuto paura». L’essere umano inizia a concepire Dio come un giudice terribile, pronto a punire la minima trasgressione; non lo coglie più come quella presenza amica che passeggia nel giardino alla brezza del giorno (Gen 3,8). «Dove sei?». Che ne è, uomo, di te? Che ne è del tuo delirio di onnipotenza e della tua illusione di poter realizzare tutto con le tue sole forze?

        Di riflesso, alla luce di questa domanda sull’uomo, nasce una nuova domanda su Dio. Non tanto quella già ricordata: «Dov’è Dio?». Ma piuttosto: chi è Dio? In quale Dio crediamo, prima ancora di chiederci dove egli sia? Di chi stiamo parlando? Di Dio o del vitello d’oro?

Nel cammino nel deserto, la grande tentazione di Israele è infatti quella di costruirsi un dio su misura, il vitello d’oro (cf. Es 32). Non si tratta di un altro Dio, ma di quello stesso Yhwh che ci ha fatti uscire dall’Egitto, che però adesso vogliamo raffigurarci come a noi pare meglio. Con l’oro, appunto. Qualcosa che ci siamo acquistati, per cui abbiamo sudato. Un dio-idolo a nostro uso e consumo, che risponda alle nostre esigenze. Ebbene, quel dio non esiste, ce lo siamo appunto creati. E lo accusiamo poi di aver mandato la pandemia.

Non dimentichiamo che il cammino dell’esodo culmina nelle dieci parole ricevute al Sinai (cf. Es 20,1-17); e la prima di queste parole non ci dice tanto dov’è Dio, quanto piuttosto chi Egli sia: «Io sono il Signore tuo Dio che ha fatto uscire te dalla terra d’Egitto, dalla casa delle schiavitù. Non avrai dèi stranieri davanti al mio volto» (Es 20,1-2). Il Dio biblico è un Dio che libera e che salva, che non tollera il male. È un Dio che scommette sulla libertà dell’essere umano e che vuole che sia l’umanità stessa a realizzare il suo progetto nel mondo.

Nel Nuovo Testamento, è il Dio di cui parla Gesù chiamandolo «abbà», padre, proprio nel momento della maggior sofferenza, di fronte alla prospettiva della croce (cf. Mc 14,36). Un Dio che Gesù incarna nella sua umanità e, in modo tutto speciale, nella sua compassione verso l’altro.

Se non ci poniamo correttamente la questione della “identità” di Dio, rischiamo seriamente che, una volta usciti da questa pandemia, il mondo occidentale rimanga ancor più convinto che la vera salvezza viene solo dalla scienza e che la religione può tutt’al più avere un ruolo subalterno, magari consolatorio, ai margini della razionalità. Per le Chiese cristiane è l’ora di puntare sulla maturità della fede.

Quella che oggi stiamo vivendo è certamente un’ora di crisi; “crisi” nel senso profondo della parola, dal greco “giudizio”: un’occasione cioè per operare un giudizio sulla realtà e sulla nostra vita, e per compiere delle scelte. È anche un’ora “apocalittica”, ma nel senso biblico del termine: non cioè “distruzione”, ma “rivelazione”. In quest’ora della storia, il Signore ci rivela per quel che veramente siamo, per quello in cui realmente crediamo. Mi auguro che questa “crisi” e questa “apocalisse” si trasformino in un’opportunità che ci aiuti a confidare meno nelle nostre forze, ad abbandonarci all’aiuto che viene dal Signore, e ad essere più solidali gli uni verso gli altri. Spero che ne nasca quella compassione universale radicata nella Misericordia di Dio che ci renda più umani, nella convinzione che l’ultima parola della vita non è né la sofferenza, né il dolore, né la morte, ma l’amore, la bontà e la Resurrezione.

La verità è che nel momento delle grandi prove ci vuole più fede. Dove la fede consiste non nel chiedere «dov’è Dio?» o «Dio dove era?», ma nell’accogliere Lui stesso, il Dio vero, che è il Dio della vita.

Sperando che questa riflessione possa essere utile a ognuno di noi nel cammino della fede pasquale, rinnovo il mio fraterno saluto e tutti benedico di cuore.

Perugia, 23 aprile 2020

Gualtiero Card. Bassetti

Perugia: Il cardinale Bassetti in visita ai detenuti, alle detenute e al personale di sorveglianza del Carcere. Il presule: «Per venire incontro alle persone verso la fine pena o in permesso, anche come Chiesa, dovremo trovare nuove forme suggerite dall’amore e dalla fantasia, e soprattutto dal Vangelo».

«Carissimi fratelli ristretti, la mia non è una visita di cortesia e neppure frutto di un invito ufficiale. Ho sentito il bisogno di essere per un po’ in mezzo a voi. Naturalmente, come i tempi del coronavirus ce lo consentono, con mascherina e guanti. E questo mi mette un po’ a disagio». Con queste parole il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti ha salutato una rappresentanza di detenuti, di detenute e del personale di sorveglianza della Casa Circondariale in località Capanne di Perugia, nella mattinata del 18 aprile. Il cardinale è stato accolto dalla direttrice Bernardina Di Mario e dal comandante della Polizia penitenziaria Fulvio Brillo. La direttrice Di Mario, nel rivolgere il saluto di benvenuto all’ospite, ha sottolineato quanto l’arcivescovo di Perugia sia vicino e sensibile al mondo carcerario, anche attraverso la sua periodica presenza sia in occasioni belle che meno belle, condividendo con questa realtà, spesso relegata ai margini della società, le gioie e le sofferenze che la vita riserva come nel tempo del Covid-19.

Vite dei guariti profondamente segnate. «Gli altri anni, nella settimana prima di Pasqua, il Giovedì Santo – ha proseguito il cardinale Bassetti –, sono sempre venuto per la celebrazione della Cena del Signore e la lavanda dei piedi. Quest’anno vengo nella settimana di Pasqua, nel sabato che precede la domenica in Albis, seconda di Pasqua, quando coloro che erano stati battezzati nella notte del Sabato Santo, deponevano la loro veste bianca, che avevano indossato per tutta la settimana. È indubbio che stiamo attraversando tempi difficili. Il coronavirus è un nemico impietoso, che in tanti casi distrugge la vita. Ieri sono stato a visitare il grande ospedale della Misericordia di Perugia, che non è lontano da voi. Ho ascoltato la testimonianza dei medici, ho saluto gli infermieri e gli operatori sanitari. Ho potuto parlare, attraverso contatto telematico, con alcuni malati. Li ho confortati, ho pregato con loro, li ho benedetti. Ho fatto gli auguri ad un uomo ed una donna, che penso siano in via di guarigione, le cui vite però rimarranno profondamente segnate».

La libertà il più grande dono di Dio. «So quanto sia difficile, ed anche a me è costato tanto dover abbandonare il proprio impegno, la propria missione, e rinchiudermi in casa; ma io tutto sommato vivo in un episcopio grande… Penso ad alcune famiglie che conosco e che vivono, con tre o quattro bambini, in 60/70 metri quadrati: senza terrazza, senza possibilità di uscire. Penso soprattutto a voi. Sempre ho pregato per voi, come tante volte vi ho assicurato, ora la mia preghiera, avendo anche più tempo libero, nonostante le preoccupazioni per la nostra Diocesi e per l’Italia, è più supplice. Penso a tanti di voi, ristretti in spazi, certamente limitati, lontani dai vostri cari e dagli affetti più belli e naturali. Privati della vostra famiglia e della vostra libertà. La libertà, come dice Dante, è il più grande dono che Dio ci abbia fatto, creandoci».

I dimenticati dalla società. «Cari fratelli, spesso dimenticati dalla società – ha evidenziato il presule –, che risentite fra le vostre fragilità anche questa pena dell’abbandono, per voi in particolare i problemi, in questo tragico contingente, si sono certamente aggravati. Io ringrazio ancora la direzione e coloro che accudiscono il carcere, perché nella mia lunga esperienza ho sempre trovato in essi un cuore buono; ma purtroppo nessuno può fare miracoli».

Una situazione ancor più problematica. «Soprattutto in questo periodo, sono molto preoccupato anche per la grave crisi economica, che già accentuata dalla pandemia – ha detto il cardinale –, si abbatterà su tutta la nazione. I rischi per la salute, la necessaria mancanza di contatti con l’esterno, e per voi le visite e i permessi aboliti, come pure la mancanza di possibilità di qualche lavoro, fa sì che il carcere diventi ancor più problematico di quanto non lo fosse già nel passato. Forse anche come Chiesa, dovremo trovare nuove forme suggerite dall’amore e dalla fantasia, e soprattutto dal Vangelo. Ho visto, girando per l’Italia, in qualche Diocesi, delle case in cui si accolgono i carcerati quando arrivano verso il fine pena, oppure coloro che, ottenuto il permesso, non hanno la possibilità di tornare in famiglia. Credo che anche da parte della nostra Diocesi sarà opportuno pensare a tali iniziative di carità, perché particolarmente i carcerati possano sentirsi amati, rispettati e accolti».

Il pensiero corre veloce verso Capanne. «Vi sono vicino, vi penso quotidianamente – ha concluso Bassetti, rivolgendosi ai detenuti e alle detenute presenti –. Tutte le mattine, quando mi reco a pregare nella mia Cappella, il pensiero corre veloce verso Capanne. Per me voi ci siete, siete nel cuore del vostro Vescovo. Mi dia il Signore la forza, nonostante la fragilità dei miei 78 anni, di poter fare ancora qualche cosa di buono per voi, fratelli e sorelle carissimi».

Terni – messa e supplica al santo patrono Valentino. Mons. Piemontese: “Chiediamo a san Valentino che protegga l’umanità, la nostra città e diocesi dal Coronavirus, così come in passato ha protetto la società da altri flagelli”.

Un pellegrinaggio spirituale dei ternani verso la basilica del patrono della città e dell’amore san Valentino, nel tempo del Coronavirus, per chiedere la protezione del santo, perchè con il suo sguardo benigno possa intercedere presso il Signore per liberarci dal male che ci avvolge.
Così, rappresentando l’intera comunità diocesana, il vescovo Giuseppe Piemontese ha celebrato la messa della seconda domenica di Pasqua nella basilica di San Valentino alla presenza del sindaco di Terni Leonardo Latini, del vicario generale della diocesi don Salvatore Ferdinandi, del parroco di San Valentino padre Johnson Perumittath e della comunità dei frati Carmelitani. Sul sagrato della chiesa ha benedetto la città di Terni e l’intera Diocesi con le reliquie del patrono san Valentino.
“Anche noi, come gli apostoli, siamo rinchiusi nelle nostre case a motivo del Coronavirus e siamo assaliti da varie paure – ha detto il vescovo nell’omelia -. E’ una sensazione nuova, che può aiutarci a comprendere gli apostoli e a fare l’esperienza del Risorto. Abbiamo sperimentato in queste ultime settimane cosa significhi vivere come comunità dispersa dei discepoli del Signore, impedita di incontrarsi per provare in pienezza la dimensione della Chiesa. Innanzitutto deve affiorare una maggiore consapevolezza del dono che ci viene fatto quando possiamo incontrarci come comunità cristiana per celebrare i santi misteri. Troppi cristiani ritengono non necessario se non superfluo partecipare alle assemblee eucaristiche ed ecclesiali di vario genere”.
E quindi l’invocazione a San Valentino “che col suo patrocinio protegga l’umanità, la nostra città, la nostra diocesi dalla pandemia del Coronavirus, così come in passato ha protetto la società da altri flagelli. Ci aiuti a imparare l’amore verso Dio e verso il prossimo, incontrato secondo lo sguardo di Gesù.
Ci insegni il vero amore: tra genitori e figli, tra sposi, tra fidanzati; l’amore umano nella sua tenerezza e interezza, segno e orma di quello pieno che Dio ha seminato nel cuore dell’uomo, scala che conduce al Cielo”.

L’OMELIA DEL VESCOVO

LA PREGHIERA DI INTERCESSIONE 

Il cardinale Bassetti al personale sanitario ospedaliero: «Voi non siete fuggiti»; e agli ammalati Covid-19: «abbiate anche fiducia di questi “angeli” che vi curano»

Il cardinale arcivescovo di Perugia e Città della Pieve e presidente della CEI Gualtiero Bassetti è intervenuto questa mattina con una semplice cerimonia presso l’Ospedale di Perugia per una testimonianza di solidarietà e condivisione del periodo di emergenze a pazienti e personale sanitario.

S.Em. Bassetti prima di una preghiera e della solenne benedizione nell’atrio dell’ospedale ha voluto ispirarsi alle parole del Papa pronunciate una settimana fa. “Mi hanno colpito le parole di Papa Francesco e anche io come lui penso alle tante storie di crocifissi, a quelli di oggi, a questa pandemia: medici, infermieri, tutto il personale di servizio, sacerdoti, suore, morti al fronte come soldati che hanno dato la vita per amore”. Il cardinal Bassetti è stato accolto al Santa Maria della Misericordia da una piccola delegazione di sanitari guidata dal commissario straordinario Antonio Onnis e dal sindaco di Perugia Andrea Romizi: “Se qualcuno dicesse a voi sanitari che questa è la vostra missione e la vostra professione, io rispondo no, perché ci state mettendo molto di più. Chi nella vita non ha la tentazione di fuggire davanti ad un nemico? Voi non siete fuggiti!. Se c’è una categoria di persone che conosce i rischi a cui si espone, affrontando questo tipo di pandemia, siete proprio voi, e a medici, infermieri ed operatori aggiungo anche i cappellani di questo ospedale. Sono qui – ha proseguito Bassetti – a nome della Chiesa per dirvi grazie e per ricordare tutti i sanitari deceduti in Italia. Il Papa li ha definiti “i Santi della porta accanto”, io ho guardato una per una le loro foto riportate sui giornali, volti belli di uomini e donne generosi e forti”.

Ha poi rivolto un pensiero agli ammalati prima di effettuare un collegamento via skipe con uno dei reparti di degenza Covid-19 per parlare con alcuni di loro e con il personale sanitario. “Abbiate fiducia in Dio Padre che non ci abbandona mai e abbiate anche fiducia di questi “angeli” che vi curano. Vi ho molto pensato in questo periodo in cui anch’io vivo in clausura forzata. L’ospedale è la vera casa di tutti il luogo della fiducia, dell’affidamento dove ci si mette nelle mani di un’altra persona come si faceva da bambini in braccio alla mamma”.

Il cardinale Bassetti ha voluto infine ricordare come nella chiesa dell’Ospedale ci sia la tomba “di un medico buono e generoso”, che ha saputo dare tutto se stesso al prossimo come buon samaritano: il Venerabile Vittorio Trancanelli. “Cari ammalati invocatelo che il Signore per mezzo di lui possa venire in soccorso di chi è particolarmente colpito dal male. A ciascuno di voi dico: coraggio, coraggio, coraggio non temere non sei solo”.

La fase della visita si è svolta nell’aula Montalcini del CREO, dove sono intervenuti alcuni dei professionisti impegnati in prima linea nella cura e assistenza dei malati Covid-19. Testimonianze forti, molto partecipate, a tratti commoventi proprio perché: “Abbiamo anche noi sofferto non poter fare una carezza ai pazienti, parlando con loro solo con i nostri sguardi”. E’ stata che sottolineata dagli stessi professionisti lo spirito di coesione messo in campo per fare squadra, per scambiare esperienze professionali e umane.”

Il commissario Onnis nel ringraziare il cardinal Bassetti ha voluto ripercorrere le fasi drammatiche in cui l’ospedale si è trovato nell’affrontare un fenomeno completamente nuovo, dando merito ai professionisti di aver saputo interpretare al meglio le esigenze assistenziali e organizzative di una gestione assistenziale molto complessa e sconosciuta: “Resa possibile con uno spirito di generosità e altruismo che mi ha commosso”.

Il ringraziamento finale è toccato al sindaco di Perugia Andrea Romizi “Non dimenticheremo mai questa fase della nostra vita vissuta con paura, preoccupazione e davvero abbiamo avvertito tutti come il nostro ospedale abbia arginato bene questa pandemia. – continua Romizi – Sono rimasto molto toccato dalle testimonianze dei medici e avverto in questa situazione che nessuno avrebbe dovuto vivere un clima di rinascita, come se sia nato un nuovo ospedale”.

Perugia: “Una speranza che non delude”. La sesta “Lettera settimanale di collegamento” del cardinale Bassetti alla comunità diocesana nel tempo del “Coronavirus”. Annuncio delle visite all’Ospedale e al Carcere di Capanne.

Tra le immagini della Quaresima appena vissuta, che difficilmente riusciremo a dimenticare, ci sono quelle della «lunga fila di camion militari che lasciano Bergamo con il loro carico di morte…», ma anche «i primi timidi sguardi di coloro che sono guariti. Sguardi persi, ancora un po’ spaventati, ma pieni di stupore». In quelle immagini si coglie «metaforicamente il mistero vissuto nel triduo pasquale: la morte, il silenzio, la risurrezione. E ancora: il dolore, la paura, la gioia. C’è tutto questo nella Pasqua: il passaggio dalla morte alla vita. Il passaggio dall’angoscia alla speranza: dallo scandalo della croce alla promessa della vita eterna». Lo scrive il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti nella sesta “Lettera settimanale di collegamento” alla comunità diocesana di Perugia-Città della Pieve, nel tempo del “Coronavirus”, dal titolo: “Una speranza che non delude”, una sua meditazione contenuta in un articolo pubblicato da Avvenire domenica di Pasqua. Il testo integrale della lettera è scaricabile all’indirizzo: http://diocesi.perugia.it/la-vi-lettera-settimanale-collegamento-del-cardinale-gualtiero-bassetti-alla-comunita-diocesana-nel-tempo-del-coronavirus-martedi-14-aprile-2020/ .

Gesù, la porta aperta verso il Cielo. «So bene che molti italiani in questi giorni stanno piangendo i propri defunti e sono in trepidazione per amici e parenti ammalati –sottolinea il cardinale –. È un dolore che ci unisce profondamente in una comunione spirituale quotidiana e ininterrotta. Una comunione con il Padre che non può essere interrotta dalle difficolta della vita presente che colpiscono ognuno di noi. Chi ci separerà dall’amore di Dio? Non certo l’angoscia e la persecuzione. Nella celebrazione pasquale noi siamo “vincitori” proprio “grazie a colui che ci ha amati”. Gesù è la porta sempre aperta verso il Cielo. Dobbiamo gridarlo con gioia e senza paura».

Le prime visite nel tempo di Pasqua. Con questo spirito il cardinale Bassetti si recherà in visita, nel fine settimana, all’Ospedale “Santa Maria della Misericordia” di Perugia e al Carcere di Capanne. A questi due luoghi-simbolo della sofferenza umana, nel periodo del “Coronavirus”, il presule dedica le sue prime visite nel tempo di Pasqua. In Ospedale si recherà venerdì 17 aprile, alle ore 11; mentre in Carcere sarà sabato 18, alle ore 10. Per tutti coloro che incontrerà avrà una parola di “speranza che non delude”: il messaggio pasquale della salvezza.

Chiese aperte e liturgia domestica. Ritornando alla sua lettera alla comunità diocesana, essa si conclude con «alcune note importanti per affrontare le ristrettezze che siamo chiamati a vivere in questo tempo». In primis «l’apertura delle nostre chiese – scrive il cardinale –. Esse rimarranno aperte tutti i giorni, almeno la cattedrale e quelle parrocchiali, secondo orari stabiliti… In secondo luogo, alcuni suggerimenti circa la liturgia domestica. In questo tempo nel quale le celebrazioni con adunanza di popolo non possono essere praticate, oltre al lodevole servizio che le emittenti televisive, come quelle radio, ed anche i social media, stanno dando, nella trasmissione della celebrazione eucaristica e di altri momenti di preghiera o catechesi, non possiamo dimenticare una dimensione particolare della liturgia che è quella familiare, riconoscendo alla famiglia la sua identità di chiesa domestica… Nulla potrà mai sostituire la celebrazione comunitaria dell’Eucarestia, fonte e culmine della vita cristiana (cfr. LG 11), altresì nulla può sostituire il focolare domestico quale luogo originario della trasmissione della fede come dell’iniziazione alla preghiera».

Perugia, celebrazione della Notta di Pasqua in cattedrale. Il cardinale Bassetti: «Cristo Risorto ci aiuta ad uscire fuori dal sepolcro del nostro egoismo, che uccide più della morte»

«Fratelli e sorelle, più di ogni altro Sabato Santo, questo è stato per noi il giorno del silenzio. Gesù nel sepolcro ha voluto condividere con l’umanità il dramma della morte e dello smarrimento. Anche noi in questi giorni del Triduo Pasquale abbiamo sofferto e stiamo soffrendo paura, angoscia, incertezza. Quante persone care ci hanno lasciato, o Signore! Quante persone colpite, anche in Umbria 1.300! Quante famiglie in difficoltà. Nei miei 78 anni di vita questa è per me la Pasqua più sofferta e, lasciatemelo dire, più drammatica…». Ha esordito con queste parole il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti nell’omelia della celebrazione eucaristica della Notte di Pasqua, nella cattedrale di San Lorenzo di Perugia, segnata dal tempo della pandemia, presieduta insieme al vescovo ausiliare mons. Marco Salvi e trasmessa in diretta dai mezzi della comunicazione sociale e sui social ecclesiali (il testo integrale dell’omelia è sul sito: www.diocesi.perugia.it).

Il cero pasquale riaccende la speranza. «Con il cero pasquale – ha proseguito il cardinale –, la speranza si riaccende e la speranza cristiana non è un’illusione: è una persona viva, è il Risorto! E Cristo Risorto è la luce del mondo, capace di abbattere ogni tenebra. Pasqua: passaggio dalla morte alla vita, dalle tenebre alla luce. È vero che soprattutto in questo periodo ci sentiamo oppressi dalla fatica del vivere, ma la nostra vita è chiamata a partecipare alla Risurrezione di Cristo. Cristo Risorto ci aiuta ad uscire fuori dal sepolcro del nostro egoismo, che uccide più della morte. Cristo Risorto ci aiuta a uscire fuori dalla nostra superbia, dalla presunzione di sentirci meglio degli altri. Cristo Risorto ci dice che la gioia della vita sta nell’amore disinteressato e nel donare. Cristo Risorto ci aiuta ad abbattere la tomba del pregiudizio, e del dito sempre puntato verso gli altri».

Strappare dalla morte i fratelli. «Gesù, dopo la Tua morte, scendesti agli inferi, il luogo della dimora dei morti, per prenderli e portarli nel tuo paradiso; mediante la tua Pasqua di Risurrezione, continua a scendere negli inferni di questo mondo, per strappare dalle mani della morte i fratelli e le sorelle, aggrediti dal male e abbattuti da questa spietata pandemia. Conduci in cielo le anime dei troppi caduti, con le parole che rivolgesti dall’alto della croce, a chi era crocifisso con te: “oggi sarai con me in paradiso”».

Non abbiate paura. «Pasqua, il giorno più felice, perché fatto dal Signore, impensabile per noi uomini – ha sottolineato il cardinale –. Perciò, fratelli, non lasciate che i nostri animi si intristiscano. Nutrite i vostri spiriti nella fiducia del bene, e abbiate sempre il coraggio di esserne i promotori. E per voi più poveri, per voi che avete subito le ingiustizie degli uomini, per voi che ora piangete, per voi che avete fame e sete di giustizia, per voi che volete essere operatori di pace, il Risorto, statene certi, continuerà a cantare le beatitudini evangeliche. Ricordate cosa disse l’Angelo alle donne, che di buon mattino si erano recate al sepolcro? “Non abbiate paura, voi cercate Gesù Nazareno, il Crocifisso. È risorto, non è qui”. È il Vangelo della Resurrezione».

Rimuovere le pietre pesanti. «La Resurrezione è un annuncio che scuote l’intera esistenza degli uomini – ha ricordato il presule –. La scuote da capo a fondo per ridarle un nuovo volto: rimuove le pietre pesanti che gravano sui nostri cuori per renderci liberi, illumina il buio che grava sulla nostra vita per manifestare il chiarore della misericordia… “Cristo è Risorto, veramente è Risorto!”, anche se la nostra cattedrale è vuota e questo è una immensa pena nel mio cuore».

Non mancherà l’aiuto della Chiesa. «Buona Pasqua, alla città di Perugia, alla Arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve. A tutte le istituzioni, cominciando dai sindaci, ai sacerdoti, ai consacrati, ai giovani, ai carissimi ragazzi, alle famiglie, ai malati, ai carcerati, ai poveri. A chiunque si trovi in difficoltà economica non vogliamo far mancare il nostro aiuto e la nostra solidarietà – ha concluso il cardinale –. A tutti coloro che sono impegnati in politica, a tutte le persone di buona volontà che si impegnano per il bene comune, sappiate che la Chiesa vi sostiene con la sua preghiera e la sua carità. Diceva un saggio maestro di vita spirituale: da soli noi siamo soltanto capaci di perderci, ma insieme a Cristo saremo certamente salvati».

Spoleto – Pasqua di Risurrezione. Mons. Boccardo: «Guai a noi se sprecassimo nell’impazienza di far tornare tutto come prima la lezione di vita nascosta negli eventi di queste settimane»

«Gesù risorto è perfino in mezzo alle situazioni di peccato come misericordia, pronta ad attendere fino alla fine». È questo uno dei passaggi dell’omelia che l’arcivescovo di Spoleto-Norcia e presidente della Conferenza episcopale umbra ha tenuto il giorno di Pasqua, domenica 12 aprile 2020, in una Cattedrale di Spoleto vuota di fedeli a causa del Coronavirus, ma piena di spirito di compartecipazione. «Ciò che noi chiamiamo la risurrezione di Gesù – ha proseguito mons. Boccardo – attesta che tutto è cambiato. Nell’intimo di ogni realtà sono sconfitti la caducità, il peccato e la morte e in ogni nostra azione quotidiana è presente il seme dell’eternità. Il Risorto è nella nostra storia personale, è in tutte le lacrime e in ogni morte come la forza segreta di una vita che vince anche quando sembra morire; è nell’uomo che soffre, al quale ci facciamo prossimo; è nella nostra impotenza come la potenza che può permettersi di apparire debole perché è invincibile».

Poi il passaggio sulla pandemia del Coronavirus: «Veniamo da una Quaresima – ha detto il Presidente dei Vescovi umbri – segnata profondamente dal digiuno: digiuno dalle abituali sicurezze, digiuno dalle relazioni e dai contatti che danno calore alla vita, digiuno anche dai sacramenti e dall’azione pastorale. Nella pedagogia della Chiesa, il digiuno è da sempre proposto come occasione propizia per riscoprire ciò che è essenziale, distinguendolo da ciò che è soltanto importante o ritenuto tale. Guai a noi se sprecassimo nell’impazienza di far tornare tutto come prima la lezione di vita nascosta negli eventi di queste settimane. Saremmo davvero dei poveri uomini, immersi nella superficialità, votati alla delusione e perciò infelici. Dobbiamo imparare piuttosto a leggere dentro le giornate che stiamo vivendo e – senza nasconderci la tragica situazione di tante famiglie ferite dalla morte di qualche congiunto, dalla perdita del lavoro, dall’incertezza per il futuro – guardare avanti con fiducia sicuri che anche il nostro oggi abitato da tanti segnali di morte racchiude in sé dei germi di vita».

L’Arcivescovo ha esortato i fedeli che seguivano la celebrazione sui canali social della Diocesi (Facebook e YouTube) a far emergere il grido della Risurrezione in questa società a volte triste e contraddittoria. «Mi piace riconoscere questo grido nascosto – ha detto mons. Boccardo – nella dedizione di tanti operatori sanitari e volontari che donano tempo e professionalità – e qualcuno anche materialmente la vita – a servizio dei malati di Coronavirus e delle loro famiglie. Lo sento questo grido nei tanti gesti dalla origine più svariata, che offrono tempo, competenza e aiuto materiale affinché il nostro progetto di solidarietà denominato “Su questa barca ci siamo tutti” possa farsi prossimo a chi è nel bisogno a causa della grave crisi che stiamo attraversando. Da questo altare desidero far giungere a tutti il mio vivissimo grazie».

E nel pomeriggio del Sabato Santo, 11 aprile, l’Arcivescovo è andato in visita al Centro Caritas per l’emergenza Covid-19 allestito al Centro diocesano di pastorale giovanile a Spoleto e coordinato da don Edoardo Rossi. Ha salutato i volontari presenti, ringraziandoli a nome dell’intera Diocesi e da quel luogo significativo ha annunciato un nuovo servizio: uno dei quattro numeri attivati (328 7253937) sarà dedicato prevalentemente per l’ascolto di persone anziane e sole. «So di tante persone – afferma l’Arcivescovo – in là con gli anni che stanno vivendo questa quarantena in piena solitudine, con i figli magari che vivono altrove. Ho pensato allora che un altro sostegno che la Caritas può assicurare nel mezzo di questa pandemia è quello del semplice ma importantissimo ascolto. Al numero dedicato risponderà una ragazza, Lucia, che volentieri e con entusiasmo ha accettato».

Terni – celebrazione della Pasqua. Mons. Piemontese: “Che quel macigno, ribaltato dal sepolcro di Gesù, possa chiudere definitivamente il sepolcro nel quale, con corale responsabilità, confinare il Coronavirus con tutte le sue conseguenze di sofferenza e di morte”.

Nella cattedrale di Terni, il vescovo Giuseppe Piemontese ha presieduto la solenne celebrazione della Pasqua di Risurrezione, senza la presenza dei fedeli, e concelebrata don Alessandro Rossini parroco della Cattedrale, don Carlo Romani, don Stefan Sallisanimarum, padre Mario Lendini cappellano del cimitero di Terni.
Nella serata di sabato si è tenuta la celebrazione della veglia pasquale con la suggestiva liturgia, nel buio totale della chiesa del rito della benedizione del fuoco e l’accensione del cero pasquale, portato in processione lungo la navata centrale della cattedrale al canto del Lumen Christi. E’ seguita la liturgia della parola con le letture dell’Antico Testamento e del Vangelo e quindi il rinnovo delle promesse battesimali.
L’omelia del vescovo Piemontese:
“Una Pasqua singolare questa del 2020. La comunità civile si trova da oltre un mese in quarantena. La comunità cristiana in più vive una diaspora silenziosa, una dispersione che procura indicibile tristezza. Neanche durante la guerra mondiale i cristiani sono stati impediti di celebrare comunitariamente i santi misteri della Pasqua.
In questa interminabile quarantena tutti abbiamo potuto ammirare la gara di solidarietà avviata tra la gente: medici, infermieri, volontari, forze dell’ordine, persone comuni. Il mondo ecclesiale vi ha partecipato con intensa carità. Tanti sono i cristiani anche delle nostre città, dediti a sollevare i bisognosi: sacerdoti e laici impegnati nella Caritas diocesana, nell’Associazione di Volontariato San Martino, presso la mensa San Valentino e in tante altre opere di emergenza; si è avuta la bella testimonianza dei giovani dell’AC, della Comunità di Sant’Egidio, del Cammino neocatecumenale, del Movimento per la Vita, dell’Agesci, della Gifra e di altre associazioni che si sono attivati per servire anziani a domicilio. E tanti altri singoli che hanno inventato piccole e grandi forme di amore e di solidarietà direttamente e a distanza. Questi sono l’espressione della pasqua vera, premessa di speranza: a tutti rinnoviamo il nostro grazie!
Il Cambiamento d’epoca, preconizzato da papa Francesco, si va delineando con crudezza imprevista. Molti miti stanno crollando, cresce la consapevolezza delle ricchezze alternative che abbiamo dilapidato: la preziosità e bellezza del creato, il valore delle relazioni interpersonali “dirette” e non solo virtuali in famiglia e con gli amici, la scoperta di ciò che è essenziale all’esistenza, la centralità della fede e della spiritualità che orientano la vita e il valore supremo dell’amore in tutte le sue accezioni in questo tempo di Coronavirus.
La passione della nostra società e della Chiesa, provocata dalla epidemia viene assunta da Cristo: Lui si fa nostro Cireneo, compagno di viaggio nella lotta contro la malattia e la solitudine, in vista della guarigione-risurrezione.
A Pasqua Gesù vuole associarsi a noi come conviandante nel cammino di ripresa e di guarigione, dentro e fuori della città, verso Emmaus della delusione per spiegarci e recuperare le ragioni antiche e nuove del senso della esistenza, provata dalla delusione improvvisa e inaspettata.
L’augurio è che si avviino progetti di ripartenza con fiducia e speranza, facendo tesoro della lezione offerta all’umanità dall’imprevisto ostacolo-nemico rappresentato dal Coronavirus.
Gesù a pasqua si ripropone a noi come colui che ha vinto la morte e tutto ciò che è ad essa collegato: sofferenze, malattia, egoismo, distruzione, odio, rancore, peccato, violenze, guerre e morte. Con Lui e con la sua vittoria troveremo la nostra.
Che quel macigno, ribaltato dal sepolcro di Gesù, possa chiudere definitivamente il sepolcro nel quale con corale responsabilità si possa confinare il Coronavirus con tutte le sue conseguenze di sofferenza e di morte.
Auguro a ciascuno di voi, alle vostre famiglie, alle vostre comunità di trascorrere la Pasqua con intima gioia. La Parola di Dio e la carità vissuta suppliscano alla privazione dell’Eucarestia. La fame di Gesù purifichi la nostra vita cristiana e ci prepari alla grande festa, quando potremo tornare a nutrirci del Pane della vita, conforto dei sofferenti e forza dei pellegrini. BUONA PASQUA!”

Spoleto – Pasqua 2020 in tempo di Coronavirus: il video messaggio dell’Arcivescovo Renato Boccardo e la benedizione alla Diocesi dal balcone della sua abitazione che si affaccia sulla Valle Spoletana. Il Presule: «Sappiamo che Cristo è più forte del Virus».

Venerdì 10 aprile 2020 la Chiesa ha celebrato la Passione di Cristo: non è stato un giorno di lutto o sconfitta, ma una pausa nella quale si è stati invitati a contemplare il Crocifisso attraverso la proclamazione della Passione, l’adorazione della Croce e la comunione
al Corpo di Cristo dato per noi. In questa giornata l’arcivescovo di Spoleto-Norcia e presidente della Conferenza episcopale umbra mons. Renato Boccardo ha presieduto due momenti: la Via Crucis allo Scoglio della Preghiera di Roccaporena di Cascia (15.00) e l’Azione liturgica del Venerdì Santo nella Cattedrale di Spoleto (18.00).

La salita solitaria dello Scoglio di Roccaporena. L’Arcivescovo ha pregato la Via Crucis nel Venerdì Santo salendo lo Scoglio della preghiera di Roccaporena, il luogo dove Santa Rita andava ad affidare al Signore le sue pene e i suoi desideri. Con mons. Boccardo c’era solamente il pro rettore del Santuario don Canzio Scarabottini, che teneva la croce, e naturalmente i tecnici per la diretta sulla pagina Facebook “Opera di Santa Rita”.

«Cari amici e devoti di Santa Rita – ha detto all’inizio il Presule – ci ritroviamo questo pomeriggio per un tempo di riflessione e preghiera mentre facciamo memoria di Gesù sul Calvario. Porto con me idealmente la vostra preghiera, la vostra preoccupazione, la vostra speranza. Non possiamo dimenticare tutti quelli che soffrono a causa del Covid-19 che si diffonde nel mondo: penso a quelle famiglie che sono provate dalla sofferenza per la perdita di qualcuno dei loro cari, a quelle persone che non hanno più un lavoro o che è precario, alla trepidazione per il presente e per il futuro. Pur salendo da solo questa montagna, so che c’è tutto un popolo che sale in unione di preghiera con me. Siete tutti qui rappresentanti davanti al Signore che dona la vita per la nostra salvezza. Santa Rita, certamente, si unisce a noi in questa salita e condivide anche la fatica di questo tempo: lei che ha vissuto grandi sofferenze, è più che mai vicina alle donne e agli uomini di oggi che devono affrontare questa pandemia».

L’Azione liturgica nel Duomo di Spoleto. Sceso da Roccaporena, mons. Boccardo si è recato nel Duomo di Spoleto per l’Azione liturgica del Venerdì Santo. In segno di solidarietà con la comunità cristiana che in questo tempo di pandemia non si può accostare al sacramento eucaristico nella Santa Comunione, anche l’Arcivescovo e i sacerdoti non hanno ricevuto il Corpo del Signore. La liturgia è termina in silenzio, con l’orazione che ha invocato la
benedizione di Dio sul popolo che ha commemorato la morte di Gesù. La celebrazione è stata trasmessa in diretta nella pagina Facebook e nel canale YouTube della Diocesi.

Nell’omelia l’Arcivescovo ha ricordato che «Gesù, morendo, dà origine ad un nuovo modo di vivere e di morire, un modo che sconfigge la morte non perché essa sia evitata, bensì perché viene battuta sullo stesso terreno. Invece di essere segno di disperazione, occasione di maledizione, dopo il Calvario la morte diviene segno di speranza e di obbedienza. E con la morte ogni altro elemento negativo della vita umana – umiliazione, sofferenza fisica e morale, insuccesso, menzogna, tradimento – può acquistare capacità e valore redentivo». Poi, un passaggio sulla situazione di emergenza causata dal Covid-19: «Con il virus sconosciuto che minaccia l’esistenza di tante persone ormai in quasi tutte le regioni della terra, anche noi abbiamo l’impressione di stare attraversando un’epoca di buio. Pensiamo certo a tutte le vittime della pandemia, alla fatica eroica di tanti medici, operatori sanitari e volontari, e li abbracciamo con il nostro ricordo e la nostra preghiera. Ma abbiamo la certezza che questo tempo passerà e tornerà a splendere il sole sul nostro cammino. Perché l’esperienza tragica della morte di Gesù ci dice che anche questa situazione di paura e dolore porta con sé dei germi di vita e di fraternità».

Gli auguri video dell’Arcivescovo dalla sua cappella privata e la benedizione alla Diocesi dal balcone della sua residenza. La Notte di Pasqua, sabato 11 aprile, mons. Boccardo presiederà la Veglia in Duomo alle 21.00 e il giorno di Pasqua, 12 aprile, la Messa alle 11.00, sempre in Cattedrale. Il tutto trasmesso in diretta sui social della Diocesi. E mons. Boccardo in questo tempo di pandemia in cui la gente non può uscire di casa, ha affidato ad un breve video (https://youtu.be/vJTc0OLymy0) gli auguri di Pasqua. Per la registrazione sono stati scelti due luoghi significativi: la cappella del Palazzo Arcivescovile dove ogni giorno mons. Boccardo celebra e prega e il terrazzino della sua abitazione che si affaccia sulla Valle spoletana da dove ogni sera benedice la Diocesi. «Da questa cappella – dice – che è piccolina, però ci entrate tutti, penso a voi e prego per voi e desidero farvi giungere un augurio speciale. È una Pasqua particolare, eppure è una Pasqua che non ha perso nulla della sua novità: è la vittoria della luce sulle tenebre. Il Signore non ci abbandona, continua a prendersi cura di noi anche in questo tempo di pandemia. Sappiamo che Cristo è più forte del Virus. Vi benedico di cuore dal balcone da dove ogni sera mi affaccio per benedire la Diocesi».

Perugia: Il cardinale Gualtiero Bassetti alla Messa in Coena Domini nelle cattedrale di San Lorenzo: «Il Giovedì Santo ci insegna a come vivere la sostanza del Vangelo».

«Il Giovedì Santo ci insegna a come vivere la sostanza del Vangelo. La vita vera non è stare in piedi, dritti e fermi nel proprio orgoglio; la vita secondo il Vangelo è piegarsi verso i fratelli e le sorelle, soprattutto più deboli, e mettersi a loro disposizione e servizio». Lo ha evidenziato il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, nell’omelia della Messa in Coena Domini del Giovedì Santo (9 aprile), nella cattedrale di San Lorenzo, vuota, senza fedeli rimasti a casa a causa di questa pandemia. E a tutti loro, nell’introdurre l’omelia, ha rivolto il suo saluto attraverso i mezzi della comunicazione, che trasmettono in diretta le celebrazioni eucaristiche pro populo presiedute dal cardinale da domenica 15 marzo (Umbria Tv, Umbria Radio Inblu e social media ecclesiali).

Degenti, carcerati, famiglie e anziani. Il presule ha voluto ricordare «in questa celebrazione, così significativa – ha sottolineato –, tutti i degenti degli ospedali e delle cliniche, e coloro che, con amore, li assistono. Un saluto ai carcerati e in particolare alle carcerate di Capanne, dove ogni anno mi sono recato a celebrare la Messa in Coena Domini, con la suggestiva e familiare lavanda dei piedi. Penso a tutte le famiglie, soprattutto a quelle numerose, che devono stare in casa con bambini piccoli, e spesso in appartamenti ristretti. Penso agli anziani delle case di riposo, e ringrazio il Signore che non ci siano stati, fra loro, almeno fino ad ora, dei casi di contagio. Più aspra è la tempesta, più siamo tentati di arrenderci, più sentiamo la nostra impotenza e più il Signore ripete a ciascuno di noi: “non temere, figlio mio, io sono con te!”».

L’umanità di Gesù. «Cari fratelli e sorelle, che mi ascoltate – ha proseguito presule –, siamo dinanzi ad una pagina del Vangelo di Giovanni dove Gesù manifesta fino in fondo tutta la sua umanità. Sente un bisogno estremo di stare con i suoi: “prima di passare da questo mondo al Padre – dice l’evangelista Giovanni avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”, il che vuol dire fino al dono totale di sé stesso. Sì, stasera Gesù vuole stare con i suoi: quelli di ieri e quelli di oggi, noi compresi. È il suo ultimo giorno di vita, la sua ultima sera, l’ultima volta che sta coi suoi discepoli: se li era scelti, li aveva curati, li aveva amati, li aveva difesi».

L’istituzione dell’Eucaristia. «Egli diviene cibo per noi, carne della nostra carne. Quel pane e quel vino sono il nutrimento per la nostra povera vita: curano le malattie, ci liberano dai peccati, ci sollevano dall’angoscia e dalla tristezza. Non solo. Ci rendono più simili a Lui, ci aiutano a vivere come Gesù viveva, a desiderare le cose che Lui desiderava. Quel pane e quel vino fanno sorgere in noi sentimenti di bontà, di servizio, di affetto, di tenerezza, di amore e di perdono. Appunto, i sentimenti di Gesù».

Pane spezzato e vino versato. «Una delle cose che più mi affligge in questo periodo, e sono certo che è anche la preoccupazione dei miei sacerdoti – ha detto il cardinale –, è quella di non potervi comunicare con il corpo e il sangue di Cristo. “Gesù, fa che passi presto questo calice, e tutti i tuoi figli possano tornare ad unirsi a Te con il sacramento del Tuo corpo e del Tuo sangue”. Il gesto della lavanda dei piedi, che noi purtroppo stasera dobbiamo omettere, mostra cosa significhi per Gesù essere pane spezzato e vino versato per noi e per tutti».

Il comandamento dell’amore. Attraverso il gesto della lavanda dei piedi il cardinale Bassetti ha evidenziato il significato cristiano dell’inginocchiarsi, «l’ultima grande lezione di amore da vivo di Gesù», ricordando le sue parole: «“Vi ho dato l’esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi…”. Fratelli, il mondo ci educa a stare in piedi, ed esorta tutti a restarci, con orgoglio. Il Vangelo del Giovedì Santo esorta i discepoli a chinarsi e a lavarsi i piedi l’un altro: e questo è il comandamento nuovo, il comandamento dell’amore»

testo integrale omelia card bassetti Giovedì Santo 2020