I media umbri hanno celebrato la 55a Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali (Cs) con il vescovo delegato Ceu Luciano Paolucci Bedini, il presidente dell’Ordine regionale dei giornalisti Roberto Conticelli e il direttore dell’Ufficio nazionale per le Cs della Cei Vincenzo Corrado.

Si è parlato di «ministero del giornalista», di «ministro della verità», all’incontro promosso in occasione della 55a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali (Cs), tenutosi online il 19 maggio. Iniziativa organizzata dalla Commissione regionale per le Cs della Conferenza episcopale umbra (Ceu), in collaborazione con l’Ufficio diocesano per le Cs di Foligno, visionabile sul canale YouTube “vieni e vedi chiesa in umbria”. Ma si è anche parlato di giornalismo dedito all’«educazione delle coscienze», se esercitato nel rispetto delle regole deontologiche della professione e nella raccolta di più fonti possibili, e di «giornalismo di prossimità», nel dare voce ai territori e alle loro storie di vita più periferiche con il recarsi sul posto e non limitandosi al “sentito dire”.

I relatori. A intervenire su alcuni aspetti del messaggio di papa Francesco rivolto agli operatori dei media per questa 55a Giornata mondiale dal titolo «Vieni e vedi» (Gv 1,46). Comunicare incontrando le persone dove e come, sono stati il vescovo delegato Ceu mons. Luciano Paolucci Bedini, il presidente dell’Ordine regionale dei Giornalisti dell’Umbria Roberto Conticelli e il direttore dell’Ufficio nazionale per le Cs della Cei Vincenzo Corrado. Hanno portato il loro contributo i direttori degli Uffici diocesani per le Cs di Foligno, mons. Luigi Filippucci, di Gubbio, Daniele Morini, e di Spoleto-Norcia, Francesco Carlini, e alcuni giornalisti che hanno accolto l’invito a partecipare all’incontro a cui non ha fatto mancare il suo augurio di “buon lavoro” il cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti, presidente della Cei.

Pedalare. Il cardinale, prendendo spunto dal “Giro d’Italia” (l’undicesima tappa è partita da Perugia il 19 maggio), appassionato di ciclismo e tifoso in gioventù di Gino Bartali, ha invitato i giornalisti a «vivere la professione con passione e dedizione nel “pedalare” con tenacia per tagliare i traguardi, soprattutto dei “gran premi della montagna” che richiedono più fatica e di cui la vostra professione è costellata; traguardi che li raggiungete nel raccontare la verità dei fatti e nel promuovere la pace attraverso la narrazione».

Un ministero. Mons. Paolucci Bedini ha ringraziato quanti hanno preso parte, perché, ha commentato, «è vero che i giornalisti si occupano di tante cose, ma non così spesso di se stessi e la possibilità di incontrarsi, di dedicarsi un tempo così prezioso di confronto, anche sulle parole del Papa, mi sembra una cosa da sottolineare». Soffermandosi sul tema dell’incontro, il vescovo delegato Ceu ha fatto un parallelo con la recente dichiarazione del Papa circa il ministero laicale dei catechisti nella Chiesa, parlando del «ministero del giornalista» nel momento in cui viene svolto come servizio alla comunità. Al riguardo ha precisato di «non volere anticipare assolutamente nessuna decisione pontificia» e, tanto meno, di rendere questo ministero-servizio «confessionale», però, ha aggiunto, «mi piacerebbe poter ragionare con voi del servizio del giornalista come un ministero». Questo nel momento in cui l’operatore dei media, ha detto mons. Paolucci Bedini, «è capace di interpretare i sentimenti di una comunità e nel mettersi al servizio di una informazione che la comunità chiede. I giornalisti sono inviati speciali della comunità sociale, territoriale…, perché hanno il privilegio di essere presenti dove io non posso andare. In quel momento il giornalista è i miei occhi, le mie orecchie, il mio cuore…». Inoltre, ha evidenziato il vescovo, «il ministero del giornalista dà all’operatore dei media e agli stessi mezzi della comunicazione sociale anche una profonda responsabilità educativa, perché spesso la modalità con cui i giornalisti entrano nella realtà e la raccontano fa scuola».

Lavorare la verità. Alle parole del vescovo hanno fatto eco quelle del presidente dei giornalisti umbri Roberto Conticelli, nel definire l’operatore dei media «il ministro della verità, perché il messaggio del Santo Padre e le riflessioni di mons. Luciano inducono a questo. Noi giornalisti dobbiamo sempre più lavorare la verità dei fatti, altrimenti non svolgeremmo al meglio il ministero che le circostanze ci hanno indotto a svolgere spesso anche in condizioni particolarmente difficili. La verità fa sempre bene e non può fare sconti quando viene raccontata da un buon giornalista, che rispetta tutte le regole deontologiche sulla professione e che attinge a quante più fonti possibili». Il presidente Conticelli, sollecitato da alcuni interventi, si è soffermato sui fenomeni dello sfruttamento del lavoro giornalistico, dei tanti comunicatori social media che non possono essere definiti giornalisti e dei soprusi agli operatori dei media tra cui le cosiddette “querele temerarie”. Non ha trascurato l’importanza del «giornalismo di prossimità» nel dare voce soprattutto a quelle realtà territoriali che voce non hanno, perché molto piccole e periferiche dove la Chiesa, attraverso i suoi media, è chiamata a fare la sua parte grazie alla “potenziale rete” delle realtà parrocchiali.

Dove e come. Sempre sul «giornalismo di prossimità» è intervenuto il direttore dell’Ufficio nazionale della Cei Vincenzo Corrado ricordando mons. Elio Bromuri, maestro del giornalismo cattolico umbro. Allo storico direttore del settimanale La Voce Corrado deve, come ha precisato, «un grande debito di riconoscenza: mi ha insegnato cosa significa concretamente vivere la prossimità attraverso la comunicazione e credo che la lezione di questi maestri di comunicazione delle Chiese locali, come don Elio, passi proprio dalla loro capacità di vivere il territorio in maniera piena e compiuta e di conoscere la realtà che viene descritta e raccontata. E’ fondamentale entrare in relazione con le persone a cui ci si riferisce. Questo, molto spesso, è uno dei grandi buchi che noi avvertiamo nelle nostre narrazioni, il fatto di non conoscere più la realtà che ci circonda perché manca una relazione a monte». Per questo, come ha evidenziato il direttore dell’ufficio Cei, il messaggio del Papa ha una peculiarità nel privilegiare due avverbi comunicando e incontrando le persone: «dove e come sono». Credo, ha sottolineato Corrado, «che questo “dove e come” ci restituisca il senso del nostro lavoro non semplicemente informativo, ma soprattutto comunicativo nel momento in cui il nostro impegno riguarda anche la dimensione pastorale, la centralità di una comunicazione all’interno di una Chiesa locale che vive questo suo essere in “uscita” attraverso la dimensione comunicativa».

Appelli e considerazioni. Un vero e proprio «appello» è stato lanciato da mons. Luigi Filippucci «ai giornalisti ad unirsi, a stare insieme perché – ha sottolineato – dobbiamo sempre più raccontare alla Chiesa, alla politica, ai grandi strumenti della comunicazione che noi siamo presenti, liberi per raccontare tutte le persone in tutte le situazioni. Questo stare insieme ci è dato dal “vieni e vedi” del messaggio del Papa fatto proprio dai nostri vescovi». Altro appello è giunto da Francesco Carlini nel parlare della necessità di maggiore collaborazione e solidarietà tra giornalisti a iniziare dai colleghi che operano nei territori più periferici, richiamando al rispetto dei valori deontologici della “Carta di Firenze” dell’Ordine dei Giornalisti. E sull’importanza di essere «presidio del territorio» come «media dalla parte della persona» ha parlato il consigliere dell’Ordine regionale dei Giornalisti Fabio Luccioli, che ha evidenziato anche l’importanza della «formazione professionale nel dare una informazione responsabile e corretta». Sulla considerazione che si ha degli operatori dei media è intervenuto il giornalista Maurizio Troccoli, sostenendo che «la nostra categoria doveva farsi sentire di più e meglio, ad esempio sui fenomeni delle “querele temerarie” e dello “sfruttamento del lavoro”. Ma i giornalisti – ha aggiunto – non hanno soltanto dei diritti da rivendicare, hanno anche delle responsabilità da riconoscere e dei doveri da onorare per la buona riuscita della loro impresa giornalistica ad iniziare dalla capacità di innovare e migliorare il loro lavoro. Insomma “non bastarsi” come giornalisti e abbracciare un po’ il destino della propria azienda editoriale». A parlare della «rivoluzione digitale di questi ultimi decenni» è stato Daniele Morini, precisando che questa rivoluzione «ha portato a due cambiamenti profondi: da una parte il crescente consumo mediatico da parte del pubblico e dall’altra il nostro lavoro di giornalisti chiamati a raccontare tutto ciò che ci circonda. Oggi il confine tra chi emette e chi riceve news è sempre più sfumato o annullato se pensiamo all’utilizzo dei social media. Per questo occorre maggiore formazione per far riscoprire all’opinione pubblica il valore aggiunto dell’informazione giornalistica».

Spunti e sollecitazioni che contribuiscono a promuovere un giornalismo dalla “pedalata” di qualità prodotto da tutti i media, non solo di espressione ecclesiale, sono emersi da questo incontro seguito anche da non “addetti ai lavori”, che potranno essere approfonditi e rilanciati in future simili iniziative.