Cercare la vita, accogliere l’ospite, camminare insieme. Questi tre spunti racchiudono l’omelia che l’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo ha tenuto martedì 21 marzo 2023 a Norcia nella festa liturgica di S. Benedetto. La solenne celebrazione eucaristica si è tenuta nella piazza dedicata al Santo patrono d’Europa, sotto la “sua” grande statua in marmo, dinanzi ai ponteggi della “sua” Basilica in ricostruzione dopo i terremoti del 2016. Col Presule hanno concelebrato i parroci della zona pastorale di Norcia, don Marco Rufini e don Davide Tononi, il parroco di Preci, don Luciano Avenati, quello di Cascia, don Canzio Scarabottini, don Mahlu Hagos Desta, collaboratore pastorale di Cascia. Hanno assistito alla celebrazione i Benedettini del monastero di S. Benedetto in Monte di Norcia, guidati dal priore padre Benedetto Nivakoff. Prima della Messa, animata dal coro della parrocchia e da quello di S. Benedetto, hanno sfilato in Piazza i figuranti del corteo storico della Città. Molti i fedeli presenti, così come le autorità civili e militari, tra cui: la presidente della Giunta Regionale dell’Umbria Donatella Tesei, Armando Gradone e Giuseppe Bellassai rispettivamente Prefetto e Questore di Perugia, il rappresentate della presidente della Provincia di Perugia, il sindaco di Norcia Nicola Alemanno e il rappresentate di quello di Spoleto Giovanni Maria Angelini Paroli.
Cercare la vita. «S. Benedetto – ha detto mons. Boccardo – ci spinge a riscoprire quello che abita in profondità il nostro cuore, a non mettere da parte i desideri più autentici che a volte siamo portati a credere irrealizzabili e lontani, soprattutto in momenti difficili come questo, con la guerra che è ritornata a ferire l’Europa. Guardandoci attorno, spesso constatiamo che quello che rende l’umanità così delusa e a volte così violenta è la consapevolezza di un mondo e di una vita insignificanti. C’è una “crisi di senso”. Una vita consegnata alla noia o al consumismo ha in sé i germi della gelosia, dell’invidia e della rivolta. Ora domandiamoci: cos’è che rende questo mondo insignificante? Non sarà che noi lo costruiamo in funzione di finalità che non sono degne dell’uomo? Ricercando sempre più il denaro e l’agio, ci priviamo della gioia della condivisione; accettando tutti i compromessi purché le nostre ambizioni e la nostra sete di potere vengano soddisfatti, impediamo agli altri di crescere; soddisfacendo gli istinti più bassi, ci ripieghiamo su noi stessi, incapaci di conoscere la gioia del fratello la cui felicità si nutre della felicità dei propri fratelli. San Benedetto ci sprona a ritrovare il vero significato di ogni costruzione umana: esiste una ragione ultima per vivere e questa ragione si chiama Dio che è amore. E proprio per fedeltà alla persona umana creata da Dio, al suo superiore destino, ai suoi diritti e ai suoi doveri, ci sentiamo di chiedere a coloro che hanno assunto la responsabilità della cosa pubblica – ha sottolineato l’Arcivescovo – di rendersi attenti e sensibili a quanto fa bella e buona la vita di tutti, iniziando col promuovere e difendere l’istituzione familiare costituita dall’unione stabile di un uomo e di una donna, aperti ad assumersi la responsabilità genitoriale e ad assicurare ai bambini l’indispensabile presenza di un papà e di una mamma».
Accogliere l’ospite. «Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: “Sono stato ospite e mi avete accolto”. Questo passo della Regola di S. Benedetto (53, 1) – ha detto ancora mons. Boccardo – è molto importante, soprattutto nei nostri giorni dove si respira una sempre maggiore diffidenza, una paura dell’altro, visto come una minaccia per la nostra prosperità e la nostra felicità. Sappiamo bene che non basta una visione cruenta per decidere di prendersi cura dell’altro: se prima non si è accesa umanità nel cuore, l’occhio non vede. Come gli occhi di chi guarda i morti per naufragio sui barconi e parla di quelle vite come fossero bestiame. Non è possibile non pensare alla radicale insensibilità, all’assenza di umanità mostrati quando, di fronte alla morte in mare di oltre 90 migranti, di cui molti bambini, si ribadisce che la colpa è la loro: “Non dovevano partire”. Quella che Papa Francesco ha da tempo chiamato la “cultura dell’indifferenza” sta producendo veri e propri mostri: persone che di fronte al dolore altrui non solo si voltano dall’altra parte, ma incolpano i sofferenti dei loro stessi mali, senza neppure tentare di comprendere l’immane tragedia che sta dietro e dentro le loro vite. Benedetto invece ci ricorda che l’altro non è solamente qualcuno al quale io devo dare, ma è soprattutto colui dal quale io posso ricevere».
Camminare insieme. «Infine l’ultimo aspetto che potremmo imparare dal patrono d’Europa per i nostri giorni è il senso di comunità. C’è nella Regola una espressione che è importante recuperare: “tutti insieme”. Occorre camminare insieme – ha detto infine il Presule – senza lasciare indietro nessuno; occorre individuare il “passo giusto” perché nessuno vada troppo avanti e qualcuno rimanga indietro. La comunità delineata da Benedetto non è una gara nella quale si vince se qualcuno arriva per primo, ma dove la vittoria c’è se si arriva “tutti insieme” alla meta. Anche questo oggi dobbiamo imparare nella nostra società europea: non si vince se c’è qualcuno che arriva prima, ma solamente se si cammina tutti insieme e insieme si raggiunge la meta, che è una convivenza civile veramente degna dell’uomo».