Ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi, alle consacrate, a tutti i fedeli di Cristo dell’Archidiocesi di Perugia-Città della Pieve
Quando vi scrissi l’ultima lettera, il 30 ottobre, giorno del mio ricovero in Ospedale, avevo chiara l’intuizione che quella sarebbe potuta essere la mia ultima comunicazione con voi, su questa terra.
Vi ricordo soltanto un passaggio: «Vorrei che in questo periodo di così grave sofferenza non sentissimo la croce come un peso insopportabile ma come una croce gloriosa. Perché la Sua dolce presenza e la Sua carezza nell’Eucarestia fanno sì che le braccia della croce diventino due ali che ci portano a Gesù» (era l’immagine di don Tonino Bello).
Quasi avvertivo che, umanamente parlando, difficilmente avrei superato la prova… Come ho avuto modo di comunicarvi, ciò che mi pesava di più, se non ce l’avessi fatta, erano quelle occasioni di fare del bene che, in 78 anni di vita, non sempre avevo saputo accogliere.
Non vi nego che, per continuare la mia “partita” con voi, ho chiesto al Signore i tempi supplementari…
Con le preghiere di tante persone e comunità, e non solo della nostra Chiesa, delle quali mi sento davvero debitore, il Signore ha accolto la mia supplica.
Cari amici, stiamo attraversando un lungo periodo di sofferenza e smarrimento, che sembra non avere termine. Nessuno è in grado di dirci a che punto siamo della notte, anche se abbiamo salda la speranza che l’alba arriverà.
Vedo famiglie sempre più preoccupate e inquiete: «Cosa darò da mangiare ai miei figli?». Vedo ragazzi e giovani che si stanno caricando, inconsapevolmente, il peso sociale più gravoso di questa pandemia: questi giovani stanno rinunciando alla loro giovinezza, alla loro spensieratezza, al loro dinamismo.
Di fronte a tutto questo, cosa ha da dirvi o da darvi il vostro Vescovo?
Vi invito tutti a prendere in mano il Vangelo, a sostare come Maria di Betania ai piedi del Maestro, per ascoltare le sue parole, per meditarle nel cuore, o semplicemente guardarle con gli occhi della fede, nella gioiosa consapevolezza che Lui ci precede sempre con lo sguardo e l’amore.
Se nella meditazione prevale la ricerca amorosa della verità, nella contemplazione si ha il godimento amoroso della verità trovata. Se, da una parte, raccontiamo al Padre quello che Gesù ha fatto per noi, dall’altra raccontiamo a noi stessi i suoi gesti e le sue parole, per poter camminare sulle sue orme.
Questo è ciò che hanno fatto anche i nostri Patroni, in particolare san Costanzo, padre e in qualche modo fondatore spirituale della nostra Archidiocesi, per la quale ha dato la vita: una vita già spesa nella preghiera e nell’impegno pastorale, nell’ascolto e nella sequela della Parola. Quest’anno è così che lo festeggeremo, senza “luminarie” né fasti esteriori, ma con gesti silenziosi di carità e con l’intimità della preghiera, chiedendogli una particolare forza di intercessione per le difficoltà che stiamo attraversando.
Ricordo quando, 53 anni fa, ero vicario cooperatore nella bellissima chiesa abbaziale di San Salvi a Firenze, e una anziana signora, senza misurare il tempo, dopo la Messa si immergeva nella preghiera. In parrocchia non c’era povero o malato che non la conoscesse. Mentre era assorta il suo volto sembrava trasfigurarsi.
Quando Mosè scese dal monte Sinai, dopo aver conversato con Dio, lui non lo sapeva, ma la sua pelle era diventata raggiante. Ogni discepolo che, in modo autentico, sale il monte della contemplazione della Parola e dell’Eucarestia, ne discende luminoso, anche senza saperlo: ritorna felice tra la gente, ritorna impegnato ad essere riflesso di questa presenza di amore con l’accoglienza e il servizio.
Ecco allora il mio augurio, miei cari amici: diventate raggianti di Parola di Dio e di Eucarestia!
Gualtiero Card. Bassetti