Solennità di San Orvieto-Todi – San Fortunato e l’apertura della fase diocesana del cammino sinodale della Chiesa italiana

Per una provvidenziale coincidenza, quest’anno la solennità di San Fortunato cade all’inizio del cammino sinodale che vede tutta la Chiesa impegnata a preparare la XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Questo appuntamento si interseca con il processo che la Chiesa in Italia, su sollecitazione di Papa Francesco, sta avviando per attuare il passaggio, indicato dall’esortazione apostolica Evangelii gaudium, da una Chiesa “in stato di assedio” a una Chiesa “in uscita missionaria”. Entrambi gli itinerari rappresentano per la nostra Diocesi di Orvieto-Todi un forte stimolo a mettere meglio in asse la sinodalità, sia sviluppando una coscienza ecclesiale che renda ogni battezzato protagonista della vita e della missione della Chiesa, sia rivitalizzando, ad ogni livello, gli organismi di partecipazione, che non possono essere concepiti come semplice cassa di risonanza di decisioni già assunte o, al contrario, come una sorta di tavolo sindacale.

L’OMELIA DEL VESCOVO SIGISMONDI

Per una provvidenziale coincidenza, quest’anno la solennità di San Fortunato cade all’inizio del cammino sinodale che vede tutta la Chiesa impegnata a preparare la XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Questo appuntamento si interseca con il processo che la Chiesa in Italia, su sollecitazione di Papa Francesco, sta avviando per attuare il passaggio, indicato dall’esortazione apostolica Evangelii gaudium, da una Chiesa “in stato di assedio” a una Chiesa “in uscita missionaria”. Entrambi gli itinerari rappresentano per la nostra Diocesi di Orvieto-Todi un forte stimolo a mettere meglio in asse la sinodalità, sia sviluppando una coscienza ecclesiale che renda ogni battezzato protagonista della vita e della missione della Chiesa, sia rivitalizzando, ad ogni livello, gli organismi di partecipazione, che non possono essere concepiti come semplice cassa di risonanza di decisioni già assunte o, al contrario, come una sorta di tavolo sindacale.

La sinodalità, frutto e condizione della venuta dello Spirito, non è una parola o un abito alla moda: è la forma esteriore che il mistero della communio assume nella vita della Chiesa. Sorge dal basso, inizia dall’ascolto, dove ciascuno ha qualcosa da imparare dall’altro, nella volontà di mettersi in sintonia. Si tratta di un processo faticoso, da vivere nella tensione tra il procedere e lo stare insieme. Richiede spiritualità evangelica e appartenenza ecclesiale, formazione continua, disponibilità all’accompagnamento, creatività. La sinodalità prende forma nello sperimentare che la Chiesa è un Corpo vivo, caratterizzato da quella comunione fraterna in cui le membra condividono doni, carismi e ministeri. La sinodalità ha, dunque, un respiro largo e complesso: scaturisce non dal labirinto delle buone intenzioni, ma dal crogiuolo delle relazioni.

La dimensione sinodale, costitutiva del Corpo ecclesiale, è la sua corretta “postura”, esprime la natura e la missione della Chiesa nella storia. Lo afferma con grande chiarezza san Giovanni Crisostomo: “Chiesa è nome che sta per sinodo” (cf. Explicatio in Ps. 149). Lo spettro della sinodalità, più ampio di quello della collegialità, comprende lo specifico modus vivendi et operandi della Chiesa, il cui stile di governo, in tutti i suoi livelli, non si ispira alla leadership di una personalità carismatica o, al contrario, ai criteri della democrazia parlamentare. Lo stile sinodale si fonda sul sentire cum Ecclesia, affinato dalla suprema lex: la salus animarum. L’assunzione della forma mentis sinodale è, dunque, una sfida permanente per la Chiesa, chiamata a testimoniare che il “camminare insieme” si configura come un’opera artigianale di tessitura.

Di questo faticoso lavoro di “ingegneria tessile” abbiamo immenso, urgente bisogno. L’intercessione di San Fortunato ci aiuti a rafforzare il desiderio e la responsabilità della comunione. Anzitutto quella all’interno del Presbiterio, che ha ricadute immediate sulla qualità della vita della Chiesa diocesana. Il mandato di “camminare insieme”, presupposto della missione, è condizione per ascoltare i “gemiti dello Spirito” (cf. Rm 8,26), particolarmente forti in questa stagione ecclesiale che, come ricorda Papa Francesco, segna un vero e proprio “cambiamento d’epoca”. La crisi è un tempo di grazia, un momento favorevole per entrare nello “spessore” della croce, nella logica della sua “sapienza” (cf. 2Cor 12,9-10). Ogni crisi contiene una benedizione se si affronta intrecciando i sogni con la memoria, cercando strade nuove, concrete e praticabili.

Nelle circostanze attuali è necessario avere una visione strategica della vita pastorale, con riguardo agli obiettivi, individuando le priorità da cui partire, senza dimenticare che la cura delle anime è “l’arte delle arti”. Non si tratta di elaborare progetti, “più formali che reali”, ma di crescere nel discernimento dei sentieri dello Spirito, favorendo la pastorale “a goccia” dei cammini di accompagnamento e non quella “a pioggia” delle iniziative di mantenimento. Le riforme non si disegnano senza avere la responsabilità e il coraggio di una visione, “i cui tratti fondamentali sono la famiglia, cellula che genera la società e il suo futuro, e il compito irrinunciabile dell’educazione di grande qualità”. Su questi due sentieri siamo chiamati a muoverci, senza indugio, facendo tesoro di quanto insegna san Gregorio Magno, il quale ci offre un’istantanea della figura di san Fortunato nei Dialoghi in cui, narrando la vita di persone contemporanee o scomparse da poco, dimostra che la santità è sempre possibile, anche in tempi difficili.