Sabato 4 gennaio 2025 l’Arcivescovo ha presieduto la Messa per l’avvio dell’Anno giubilare nel Carcere di Spoleto. Con mons. Boccardo hanno concelebrato: padre Marco Antonio Uras, ofm, cappellano della Casa di reclusione; don Sem Fioretti, vicario generale; don Vito Stramaccia e don Edoardo Rossi, vicari episcopali; padre Roberto Cecconi, cp, rettore del Santuario della Madonna della Stella in Montefalco; don Luca Gentili, cancelliere arcivescovile; altri francescani del Convento di S. Fortunato a Montefalco.
Erano presenti, naturalmente, tanti detenuti, così come c’erano i vertici della Casa di reclusione: la direttrice Bernardina Di Mario e il comandante della Polizia Penitenziaria Luca Bontempo. Hanno preso parte alla cerimonia anche i magistrati di sorveglianza Grazia Manganaro e Nicla Flavia Restivo. Le istituzioni civili erano rappresentate dal senatore Walter Verini e dal vice sindaco di Spoleto Danilo Chiodetti. La liturgia è stata animata dal coro “Ad Cantus Ensamble Vocale” di Foligno, diretto da Francesco Corrias. La Messa ha avuto inizio lungo il corridoio che conduce alla chiesa interna del Carcere, dove i detenuti hanno realizzato una “Porta Santa” simbolica: sulle ante ci sono delle formelle che ripresentano le immagini della Via Crucis; la base dorata sono le coperte termiche dei migranti che hanno attraversato il Mediterraneo per trovare libertà e dignità. I detenuti, nel realizzare il manufatto, sono stati coadiuvati dai docenti Giorgio Flamini, Maria Paola Buono e Roberta Visconti del percorso di secondo livello artistico dell’I.I.S. Sansi-Leonardi-Volta di Spoleto. È stata interessata anche la falegnameria interna del Carcere con il suo capo arte, lo spoletino Aleandro Pennetti Pennella. La Direzione e la Polizia Penitenziaria, durante la realizzazione del manufatto, hanno fornito tutto l’aiuto necessario.
L’omelia dell’Arcivescovo. «Mi sembra che il Signore questa sera rivolge a tutti noi la stessa domanda: che cosa cerchi? E ciascuno di noi potrebbe fare una lista di quello che desidera, che spera, di quello che gli manca. Perché tutti siamo in attesa di qualche cosa che venga a riscaldare il cuore. Bisogna rispondere a questa domanda. E per farlo i primi discepoli dicono a Gesù: “Ma dove abiti?”. La casa è il luogo dove ci si conosce, dove si impara a volersi bene e a perdonarsi. Provare a trovare una risposta a questa domanda vuol dire, allora, andare in casa. E voi avete preparato questa porta bellissima, che ho ammirato. Andare a casa vuol dire attraversare una porta. Il Giubileo porta con sé l’immagine della porta. Perché quando si attraversa una porta c’è un prima e c’è un dopo, c’è quello che si trova prima e quello che sta dentro. Il primo messaggio per noi mi sembra essere quello di attraversare questa porta dando un nome a quanto sta fuori e a quanto si può trovare dentro. Tutta la nostra vita, in fondo, porta con sé dei passaggi di qualche porta. Si tratta di capire quali sono le porte che vanno chiuse e quali quelle invece che bisogna spalancare. Non è forse vero che abbiamo delle porte da chiudere? C’è qualche ricordo che ci brucia dentro, c’è qualche ferita che non si è rimarginata, ci sono delle parole che sono state dette e altre che non sono state dette. Tutto questo ci pesa addosso come un macigno e, per quanto ci sforziamo, facciamo fatica a dimenticare, a girare pagina. Attraversare quella porta allora vuol dire chiuderne delle altre che ci conducono non verso la luce ma verso la tenebra; che anziché aiutarci a crescere nella verità, nella giustizia e nella sensibilità ci portano piuttosto a cedere alla sollecitudine dell’orgoglio che poi diventa violenza, prevaricazione e ingiustizia. Bisogna chiudere alcune porte che non ci appartengono, che hanno segnato la nostra vita ma che non hanno prodotto nulla di quello che avremmo desiderato. Bisogna, poi, aprire qualche altra porta: cioè prendere coscienza della propria esistenza, della propria storia, guardare la realtà in faccia senza nascondersi, provare a chiamare le cose con il loro nome per far sì che la verità si faccia strada dentro di noi e ci rimetta in piedi e ci aiuti a guardare avanti con fiducia rinnovata.
Al termine della celebrazione un detenuto ha rivolto delle parole di ringraziamento all’Arcivescovo per questa celebrazione: «L’apertura di questa Porta Santa per noi è stato un momento significativo, i nostri cuori inquieti attendevano questo giorno. Anche noi, nella selva oscura dell’esistenza, vorremmo avere la possibilità di sognare e di sperare. Auspichiamo che il transito di questa porta possa ravvedere i nostri cuori e il nostro futuro». Prima di lasciare il Carcere, mons. Boccardo si è recato a fare visita anche ai detenuti del 41 bis ed ha detto: «Mi sono confrontato con la coscienza carica di sbagli compiuti, con una voglia di redenzione forte che, al di là di quanto giustamente viene definito dalle leggi, dice la dignità della persona e fa emergere quella scintilla di bene, di verità e di bellezza che abita il cuore di queste persone. Un momento particolarmente significativo che dà un buon inizio a questo Anno Santo».