La sera del 24 e il giorno del 25 dicembre 2020 l’arcivescovo di Spoleto-Norcia e presidente della Conferenza episcopale umbra (Ceu) mons. Renato Boccardo ha celebrato la Messa della Notte e del Giorno di Natale nella Basilica Cattedrale di Spoleto.
La Messa della notte si è tenuta alle 18.00, orario insolito ma necessario in questo tempo di restrizioni adottate per evitare il diffondersi del Covid-19 e consentire così alle persone di fare rientro alle proprie case in tempo utile per la cena di famiglia. Come ha detto mons. Boccardo nell’omelia, infatti, Gesù «per venire al mondo non ha bisogno di orari da rispettare né di condizioni favorevoli, non ha neanche bisogno di una casa tutta sua; gli basta poco, pochissimo: solo un cuore disponibile che lo accolga». Per l’Arcivescovo quella della Notte è stata la prima Messa celebrata nell’altare maggiore del Duomo dopo la positività a causa del Coronavirus e il conseguente ricovero in ospedale. Un buon numero di fedeli si è riunito in Cattedrale per la Veglia; al canto del Gloria, mons. Boccardo ha scoperto il Bambinello, lo ha baciato e incensato. «Ormai da mesi anche noi e il mondo intero – ha detto il Presule nell’omelia – siamo come immersi in una oscurità che sembra inghiottire tutto e tutti, bloccare il ritmo della vita e la quotidianità delle relazioni, impedire qualsiasi programma o progetto, mentre ci richiama continuamente con duro realismo una delle dimensioni fondamentali dell’esistenza: quella fragilità e provvisorietà che vorremmo con tutte le forze allontanare dal nostro orizzonte… Ci sentiamo dei naufraghi in un mare ignoto e pericoloso, siamo impauriti, disorientati, e preoccupati, mentre si diffonde il contagio della solitudine, si disgregano le reti che tengono insieme la società, si accentuano le divisioni tra le nazioni, le culture, i continenti; e una comunicazione soggetta all’istinto e aliena dalla riflessione induce a chiudersi, genera l’illusione di poter fare da soli, di poter vivere sani in un mondo malato. Stiamo vivendo “con il fiato corto”, come se fossimo in convalescenza persistente da un Coronavirus dell’anima, che ci toglie a tratti i sapori e gli odori del vivere. Il tempo di pandemia che stiamo vivendo – ha proseguito – ci obbliga ad una maggiore attenzione, ad una frugalità non apparente, ci spoglia di quelle abitudini che da accessorie sono diventate spesso il motivo stesso della celebrazione del Natale. È l’enorme macchina di festeggiamenti con cui abbiamo infarcito – fino quasi a nasconderlo – l’evento che fonda la ragione di tutto: una nascita in un luogo povero, fatto di stenti e difficoltà; una nascita che cambia l’uomo e il mondo e il tempo. Grazie alla spoliazione di quell’opulenza che mette al centro di tutto tradizioni altre rispetto all’unica che conti veramente, possiamo tornare alla grandezza della semplicità».
Nell’omelia del Giorno l’arcivescovo Boccardo ha parlato di questo Natale come di uno tra i più difficili. «Siamo come travolti, in tutti i sensi e da tutti i punti di vista: familiare, sociale, sanitario, finanziario, materiale, e anche sul piano spirituale. Ma un Natale meno scintillante non è un Natale meno autentico. Ricerchiamo allora nel nostro cuore quello che conta realmente, ciò che è davvero indispensabile, quei sentimenti e quei gesti che ci rendono uniti a coloro che amiamo. Anche su questo tempo strano e ingestibile il Natale proietta la sua luce e ci suggerisce scelte e atteggiamenti: in un’epoca ricca di sfide e di tentazioni, sta a noi saper assumere le une e respingere le altre. Il distanziamento sociale, necessario sul piano sanitario, induce purtroppo altre prese di distanza: un distanziamento psicologico che ci allontana dall’altro, alimenta il disinteresse e anche la diffidenza. Papa Francesco nella sua recente Enciclica Fratelli tutti ci ricorda che la fraternità non conosce distanze fisiche. Il mio prossimo, anche se lontano, non cessa di essere prossimo. Le nostre mani, così sanificate dalla soluzione idro-alcolica, non siano impedite di sporcarsi nel servizio ai fratelli. Portiamo mascherine – ha detto il Presidente dei Vescovi umbri – per non respirare il virus. Ma è da tempo che portiamo maschere. Più sottili, più discrete di questi piccoli tessuti. Maschere per illuderci di essere altri. Il Tentatore ama che ci mascheriamo, che interpretiamo un personaggio che non siamo noi. Dobbiamo invece essere noi stessi, restare noi stessi. Al di là delle nostre voglie di mascherarci».