Un applauso caloroso ha salutato il vescovo padre Giuseppe Piemontese a conclusione della solenne celebrazione di ringraziamento nella Cattedrale di Terni per la fine del suo ministero pastorale nella diocesi. Tante le attestazioni di stima e di affetto da parte dei sacerdoti, diaconi, religiosi, rappresentanti di associazioni e movimenti ecclesiali, autorità civili e militari, fedeli delle varie parrocchie che hanno partecipato alla celebrazione.
“Ho sfogliato l’album delle fotografie di questi anni, l’annuario dei vivi e dei defunti, gli atti della visita pastorale – ha detto il vescovo nell’omelia – ho richiamato alla memoria i fatti, i visi, le particolarità e i doni di quanti ho conosciuto e frequentato. A tutti e a ciascuno rivolgo oggi un pensiero di amicizia e di gratitudine, accompagnata da una preghiera e anche da una richiesta di scusa o di perdono. Sette anni e mezzo non è un tempo lungo per un mandato episcopale in una diocesi – -. Conoscere persone, fatti e situazioni, intessere relazioni, creare sintonia, avviare programmi, richiede tempo per la progettazione, la condivisione, la realizzazione, la verifica. Le imprese umane e spirituali richiedono tempo, decantazione e assestamento. Guardando indietro mi rendo conto di quante iniziative avviate sono rimaste a metà, in corso d’opera. E tuttavia questi sette anni, con tutte le difficoltà e criticità ricevute in consegna all’inizio, sono stati anni benedetti, tempo di Dio, spazio di grazia, fecondato dallo Spirito Santo, guidato e addrizzato dal Buon Pastore, realizzato con la forza, la fatica e la collaborazione di tutti voi.
Ad uno sguardo d’insieme appare chiaro che sono stati anni chiaramente distinti nei periodi, nei percorsi programmatici pastorali e nelle provocazioni per il futuro.
Nel binomio Comunione e Missione è l’alveo, il percorso, i contenuti e lo stile per gli anni del mio ministero nella Chiesa diocesana . Un programma, scaturito dalla urgenza di superare la stato di frammentarietà, divisione e autoreferenzialità delle varie realtà diocesane, e declinato e modulato nei varie circostanze temporali fino a imboccare decisamente l’alveo della sinodalità, secondo l’incoraggiamento di papa Francesco”.
Il vescovo ha quindi ricordato i momenti più significati per la comunità diocesana: l’anno santo della Misericordia con il giubileo di tutte le categorie sociali, civili e religiose, culminato nell’ingresso processionale e penitenziale della Porta santa della cattedrale, la preparazione e la realizzazione della visita pastorale (2017-2019); le feste dei santi patroni e in particolare quella di San Valentino; gli ultimi anni caratterizzati dalla pandemia, che ha incoraggiato la comunità a rafforzare la comunione nel tempo della quarantena e nella missione dell’annuncio del vangelo e della carità in una grave situazione di emergenza umana, sociale e religiosa e il 40° anniversario della visita di papa San Giovanni Paolo II a Terni e alle Acciaierie che è stata l’occasione per riproporre i messaggi sul vangelo del lavoro, tutt’ora attuali, rivolti dal papa polacco agli operai, alla città e alla Chiesa diocesana sul tema del lavoro e della comunione con gli operai.
Ed infine l’esortazione a volgere sempre lo sguardo alla stella di Maria: “Con un po’ di presunzione, parafrasando l’apostolo Paolo, con buona coscienza, ardisco affermare di essermi sforzato di farmi tutto a tutti – ha concluso padre Piemontese -. Confido nella misericordia del Padre e nelle vostre preghiere. Come ho detto ai ternani, così ripeto alla Chiesa diocesana; sii te stessa… volgi lo sguardo alla stella, che è Cristo, la stella polare, la stella cometa che ha guidato i magi, la stella di Maria. Continuate ad essere forti in questo tempo di pandemia, di trasformazioni, di ripresa e di rinascita. Il Signore vi benedica e vi dia la Pace!”
Hanno portato il saluto della comunità sacerdotale don Salvatore Ferdinandi vicario generale, suor Roselene per i religiosi, il segretario del consiglio pastorale diocesano Francesco Meschini, per le associazioni Luca Diotallevi presidente dell’Azione Cattolica diocesana e il sindaco di Terni Leonardo Latini a nome di tutti gli amministratori della diocesi.
IL SALUTO DI LUCA DIOTALLEVI
Carissimo mons. Vescovo,
i “grazie” di circostanza lasciano in bocca un sapore cattivo ed alla fine contraddicono se stessi.
Se questa verità vale per tutti, per noi cristiani a questa si aggiunge il comando evangelico di non giudicare. Questo comando, prima ancora che vietare ogni condanna, invita a non pensare di aver capito tutto e subito degli eventi ed a maggior ragione di quelli in cui siamo stati coinvolti. Sicché ci si deve chiedere se in una come questa resta qualcosa da dire che non sia affetto da ipocrisia o da superbia intellettuale? Sì, qualcosa resta: non possiamo giudicare, ma possiamo – e dobbiamo – ricordare. Ricordare: richiamare la cuore, laddove la fede è scelta.
Innanzitutto possiamo ricordare come ci siamo incontrati. Possiamo ricordare in quali difficoltà eravamo noi come Chiesa di Terni Narni Amelia e possiamo ricordare quanto fosse lontano non dico dai Suoi disegni, mons. Vescovo, ma anche solo dalle Sue ragionevoli previsioni il ministero che il Papa La chiamò a svolgere tra di noi.
Possiamo ricordare anche le tante vicende difficili che abbiamo attraversato insieme in questi otto anni. L’aggravarsi della crisi sociale, civile e culturale di questa nostra porzione di mondo, la crescente fragilità di alcuni elementi della struttura ecclesiastica di questa nostra Chiesa, l’inaspettata prova della pandemia; e ancora dobbiamo ricordare tante morti, tanti addii ad amici preziosi, senza i quali ogni volta ci è sembrato impossibile continuare il cammino.
Possiamo ricordare dove siamo ora, e lo dobbiamo. Oggi tutta la Chiesa universale ci riconosce ancora non come un gruppo di credenti, ma come una Chiesa particolare viva. Non era affatto scontato ed invece è successo. Ed è come Chiesa particolare di Terni Narni Amelia che oggi ci ritroviamo protagonisti di un nuovo coraggioso tentativo di assumere l’invito evangelico e conciliare al rinnovamento, ad un rinnovamento sinodale.
Su queste e su tante altre memorie le Scritture e l’intera Tradizione della Chiesa gettano una luce potente e così ci consentono di gettare uno sguardo di fede. È a questa luce che ci appare qualcosa di inatteso, qualcosa di bello, qualcosa su cui meditare, qualcosa che possiamo e dobbiamo dirci, qui, questa sera.
Otto anni fa, quando ci siamo incontrati, non ci eravamo scelti, noi e Lei. Tuttavia, una volta incontrati, abbiamo provato a cercarci, e questo cercarci allo Spirito santo, miracolo della Comunicazione, già basta per entrare all’opera. Con tutti i nostri limiti in questi otto anni noi e Lei ci siamo cercati, abbiamo provato ad incontraci davvero. Un ricordo per tutti: dopo lustri, Lei ci è venuto a cercare con una vera visita pastorale.
Sia noi che Lei potevamo limitarci a seppellire i morti ed invece, Lei per primo e poi anche noi, abbiamo cercato di lasciarci interrogare dalla testimonianza di chi era già arrivato alla Casa del Padre, così come Lei e noi abbiamo provato a rimanere amici di chi per poco tempo o per tanto ha scelto di abitare altre case.
La memoria che dopo otto anni abbiamo in comune è anche quella di tanti gesti di cui ancora ci chiediamo come sia stato possibile avere la forza. Mentre compivamo alcuni di questi gesti – senza che ce l’aspettassimo – l’abbiamo trovata accanto a noi: penso alle opere di carità e di amicizia che abbiamo condiviso, penso a tutte le volte in cui abbiamo provato ad elaborare agende civili all’altezza della crisi delle nostre città. Noi non l’abbiamo “sentita” vagamente vicino a noi, a volte anche inaspettatamente è successo che abbiamo trovato il vescovo fisicamente vicino a noi.
Inutile illudersi, non abbiamo fatto tutto quello che potevamo e dovevamo e quello che abbiamo fatto non sempre l’abbiamo fatto nel migliore dei modi. Però, proprio mentre raccogliamo queste e tante altre memorie di otto anni vissuti insieme, ci accorgiamo di un fatto ben più grande di ogni nostro merito o demerito, un fatto enorme ed indiscutibile: con questi otto anni il Signore ci ha donato del tempo, il Signore ha donato a Lei e a noi altro tempo. Otto anni fa, il Signore non ha tirato le somme della Sua vita e della vita della nostra Chiesa, non ci ha né cancellati (come forse avremmo meritato) né ci ha parcheggiati. Ci ha donato altro tempo e ci ha associato ancora una volta al suo operare. È innanzitutto in questo fatto che dobbiamo riconoscere un segno. Come ci insegna la seconda lettera di Pietro, donandoci tempo da vivere insieme, non cessando di accompagnarci lungo questo tempo donato, ancora una volta il Padre ha manifestato la sua magnanimità. Pian piano forse cominceremo a capire meglio qualcosa dei singoli eventi e delle scelte di questi otto anni. Già ora, però, di essi le Scritture ci svelano la verità fondamentale. Con questi otto anni ci è stato donato del tempo, tempo che abbiamo vissuto insieme, come Chiesa. Leggiamo al cap. 3 della 2 Pt: «Il Signore non ritarda (…), come alcuni credono (…), ma è paziente verso di noi, non volendo che alcuno perisca (…). Perciò, carissimi, (…) la magnanimità del Signore nostro [il suo donarci tempo] consideratela come salvezza».
Se non affrettiamo giudizi definitivi, se non cediamo all’ipocrisia, se facciamo memoria, allora ci accorgiamo che questi otto anni sono stati Grazia, sono stati già Salvezza; otto anni in cui – come Chiesa e perché Chiesa –abbiamo di nuovo sperimentato che il Signore non abbandona e dà sempre nuove possibilità.
Tutto questo ci è avvenuto come Chiesa e perché Chiesa. In questi otto anni Lei è stato il nostro Vescovo, vescovo in questa Chiesa e per questa Chiesa. Senza di Lei non saremmo stati questa Chiesa che siamo stati, e verso la quale il Signore è stato magnanimo.
Invece che su ipocrisie di circostanza, invece che su giudizi umani affrettati, ecco una base solida a partire dalla quale possiamo esprimerLe con sincerità ed affetto la nostra gratitudine.
Che il Cristo, quando tornerà, ci trovi ancora così, consapevoli della magnanimità del Padre suo e Padre nostro.
Aiutiamoci sempre gli uni con gli altri a rimanere in questa coscienza. E Lei, mons. Vescovo, nel modo in cui Le sarà possibile, ci aiuti a rimanere nella coscienza dell’Amore infinito e salvifico di Dio per noi, Amore per la cui forza non c’è miseria da cui non ci si possa rialzare per ricominciare.
Grazie, dunque. Grazie di cuore!