Contributo della diocesi di Perugia-Città della Pieve

SCHEDE PREPARATORIE ASSEMBLEA ECCLESIALE REGIONALE

1 – VIVERE LA CHIESA

1) Ciò che mette in evidenza l’appartenenza alla Chiesa è sicuramente la messa parrocchiale. Non meno importanti sono i pastori che tengono il popolo unito intorno ai sacramenti. I servizi pastorali poi sono il frutto di questa appartenenza. Oltre alla fede, che è l’elemento essenziale e comune ai cristiani, il sacerdote è la persona che guida la comunità e che trasmette il senso di appartenenza alla parrocchia e, a seguire, all’unità pastorale, alla diocesi e alla Chiesa universale. E’ lui per primo che si deve sentire coinvolto nella vita parrocchiale, soprattutto nell’unità pastorale. Non si può pensare soltanto alla parrocchia assegnata, ma nell’ottica di quella unità pastorale i sacerdoti che ne fanno parte devono fare comunione, condividere, dialogare e aiutarsi a vicenda come in una famiglia, affinché il messaggio e l’esempio sia chiaro anche per la comunità. D’altro canto anche i laici, soprattutto quelli con un marcato campanilismo, devono essere guidati e informati dal sacerdote sulla bellezza e ricchezza della comunione e condivisione con le altre realtà parrocchiali. In alcune Unità Pastorali è stato fatto, nei tempi “forti”, un cammino comune a tutte le parrocchie, con tematiche comuni e durante l’anno liturgico ci sono stati momenti di preghiera che hanno visto coinvolte tutte le parrocchie riunite. Anche le catechesi mensili unitarie sono state uno strumento molto utile per la crescita spirituale dei laici e hanno dato uno spunto di riflessione a tutti i fedeli.

2) L’esultanza della festa risulta non sempre costante. Si notano certamente periodi nei quali essa è più evidente ed altri invece nei quali si affievolisce sotto il peso della routine. Per alcuni si sente il desiderio di offrire una maggiore accoglienza rispetto a chi si accosta ai sacramenti in modo da mettere a proprio agio chi arriva. L’idea che nasce da molte riflessioni, comune a molte realtà parrocchiali, è quella di un bisogno forte ad una sorta di rieducazione alla liturgia.
In molte parrocchie è ormai evidente la diminuzione dei fedeli alla messa domenicale ed in generale alle attività parrocchiali collegate. La domenica è riservata allo sport dei figli, agli hobbies, allo shopping e non si “trova il tempo” per ringraziare il Signore e fare festa insieme alla propria comunità. Probabilmente la messa viene vista come una delle tante attività e non sempre viene collocata al primo posto.

3) E’ necessario che i laici che animano la liturgia siano formati e coscienti del loro ruolo per ogni servizio che viene svolto. Non ci si può improvvisare animatori liturgici. La gioia della fede è la consapevolezza di avere partecipato attivamente alla celebrazione e di testimoniare tale gioia agli altri.

4) Parlando del clero della nostra diocesi possiamo dire che solitamente sono assidui agli incontri di formazione. In alcune parrocchie la Evangelii gaudium è arrivata fino al popolo grazie proprio alle iniziative dei parroci che hanno promosso incontri di riflessione sui contenuti di questo documento.

2 – GLI ADULTI E LA FEDE

1) Poco, è stato il commento lapidario ma sincero che è emerso da molti gruppi. Si è tutti concordi nel dire che è necessario tornare ad annunciare il Kerygma e all’approfondimento della conoscenza della Sacra Scrittura.
Non esiste un primo annuncio della fede e una formazione cristiana permanente che non siano fondati sulla Parola di Dio ascoltata, meditata, celebrata. Quanto al “vissuta e testimoniata” esse sono due condizioni strettamente legate fra loro, perché, più che dalle parole, la vera testimonianza viene dal modo in cui si vive la famiglia, la comunità, il lavoro, la sofferenza, etc…
La testimonianza è imprescindibile dalla vita vissuta. Purtroppo non sempre il quotidiano è conforme agli insegnamenti della Parola di Dio, spesso alle prime difficoltà si adatta lo stile di vita ai bisogni del momento, con la conseguenza che non si testimonia ciò che si sarebbe dovuto testimoniare. Altre volte è la nostra insicurezza che frena la spinta a dare testimonianza, ma per fortuna la bellezza del volto di un cristiano sereno è già di per sé testimonianza.
Tuttavia, in merito al primo annuncio, è bene considerare che il processo di secolarizzazione impone di riscoprire e riproporre il Kerygma non solo per evangelizzare gli atei, ma anche per ri-evangelizzare i battezzati, coloro che si sono allontanati dalla fede o che sono cristiani solo nominalmente, per ritrovare nell’esperienza dell’Amore di Dio per l’uomo, il “centro vitale” delle fede di ogni cristiano. Riconosciuta la struttura portante e immutabile del Kerygma, è necessario individuare più forme di primo annuncio da proporre nelle UP, magari su indicazioni e proposte concrete da parte dell’Ufficio Catechistico Diocesano, il quale potrebbe collaborare con le UP per le proposte e successivamente per la verifica della risposta nei vari territori.

2) Gli strumenti per compiere la missione di evangelizzare, per altro già presenti in diverse parrocchie, sono il Cammino Neocatecumentale, Rinnovamento nello Spirito, Cellule di Evangelizzazione, Notre Dame, Magnificat , Focolarini e Azione Cattolica. Questo per quanto concerte le iniziative già strutturate.
Inoltre ci sono le iniziative diocesane :
– Corsi di formazione liturgica
– Scuola Diocesana di Teologia Leone XIII (Ora dipendente dall’Istituto Teologico di Assisi)
– Iniziative bibliche proposte dal SAB (Settore Apostolato Biblico diocesano)
Da qualche anno sono risultate molto efficaci per gli adulti le catechesi dei “I 10 comandamenti”, che spesso sfociano in cammini di fraternità. Questi progetti hanno consentito, a coloro che vi hanno partecipato, un approccio alla conoscenza della Parola di Dio e come questa opera in noi e per noi, determinando di fatto una crescita continua e progressiva verso una fede consapevole. L’esperienza delle “fraternità” rappresenta la risposta alla necessità di riscoprire e vivere la dimensione comunitaria della Chiesa e allo stesso tempo favorisce la crescita dei rapporti umani e spirituali che in contesti più grandi è difficile percepire. Esse possono inoltre assumere i connotati di una comunità di base che, sotto la guida dei Sacerdoti, può offrire concretamente a laici e famiglie un autentico cammino di discepolato.

3) Le difficoltà di comprensione ci sono, ma sono soprattutto del linguaggio liturgico e per questo ci sarebbe bisogno di corsi o catechesi per spiegare la simbologia liturgica. La difficoltà maggiore nel percorso con gli adulti risulta dalla eterogeneità nell’estrazioni socio-culturali dei partecipanti e da differenti aspettative, in quanto alcuni gradiscono un percorso incentrato sulla Parola mentre altri desiderano maggior spazio alla preghiera. Una difficoltà che si rileva è la mancanza di un percorso unitario diocesano/regionale che induce ogni anno a cercare individualmente nuovi temi da trattare.
Per comunicare la fede in Cristo all’uomo di oggi è sicuramente importante “accorciare le distanze” utilizzando un linguaggio meno dogmatico e più esperienziale, ma ciò che è veramente importante rivedere è il nostro modo di porci dinanzi a chi non capisce o ci osteggia, cercando di vedere con gli occhi di Cristo ogni persona e ogni situazione, cercando di entrare in relazione nonostante tutto, credendo che la luce di Gesù può dare un significato nuovo ad ogni vita. Oggi siamo abituati a pensare a tempi di ritorno brevi, brevissimi, ma la fede opera con i suoi tempi. Se non poniamo attenzione a questo, colui al quale è indirizzata la comunicazione, potrebbe avere aspettative troppo alte e allontanarsi presto se non vede subito risultati tangibili. Bisogna dare chiarezza agli obiettivi, non ponendo limiti alla Divina Provvidenza, ma rassicurando le persone che si tratta di un invito all’ascolto e che nessuno vuole convertire nessuno.
4) Possibili prospettive: riscoperta del ruolo di pastore del popolo a lui affidato, collaborazione con il laicato, dedizione all’annuncio, alla preghiera e ai Sacramenti.
Difficoltà: isolamento, solitudine, impossibilità di dedicarsi assiduamente all’annuncio perché impegnati in troppe cose materiali, scarsa sinergia con la Diocesi e i suoi Uffici, difficoltà ad adeguarsi ad una “nuova” idea di prete.

3 – GIOVANI E FEDE

1) Tenendo conto della crisi della famiglia e della crisi giovanile, i ragazzi richiedono una chiesa più umana, dove non dominano le regole, ma è necessario l’incontro con l’altro, una testimonianza di vita, l’incontro con l’umanità di Cristo. Non richiedono la comunicazione di storie, ma fatti e testimonianze per favorire il discernimento anche vocazionale, parlando con la loro vita a partire dall’ambito in cui vivono. Parlare di vita e non di moralità permette alla fede di diventare una dimensione totalizzante e la condivisione di una cammino.
Questo aspetto della fede può essere letto da due punti di vista:
– Quello dei giovani che vivono sempre di più la precarietà dei valori, la paura, la diffidenza nei confronti del prossimo, le distrazioni continue e l’egoismo;
– Quello di coloro che “dovrebbero” trasmettere la buona notizia, ma che hanno sempre maggior difficoltà ad essere testimoni della fede.

2) Nel nostro territorio l’evangelizzazione tra pari non avviene in modo costante. Lo stimolo al tentativo è a volte fallimentare se manca il collegamento tra le diverse fasce di età.
I giovani andrebbero per prima cosa ri-educati all’ascolto e a parlare di sé.
Evangelizzare attraverso il servizio è per i giovani forse la modalità più accessibile.
Dal punto di vista dell’apprezzamento e della valorizzazione forse è necessaria maggiore attenzione ai tentativi che i giovani fanno in questa direzione.

3) La Pastorale giovanile ci sembra una pastorale di eventi, ma non è funzionale perché non avvia sempre un cammino di fede e di approfondimenti del proprio percorso vocazionale. Nella pastorale giovanile le attività non sono differenziate per età, ma proposte uniformemente, mentre è evidente che differenziare i percorsi per gruppi di età sarebbe utile e costruttivo. In ultima analisi i percorsi dovrebbero avere come scopo l’incontro, formativi sulla parola e sulla preghiera.

4) Manca una proposta concreta di cammino, mentre le vocazioni vengono dai movimenti; i ragazzi sentono altre esigenze e altri input, manca il contesto e una proposta concreta di cammino. In questo è inconcepibile la dicotomia tra parrocchia e movimenti, ma occorre costruire una pastorale di integrazione tra movimenti e parrocchie per crescere insieme in condivisione di esperienze, di preghiera e condivisione della fede.
La vita consacrata appare ai nostri giovani come una vita molto distante da quella “normale” e ciò comporta un disinteresse diffuso e una scarsa accoglienza. Vivere la vocazione del mistero ordinato è vista come una restrizione della libertà della vita dei giovani.
L’esperienza ci evidenzia come una buona guida possa essere tracciata da parroci “giovani” che raccontando la propria esperienza di vita mettono in risalto la bellezza della vita consacrata.

4 – FEDE E VITA/1

1)Occorre ripartire dal documento del Pontefice sul neocatecumenato pre e post coniugale. Nel caso specifico si ritiene insufficiente il numero dei corsi prematrimoniali, i quali sono incentrati sul tempo e non sul donare al Signore e alla persone che ami.
L’educazione agli affetti è la grande emergenza dei nostri giorni in tutti gli ambiti: familiare, sociale, parrocchiale; in nessuno degli ambiti descritti viene coltivata come richiederebbe, viene lasciata soprattutto alla formazione/sensibilità personale e all’ambito familiare.
La persone , l’individuo non vive più una realtà basata su valori morali/etici/religiosi; non rispettiamo più il prossimo come individuo, come umano, come simile “a me”…come altro “me”!!! Abbiamo solo “interessi” da perseguire, di qualsiasi genere quindi anche gli “AFFETTI”, molto spesso, sono opportunistici.
Non tutte le comunità sono attrezzate per educare gli affetti, e anche dove sono attrezzate è molto difficile interessare, incuriosire e/o attirare l’individuo.

2)Le fragilità a cui siamo sottoposti sono le stesse del mondo:
-incomunicabilità e opportunismo
-incapacità di prendere la responsabilità del rapporto
-immaturità delle coppie
-mancanza di motivazione affettiva
-mancanza di formazione
-crisi della famiglia.
La fragilità non è da giudicare moralisticamente, va concepita come un’opportunità di incontro, di apertura, di rapporto in cui ci si mette in discussione e ci si confronta con l’esperienza di fede.

3) Il territorio perugino offre diverse iniziative al riguardo lasciate però alla disponibilità e ai talenti dei singoli. Le iniziative però sono poco seguite; il sacerdote ha sempre poco tempo per i parrocchiani (con le unità pastorali è sempre più ampio il territorio da seguire e le “anime” da aiutare, con poco aiuto qualificato), è ormai divenuto un burocrate, un amministrativo diciamo quasi un “amministratore delegato di una azienda”….si deve occupare di tutto ( sono pochi i laici che lo aiutano) rimanendo loro poco tempo per evangelizzare.

4) L’Amoris Laetitia è un punto di riferimento luminoso anche in questo ambito, come in altri. È una guida per i Consigli Pastorali in varie occasioni e anche per le equipé che lavorano con i futuri sposi o con i genitori dei battezzandi. È utile anche per le coppie di maggiore esperienza, che comunque hanno sempre bisogno di essere seguite e di sentirsi parte attiva della comunità cristiana.
Non tutte le realtà parrocchiali però la conoscono a fondo, anzi in alcune unità pastorali è risultata quasi sconosciuta.

5 – FEDE E VITA/2

1) La nostra società non contempla il riposo, molti vedono nel lavoro l’obiettivo più importante del vivere. Il lavoro viene visto come status symbol; solo se produci sei qualcuno e anche in base al lavoro che fai meriti più o meno rispetto. Il riposo per questo è visto come perdita di tempo sia per i cristiani che per i non credenti mentre potrebbe essere un momento di riflessione e introspezione.

2) La disoccupazione e il lavoro nero sono le piaghe della nostra società. A causa della difficoltà economica anche chi vive cristianamente si trova nella condizione di sottostare a questi fenomeni. I giovani sono i più svantaggiati e sfiduciati in questa situazione perché si ritrovano sfruttati e non valorizzati. I laici credenti dovrebbero cercare di operare rispettando le leggi e la legalità.

3) E’ palese che non viene più rispettato nemmeno il giorno del Signore, la domenica, basti pensare che tutte le attività commerciali sono aperte in questo giorno. In alcune occasioni sono stati organizzati momenti di comunione fraterna per socializzare all’interno della comunità interparrocchiale in cui c’è stata una discreta partecipazione. Il problema riscontrato è che di idee e iniziative da svolgere ce ne sarebbero tante manca solamente la “ forza lavoro” disposta a mettersi in gioco e ad aiutare a realizzarle.
Rispetto al tempo libero dei giovani ė urgente non lasciare i ragazzi soli, visto che hanno sempre meno occasioni di relazioni vere e pienamente umane. Il riposo non è divertimento, ma va comunicato il pieno senso del 4° comandamento, ringraziare il Signore per ciò che si vive e sapersi riposare, stare insieme, perché riconciliati con quello che si ė vissuto in passato e si vive nella settimana.

6 – FEDE E VITA/3

1) Partiamo dalla consapevolezza che tutti siamo fragili, per alcune categorie di persone è più evidente, come anziani, immigrati e giovani in difficoltà, ma esistono fragilità invisibili che si manifestano attraverso gesti eclatanti per la loro drammaticità come il Suicidio e/o violenze e omicidi familiari.
Si sono individuati due fattori prevalenti:
1. Le persone sono sole, la famiglia e le persone sono assoggettate alla cultura dell’individualismo. 2. Sistema oggi economico e finanziario è una macchina senza pietà ma se perdi il ritmo e per
qualsiasi motivo le aziende o le persone sono in difficoltà vengono tagliate fuori, si verifica un fenomeno di esclusione dal circuito economico e sociale che spesso porta alla povertà e alla emarginazione. Con una conseguente MANCANZA DI SENSO della VITA.
Per le fragilità serve uno “sguardo di vicinanza” (EG) ma serve nei singoli cristiani, non si può trasformare tutto in una associazione di beneficenza. Dobbiamo riscoprire il senso della Chiesa non come organizzazione assistenziale portando questo senso nelle istituzioni, non sostituendosi. L’atteggiamento prevalente dei singoli diventa evitare il contatto personale e diretto, favorendo il servizio.
Ci sono inoltre fragilità non materiali che sono meno visibili e che richiedono una rete molto estesa, fuori dalle Parrocchie, che può passare solo dalle famiglie e dalle relazioni.
E’ in aumento la povertà culturale con una omologazione al negativo e al basso.
I poveri sono i giovani, le fragilità sono spaventose, manca la capacità di affrontare la vita, sono infantilizzati. I Padri sono una situazione drammatica, in alcune realtà dormono nelle macchine.
circola un atteggiamento di attenzione comprensione ma non condivisione, in alcune realtà organizzate ci sono sportelli di ascolto, empori della carità, animazione per i giovani, molti sacerdoti sono accoglienti e disponibili, ma ci sono realtà isolate e in molte parrocchie non c’è più il parroco. in realtà manca l’aiuto nella prossimità: il vicino, quello della porta accanto, come ci insegna la parabola del buon samaritano.
Viviamo in una Società dove è venuta meno la dimensione spirituale della vita. Preghiera grazia di Dio e Sacramenti, Affinare il cuore e lo sguardo, l’altro non è un fastidio. Riscoprire la dimensione missionaria. In alcune parrocchie della diocesi c’è una accoglienza e presenza di alcune comunità di fedeli che si occupano di questo, offrono da anni disponibilità per operare con gli anziani, ci sono centri di ascolto, Centri di Aiuto alla vita presenti ma un po’ carenti, per l’alta richiesta.

2) Quanti feriti bussano? Molti alla porta del parroco (ormai solitamente non residente) anche non credenti, ma prevalentemente si presentano persone che hanno problemi economici.

3) Difficilmente intorno ai parroci c’è una rete strutturata di famiglie per portare avanti relazioni con chi ha difficoltà non economiche, anzi anche le famiglie svolgono ruoli parrocchiali legati ai sacramenti. e neanche chi frequenta la parrocchia condivide i problemi che vive con i “fratelli”
Va ricostruita la comunità cristiana che vive con gioia, con una rete di famiglie intorno al parroco… altrimenti siamo tutti soli di fronte a mille problemi del mondo e siamo tutti nel “fare”… e se uno è immerso “nel fare” non c’è tempo per le relazioni.

7 – FEDE E BENE COMUNE

1) Se da un lato l’attenzione alla dimensione “sociale” non è mai mancata, negli ultimi anni, in particolare con il pontificato di Papa Francesco, la tematica del povero, dell’ultimo, del debole è tornata prepotentemente in primo piano. Il tema dell’attenzione verso l’altro è dunque (da chi più, da chi meno) abbastanza sentito; il passo da compiere è quello di rendere tale attenzione operosa e fattiva nella comunità. L’attività di evangelizzazione locale ha il compito quindi di concretizzare e focalizzare nelle necessità della comunità parrocchiale tali attenzioni, più o meno diffuse.
L’aspetto “sociale” è spesso visto e vissuto come più operativo e fattivo che spirituale e/o propriamente evangelico; ci si pone più il problema del “come” piuttosto che del “perché” aiutare. Potrebbe pertanto risultare utile approfondire il tema evangelico dell’operosità verso gli altri, in modo che tale cammino di consapevolezza possa aiutare, da un lato, a trovare nuove forze e, dall’altro, a fornire nuovi e migliori strumenti e capacità a chi già opera.

2) Il servizio delle Caritas è attivo da decenni e negli ultimi anni l’offerta si è notevolmente arricchita con gli Empori. In alcune realtà si è più volte cercato di raccordare il servizio Caritas con gli altri servizi parrocchiali (in particolare con quelli di pastorale giovanile, sia all’interno dei cammini dei gruppi giovanili sia in occasioni di alcuni “momenti forti” come le raccolte viveri, che si effettuano per l’OMG da oltre 10 anni). Il rischio di un eccessivo “operativismo”, che tenga poco conto l’evangelizzazione della e alla carità, è un rischio sempre presente e connaturato sotto certi aspetti con la natura del servizio; negli anni sono però stati intrapresi degli incontri di formazione degli operatori del servizio Caritas che hanno aiutato non poco sotto tale profilo.
In altre realtà, dove sono presenti nel territorio Caritas, Centri d’Ascolto, associazioni di volontariato, cooperative sociali, uffici ASL nonché Uffici della Cittadinanza del Comune, a volte si corre il rischio di svolgere il ruolo di “smistatori” tra un servizio e l’altro.
È’ sempre importante dunque tenere focalizzata la persona in necessità, piuttosto che le sue problematiche, sia per dare una vicinanza umana e cristiana (non solo operativa) a chi ne ha bisogno, sia per evitare che il servizio si trasformi in una routine per chi lo compie; piuttosto per cercare di vivere e capire la ricchezza dell’incontro umano che il servizio stesso ci offre.
Da valutare le modalità più opportune per promuovere e dare visibilità e risalto alle attività svolte; andrebbe elaborata una strategia di valorizzazione che, da un lato, faccia comprendere alla cittadinanza il ruolo importantissimo che svolgono le struttura diocesane e che, dall’altro, tuteli l’anonimato, la privacy e la dignità di chi vi si rivolge.

3) L’impegno parrocchiale è spesso rivolto alla risoluzione delle problematiche delle persone che quotidianamente si rivolgono ai Centri d’Ascolto, alle Caritas, agli Empori.
Se da un lato, ovviamente, le parrocchie non possono da sole pensare di intervenire “a monte” delle problematiche sociali e politiche che si presentano, dall’altro una conoscenza delle dinamiche sottostanti, tramite l’indirizzo della Diocesi e/o la collaborazione con le istituzioni del territorio (Uffici della Cittadinanza, ASL, etc…), delle associazioni e delle cooperative sociali porterebbe un arricchimento degli operatori e sicuramente una maggiore efficacia nel servizio.
Manca, probabilmente, (sia a livello parrocchiale che diocesano) una consapevolezza e una spinta all’azione caritatevole e sociale a livelli anche diversi rispetto a quelli “ecclesiastici.
E’ comunque fondamentale tornare ad affermare con forza che la persona è il bene comune per eccellenza, è quindi urgente la necessità di istituire scuole di formazione politica.