Perugia – GMG diocesana nella chiesa del Monastero delle Clarisse di Città della Pieve ascoltando testimoni di speranza a partire dagli “ultimi”

«Sono i poveri ad avere il segreto della speranza. Oggi si vive tutto in fretta, non c’è tempo per sperare, solo per pretendere, per rivendicare… Siete venuti in un monastero di clarisse, che prendono il nome da santa Chiara. Una donna che ha vissuto di speranza, perché aveva un cuore di povera. Avere un cuore di povera vuol dire contare su Dio solo. Non sulle mie capacità, le mie personali risorse, i miei programmi… Su Dio solo, che sempre si china sulla povertà dei suoi figli, come su un grembo spalancato». Con queste parole le Clarisse del Monastero di Santa Lucia in Città della Pieve (Pg) hanno accolto, nella serata del 25 novembre, i giovani partecipanti all’incontro diocesano della XXXVIII Giornata Mondiale della Gioventù (GMG) celebrata nelle Chiese particolari la domenica della Solennità di Cristo Re (26 novembre), dedicata al tema scelto da papa Francesco “Lieti nella Speranza” (Rm 12,12).  Un ampio articolo con testimonianze di speranza è scaricabile al link: «Sono i poveri ad avere il segreto della speranza» – Diocesi Perugia .

Presenze non trascurabili. Insieme ai giovani c’erano l’arcivescovo Ivan Maffeis, il vicario generale don Simone Sorbaioli e diversi sacerdoti tra cui il parroco-arciprete della concattedrale di Città della Pieve, don Giordano Commodi, i direttori degli Uffici di pastorale Giovanile ed Universitaria, don Luca Delunghi e don Riccardo Pascolini, il responsabile del Centro vocazionale, don Samy Cristiano Abu Eideh, il vicario episcopale per la Pastorale, don Simone Pascarosa, il direttore della Caritas diocesana, don Marco Briziarelli, e il vicario episcopale della VII Zona pastorale dell’Archidiocesi, don Leonardo Romizi. Una presenza non trascurale di sacerdoti dediti alla formazione umana e cristiana delle nuove generazioni chiamate ad essere i protagonisti della società di domani sempre più intenta al bene comune. A quell’operare per il bene comune a cui ha fatto riferimento lo stesso arcivescovo Maffeis nell’evidenziare la presenza anche del sindaco di Città della Pieve, Fausto Risini. Il primo cittadino ha ricordato il periodo della pandemia, quando partecipava alla celebrazione eucaristica domenicale nella chiesa delle Clarisse, trasmessa sui social da un gruppo di ragazzi, per far sentire la vicinanza anche delle istituzioni civili alla popolazione costretta a casa. Esperienza vissuta con spirito di speranza soprattutto per giovani, ha detto, in sintesi, il sindaco, quella speranza che si rinnova questa sera con tanti giovani in questa chiesa.

Una veglia con la luce dei flambeaux. Promosso dall’Ufficio di pastorale Giovanile, insieme a quello di pastorale Universitaria e al Coordinamento Oratori Perugini, l’incontro è iniziato nell’Oratorio del Santuario della Madonna di Fatima dedicato ai Santi Fanciulli durante il Grande Giubileo del 2000, dove i partecipanti hanno consumato una cena al sacco con aneddoti e ricordi dell’esperienza vissuta da diversi di loro alla GMG di Lisbona. Terminato il momento conviviale, si sono incamminati verso la chiesa del Monastero delle Clarisse per la veglia di preghiera con la luce dei flambeaux.

Edison, un seme di speranza. Una preghiera che ha visto insieme donne chiamate alla vita di clausura, sacerdoti, testimoni di carità e giovani intenti ad ascoltare una “forte” esperienza di speranza, quella di Chiara e Giovanni Segantin, i coniugi responsabili dell’opera segno di carità “Il Casolare” in Sanfatucchio (Castiglione del Lago, Pg). Hanno raccontato la storia di Edison, il loro figlio adottivo venuto a mancare un mese fa. Era un ragazzo kosovaro, affetto da gravi patologie fin dalla nascita, vissuto con loro tredici anni grazie all’amore di quanti si sono presi cura di lui al “Casolare”. Persone anch’esse segnate dalla vita per diversi motivi. «Di fronte a lui – hanno commentato Chiara e Giovanni –, tante persone hanno trovato qualcosa che li ha mossi nel loro animo, spesso molto indurito, divenendo Edison seme di speranza e di attaccamento alla vita per tanti di noi, aiutandoci a farci cambiare lo sguardo con cui guardiamo le cose che succedono… Sono proprio gli “ultimi”, le persone che apparentemente non hanno nulla da dare e da dire, come anche il piccolo profugo non accompagnato che abbiamo accolto pochi giorni fa, a farci riflettere sulla logica di Dio per noi quasi incomprensibile, ma che fa la differenza, quella di metterci davanti ai nostri occhi l’altro in difficoltà da aiutare».

La vita dono inestimabile. Mons. Maffeis ha esortato i giovani a guardarsi dentro. «Dobbiamo guardare dentro a noi stessi per avere la possibilità di sperare in questo tempo che è un deserto e per “esercizio” – ha detto – lo faccio di frequente dando un nome a chi mi indica motivi di speranza, come Chiara e Giovanni… Sono persone che sanno testimoniare quanto la vita sia un dono inestimabile. Penso a quanti si spendono con generosità per il bene comune, come gli amministratori locali, ai miei preti che ci aiutano davvero a sperare, come a quanti non usano la forza, la violenza, l’aggressività né fisica, né verbale, ma sanno costruire rapporti buoni, di amicizia, di affetto, di dono. Penso alle nostre monache Clarisse che ci ricordano il primato di Dio lasciandoci raggiungere dalla sua Parola, dal suo Amore».

La speranza è a caro prezzo. «Sperare per un cristiano significa scommettere su Gesù di Nazareth – ha commentato l’arcivescovo –. La speranza è a caro prezzo ed ha a che fare con la vita, di farti carico e vicino agli altri… Ho dato un nome alle persone che per me sono fonte di speranza e tra queste penso che ci siate anche voi giovani e il vostro esserci aumenta la mia speranza e quella di tutti e per questo vi dico grazie».

Segni di speranza e di carità. La veglia di preghiera si è conclusa con due segni. Il primo, la consegna a ciascun giovane da parte dell’arcivescovo e del vicario generale di un rosario realizzato dalle Clarisse e di un bigliettino con una frase-preghiera di papa Francesco: “Che il Signore ci liberi dalla terribile trappola di essere cristiani senza Speranza…”. Il secondo, la raccolta di offerte per le opere di carità portate avanti dalla Caritas diocesana in un’epoca non facile per molte famiglie in crisi per la perdita della casa e del lavoro, un gesto che educa i giovani all’importanza del dono privandosi di una parte dei propri piccoli averi per il prossimo.

Inaugurato l’Anno Accademico 2023-24 dell’ITA e dell’ISSRA di Assisi. Il cardinale Mario Grech: «Una Chiesa sinodale che valorizzi di più ministeri e carismi sarà in grado di evangelizzare meglio il mondo di oggi… In questo ha un ruolo fondamentale la comunicazione»

«Una Chiesa sinodale è una Chiesa ministeriale dove il santo popolo di Dio, rispettando i carismi e le vocazioni, cammina insieme, sotto la guida del vescovo che non può annunciare il Vangelo da solo. Tutti i battezzati, in forza del Battesimo partecipano al Sacerdozio comune di Cristo e allora tutti sono anche in grado di svolgere un ministero». Così il Mario Grech, segretario generale della Segreteria del Sinodo dei Vescovi, a margine dell’inaugurazione dell’Anno Accademico 2023-24 dell’Istituto Teologico (ITA) e dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose (ISSRA) di Assisi, svoltasi lo scorso 24 novembre, nell’aula magna dei due Istituti, presso il Pontificio Seminario Regionale Umbro “Pio XI”. Il porporato era stato invitato a tenere la prolusione dedicata al tema “Sinodalità e ministeri ecclesiali”. «Una Chiesa ministeriale – ha commentato il cardinale Grech -, sarà in grado di evangelizzare meglio il mondo di oggi e il Sinodo sta lavorando sul tema di una Chiesa sinodale di comunione e partecipazione. La partecipazione vuol dire anche la ministerialità per l’evangelizzazione e la missione».
Rispondendo ad una domanda sul rapporto “Sinodo-Comunicazione”, il cardinale Grech ha precisato che «è fondamentale l’opera dei mezzi di comunicazione, a prescinde se laici o di espressione cattolica, per far conoscere e comprendere il lavoro del Sinodo che non è una riflessione autoreferenziale, ma un contributo di evangelizzazione che la Chiesa dà al mondo attraverso la sua missione. E se noi vogliamo dialogare con il mondo, non possiamo trascurare la comunicazione».
Alla cerimonia inaugurale hanno partecipato numerosi studenti e docenti delle due Istituzioni accademiche e ad introdurre e commentare la prolusione del cardinale, sono stati il preside dell’ITA, prof. padre Giulio Michelini (Ofm), il direttore dell’ISSRA, prof.ssa suor Roberta Vinerba, e l’arcivescovo mons. Renato Boccardo, presidente della Conferenza episcopale umbra (Ceu) e moderatore delle due Istituti, che ha ringraziato l’ospite nel dire: «I nostri ringraziamenti diventano anche un impegno per le nostre. Tutto quello che abbiamo ascoltato ci interpella: è la comunità cristiana, infatti, che deve suscitare e generare i ministeri. Non è qualcuno che si autocandida a riceverli, oppure il ministero viene dato come premio alla fedeltà per il servizio, ma è la stessa comunità cristiana che sa riconoscere dei carismi e li fa diventare ministeri».
Come è consuetudine la giornata inaugurale dell’A.A. dell’ITA e dell’ISSRA è iniziata con la celebrazione eucaristica nella chiesa interna al Seminario, presieduta dall’arcivescovo Boccardo, che, nell’omelia, ha ricordato quanto siano «più che mai necessari l’esempio e l’azione concreta in un tempo in cui tutto sembra fatto apposta per contaminare i cuori, rendere facile la profanazione, mettere in ridicolo ogni forma di impegno, di ascetica, di vera moralità, in questo tempo così molle, così indulgente con se stesso». Questo, ha sottolineato il presidente della Ceu, «perché sono le opere che attestano e certificano il valore della testimonianza: se visibilità ci deve essere, ha da essere visibilità di persone più che di sigle, di azioni più che di parole, di comportamenti più che di proclami. Anche a questo fine deve tendere – mi pare – l’importante e benemerita attività quotidiana dei nostri Istituti che, con la ricerca, lo studio, il confronto, scrutano il mistero di Dio per meglio comprendere e servire il mistero dell’uomo».

Cei – Assemblea Generale Straordinaria. Dichiarazione per la pace

Come Vescovi, riuniti in Assemblea Generale ad Assisi, esprimiamo la nostra preoccupazione per l’escalation di violenza e odio di questi giorni, che sta assumendo proporzioni sempre più tragiche.
Sentiamo impellente il compito di denunciare le logiche della contrapposizione e dell’individualismo, e di favorire la collaborazione e la riconciliazione. Sogniamo un mondo che sia davvero casa di tutti, dove il riconoscimento della dignità umana cammini di pari passo con il dovere di amare gli altri come fratelli e sorelle.
Guardiamo con particolare dolore alla situazione in Medio Oriente e rinnoviamo l’appello al “cessate-il-fuoco”, facendo nostre le parole di Papa Francesco: «Le armi si fermino, non porteranno
mai la pace, e il conflitto non si allarghi! Basta! Basta, fratelli, basta! A Gaza, si soccorrano subito i feriti, si proteggano i civili, si facciano arrivare molti più aiuti umanitari a quella popolazione stremata. Si liberino gli ostaggi, tra i quali ci sono tanti anziani e bambini» (Angelus, 12 novembre 2023). Insieme al Medio Oriente, il nostro pensiero va anche all’Ucraina, al Sud Sudan e ai tanti altri luoghi segnati da conflitti spesso dimenticati. Non possiamo rassegnarci al silenzio: sentiamo forte l’imperativo a comunicare il Vangelo dell’unità e della riconciliazione in un mondo sprofondato nelle tenebre ma desideroso di luce.
Da Assisi, la Città della Pace, con l’intercessione di San Francesco, eleviamo la preghiera a Cristo nostra pace (Ef 2,14), che ha la forza per abbattere il muro di inimicizia. Egli sostenga l’impegno di tutti gli uomini e le donne di buona volontà, nella consapevolezza che la costruzione della pace è responsabilità di tutti. Non vogliamo che la cultura dell’odio e del pregiudizio continui a seminare divisione, distruzione e morte. Questa è una sfida da affrontare insieme, non più procrastinabile. Nel cantiere della pace c’è posto per tutti: «C’è bisogno di artigiani di pace disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e audacia» (Fratelli tutti, 225).

Perugia – celebrata la memoria del dies natalis di sant’Ercolano, vescovo e martire, Patrono della città e dell’Università.

«Sant’Ercolano è stato grande come vescovo sia per il coraggio con cui si è opposto ai barbari di Totila, nel cercare di salvare la città dall’invasione, sia nel servirla con attenzione, compassione e carità per il bene del suo popolo, in particolare dei più poveri. Ed è in questa luce che credo che vada colta l’immagine del Buon Pastore che oggi ci consegna la Parola del Signore sia per decifrare la figura del nostro Santo Patrono sia per indicare a noi una strada di vita». Così l’arcivescovo Ivan Maffeis nell’omelia della celebrazione eucaristica in memoria del dies natalis di sant’Ercolano, vescovo e martire, Patrono della città e dell’Università di Perugia, celebrazione tenutasi domenica 12 novembre, nella suggestiva chiesa trecentesca a pianta ottagonale intitolata al Santo, a cui hanno partecipato numerosi fedeli e diversi rappresentanti delle Istituzioni civili, del mondo accademico, del Sodalizio di San Martino, istituzione cinquecentesca laica di carità proprietaria del luogo di culto, e dei cinque Rioni medioevali della città, le Porte San Pietro, Eburnea, Santa Susanna, Sant’Angelo e Sole.

Dare la vita per gli altri. L’arcivescovo si è soffermato su tre caratteristiche che emergono dalla figura di sant’Ercolano. Innanzitutto quella di «dare la vita per gli altri… L’immagine del Pastore che diventa ancora più chiara nel contrasto con quella del mercenario. Il mercenario, nella storia di ieri e storia di oggi, è uno pagato per fare il suo lavoro, ma proprio perché gli altri non gli appartengono non si espone per loro e davanti al pericolo mette in salvo fondamentalmente sé stesso. Il Buon Pastore non abbandona gli altri, perché li ritiene più preziosi della sua stessa vita».

Conoscenza intima dell’altro. La seconda caratteristica messa in risalto da mons. Maffeis, è quella della «conoscenza intima del Pastore che ha del suo Gregge e sappiamo quanto è difficile conoscere l’altro ed anche se stessi. Conoscere l’altro significa sentirsi partecipe di quello che l’altro vive, intuirne le sue preoccupazioni, sofferenze, attese, gioie… Siamo un mistero abitato dalla luce e dall’amore di Dio che ci porta a riconoscere la dignità di ogni persona e di cercare di vivere i nostri rapporti nella fraternità, nella riconciliazione, nel rispetto e nella pace».

Avere l’orizzonte aperto. La terza e ultima caratteristica, ha sottolineato l’arcivescovo, è quella del Buon Pastore che «non conosce confini, ha l’orizzonte aperto, sa vedere la persona e questo diventa un richiamo e un criterio che ci impedisce a costruire muri che indeboliscono ciascuno».

La via indispensabile della cultura. «Di questo Buon Pastore – ha detto mons. Maffeis – sant’Ercolano è stato segno e strumento con il suo coraggio e con la sua capacità di farsi prossimo e diventa la misura a cui noi oggi guardiamo, il criterio su cui impostare la nostra esistenza. Patrono della città di tutti gli uomini e Patrono dell’Università…, è significativo che fin dalla metà del ‘300 l’Istituzione comunale si sia spesa per dare all’Università un ruolo così decisivo per lo sviluppo e la crescita di Perugia facendo memoria anche di Ercolano. Ringraziamo quanti oggi con il loro servizio professionale qualificano la formazione a tutti i livelli, non ultimo quello del nostro Ospedale cittadino di “Santa Maria della Misericordia”. Passa dalla strada della cultura la possibilità per la comunità tutta di darsi opportunità di sviluppo, una cultura che rimane la via indispensabile della convivenza, della stima reciproca e della pace».

L’omaggio del sindaco. La celebrazione in memoria del dies natalis di sant’Ercolano, che ha visto concelebrante il rettore della chiesa, don Francesco Benussi, ed animata dal coro dei “Madrigalisti di Perugia”, si è conclusa con l’omaggio tradizionale del cero votivo da parte del sindaco Andrea Romizi, acceso accanto al reliquiario del Santo Patrono.

San Martino in Trignano di Spoleto – l’arcivescovo Renato Boccardo dedicherà la chiesa e consacrerà l’altare

Sabato 11 novembre 2023 alle ore 18.00 l’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo presiederà la Messa per la dedicazione della chiesa e dell’altare a San Martino in Trignano di Spoleto. Col Presule concelebreranno: don Edoardo Rossi, Pievano, don Salvatore Ficarra, il diacono Claudio Vandini. La sera prima, venerdì 10 novembre alle 21.00, mons. Boccardo presiederà, sempre a S. Martino, la veglia di Taizè in preparazione alla dedicazione.

Sarà un momento di giubilo non solo per la frazione di S. Martino, ma anche per tutte le comunità della neonata Pievania: Baiano, Firenzuola, Montemartano e S. Angelo in Mercole. «La dedicazione di una chiesa – afferma il Pievano don Edoardo Rossi – è un evento importante per l’intera Diocesi. Lo è in modo particolare per la nostra Pievania. Questa celebrazione, dopo quella di ingresso – mio, di don Salvatore e del diacono Claudio – è la prima che accomuna tutte le zone di questa vasta realtà. Dedichiamo la chiesa proprio il giorno del suo titolare, S. Martino di Tours. La sua specificità è stata l’attenzione ai poveri. E le varie comunità della Pievania saranno coinvolte con dei segni di attenzione a chi è in difficoltà. E poi i cori si sono riuniti per questa celebrazione. Tutto ciò è molto bello».

I lavori, fortemente voluti dal compianto parroco don Gianfranco Formenton. La zona dell’aula liturgica è rimasta invariata, mentre è stata rifatta completamente, ampliandola con un progetto architettonico sobrio e che ben lega con la parte vecchia, l’area presbiterale, ricavando anche una cappella feriale. Tutto ciò per rispondere ad una duplice esigenza: l’aumento della popolazione nella zona dell’Alta Marroggia del Comune di Spoleto e la necessità di adeguare la chiesa alla riforma liturgica del Concilio Vaticano II. I lavori sono stati coordinati dall’architetto Alessandro Bruni. Importo complessivo 2.010.000,00 euro, di cui: 1.500.000,00 fondi CEI 8×1000; 150.000,00 fondi dell’Archidiocesi; 60.000,00 euro fondi della parrocchia; 100.000,00 euro tra offerte popolazione e ricavo della rivendita del ponteggio; 200.000,00 euro del Fondo PSR Regione Umbria. Chi ha voluto fortemente tutto ciò, profondendo un grande impegno, è stato il compianto parroco di S. Martino don Gianfranco Formenton, tornato alla Casa del Padre lo scorso gennaio a causa di un arresto cardiaco. «Dal cielo – dice don Edoardo – farà festa insieme a noi». I lavori, oltre all’ampliamento della chiesa, hanno consentito anche di realizzare dei locali idonei per le attività pastorali, oltre alla sistemazione della canonica. L’altare, l’ambone, la sede e il vaso del cero pasquale sono stati realizzati col marmo bianco di Carrara. La statua di S. Martino di Tours e quella della Vergine Maria sono state realizzate in bronzo. L’artista è Armando Moriconi di Foligno.

Un po’ di storia della chiesa: la prima pietra è stata posta il 7 aprile 1952 dall’arcivescovo Mario Raffaele Radossi, essendo parroco don Pietro Gasperini; la chiesa, poi, è stata solennemente consacrata il 26 maggio 1984 dall’arcivescovo Ottorino Pietro Alberti, essendo parroco don Luigi Runci; i lavori di ampliamento sono stati eseguiti negli ultimi anni, essendo parroco don Gianfranco Formenton; la nuova dedicazione avviene l’11 novembre 2023 da parte dell’arcivescovo Renato Boccardo, essendo Pievano don Edoardo Rossi.

Perugia – festa di sant’Ercolano patrono della città e dell’Università, domenica 12 novembre, presieduta dall’arcivescovo Maffeis.

A Perugia, domenica 12 novembre (ore 10.30), nella suggestiva chiesa trecentesca a pianta ottagonale intitolata a Sant’Ercolano, vescovo e martire, patrono della città e dell’Università degli Studi, l’arcivescovo mons. Ivan Maffeis, insieme al rettore don Francesco Benussi, presiederà la celebrazione eucaristica del dies natalis del Santo Patrono martirizzato per mano dei goti di Totila il 7 novembre dell’anno 547 (come annoverano antichi martiriologi).

Defensor civitatis. Ercolano, definito dalla storiografia il vescovo defensor civitatis, si oppose, fino a sacrificare la vita, all’assedio dei barbari durato due anni, risparmiando ai perugini atrocità e devastazioni. Gesto che fu visto dai suoi concittadini, sottolinea il rettore don Benussi citando i Dialoghi di san Gregorio Magno, «come una manifestazione ulteriore della magistratura di defensor civitatis che il Santo vescovo esercitava».

Il cero votivo. Alla celebrazione di domenica in Sant’Ercolano, animata dal coro dei “Madrigalisti di Perugia”, parteciperanno i rappresentanti dell’Istituzioni civili ed accademiche del capoluogo umbro e del Sodalizio di San Martino, la benemerita istituzione laica di carità risalente al secolo XVI proprietaria della chiesa del Santo Patrono. Sarà rinnovato da parte del sindaco di Perugia l’omaggio del cero votivo posto accanto al reliquiario di Sant’Ercolano, come segno di devozione al defensor civitatis affinché la sua testimonianza umana e cristiana illumini sempre il cammino del popolo perugino.

Amore e dedizione. «La memoria di Sant’Ercolano – commenta il rettore don Benussi – trasmette il suo messaggio di amore e dedizione per la città e la rende attuale nel contesto storico del nostro tempo, anche per la presenza all’interno della chiesa omonima di un sacrario militare. Quest’ultimo, in quanto simbolo del sacrificio dei caduti in guerra, ci invita a considerare l’assurdità di avvenimenti simili, di cui è costellata la storia. Il culto del santo defensor civitatis è quindi riferimento per la comunità, sia religiosa sia civile, che a lui chiede di allontanare le minacce di violenza del tempo presente».

Messa dell’arcivescovo Boccardo nel cantiere della Basilica di S. Benedetto a Norcia: «Questo edificio sacro emblema del sisma, è la prova della capacità dell’essere umano di risollevarsi, di tornare a sperare, di guardare in alto»

Dopo sette anni è stata nuovamente celebrata la Messa nella Basilica di S. Benedetto a Norcia, chiesa che è stata distrutta dal terremoto del 30 ottobre 2016 e che è sulla via della piena ricostruzione. È stato l’arcivescovo di Spoleto-Norcia, mons. Renato Boccardo, ha presiedere lunedì 30 ottobre 2023 alle ore 11.30 l’Eucaristia nell’edificio di culto costruito sulla casa natale dei Santi Benedetto e Scolastica. Una giornata emozionante e storica per la comunità nursina. La liturgia è stata animata nel canto dalla corale parrocchiale. Col Presule hanno concelebrato don Marco Rufini e don Luciano Avenati. C’erano anche due monaci benedettini del monastero di S. Benedetto in Monte. All’interno della chiesa hanno trovato posto oltre 150 fedeli e una cinquantina di rappresentanti delle istituzioni, oltre agli operatori della comunicazione. Tra le autorità c’erano: il commissario straordinario di Governo ai fini della ricostruzione nei territori dei comuni delle Regioni di Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria interessati dall’evento sismico del 2016 senatore Guido Castelli; il presidente della Giunta regionale dell’Umbria Donatella Tesei; il sindaco facente funzione di Norcia Giuliano Boccanera; il soprintendete speciale per le aree colpite dal sisma Paolo Iannelli. Per l’occasione è tornato a Norcia anche l’ex commissario Giovanni Legnini.

Tanti fardelli gravosi hanno motivato lo scoraggiamento. «Il terremoto del 2016 – ha detto l’arcivescovo Boccardo nell’omelia – ci ha piegati, togliendoci le case e i luoghi di lavoro, privandoci di monumenti, maestosi o semplici, che raccontavano storie di vita e di fede e racchiudevano ed esprimevano l’identità delle popolazioni; ha generato una cesura tra passato e futuro. Poi la lentezza della ricostruzione, gli intoppi burocratici, le difficoltà nella ripresa lavorativa ed economica, la tragedia della pandemia, il lievitare dei prezzi delle materie prime: tanti fardelli gravosi che hanno acuito la fatica e motivato lo scoraggiamento».

Il grazie del Vescovo agli “attori” della ricostruzione della Basilica di S. Benedetto. «Dall’angosciante desolazione prodotta dal terremoto – ha detto ancora il Vescovo – è sbocciata tanta solidarietà che, come la fioritura di Castelluccio, ha riempito di colore il grigiore della polvere dei crolli e delle macerie; e la sofferenza e la paura si sono stemperate nella speranza di un futuro che ancora potrà esserci. Non possiamo dimenticare il coinvolgimento attento delle Istituzioni pubbliche e dei diversi Enti statali e locali, in particolare della Struttura Commissariale con gli On.li Legnini e Castelli. Significativo è stato inoltre l’impegno delle massime Istituzioni europee a finanziare l’opera di ricostruzione di questa Basilica, riconoscendo implicitamente il ruolo insostituibile per l’Europa del Cristianesimo e della cultura che ha saputo ispirare. Grazie a questo intrecciarsi di passione, competenze e sogni, ci è possibile oggi convenire eccezionalmente qui per “abitare” questi muri così cari ai nursini e a tutti noi. Mi faccio dunque volentieri interprete della comune gratitudine e ammirazione nei confronti del Ministero della Cultura, dell’ENI, degli altri Enti qui autorevolmente rappresentati e della Società COBAR con le sue maestranze: grazie a tutti loro ritroviamo per qualche ora questa aula liturgica per celebrarvi, non senza commozione, il sacrificio eucaristico».

Ricostruzione della Basilica è la capacità dell’uomo di risollevarsi. «Questo edificio sacro – ha proseguito il Presule – è diventato l’emblema del sisma, ma è ancora di più la prova della capacità dell’essere umano di risollevarsi, di tornare a sperare, di guardare in alto e, con la forza di questo sguardo, tornare verso la terra e porre tutta l’intelligenza, la maestria, la fantasia e l’impegno al servizio di un comune riscatto, per risollevare, insieme alle mura delle case, dei luoghi di lavoro e delle chiese, anche il morale delle persone e delle comunità e per risvegliare la gioia di vivere».

Guardare avanti con sguardo lungo. «Ci piace pensare – ha concluso l’Arcivescovo – al tempo della ricostruzione che ancora ci attende come ad una grande occasione per compiere un salto di qualità nella vita quotidiana. Dobbiamo guardare avanti con sguardo lungo; attenerci fedelmente non alle opinioni correnti e ai calcoli interessati ma a ciò che è vero, buono e giusto; non accontentarci di un ottimismo senza fondamento ma alimentare e custodire la speranza. Dobbiamo riscoprire sempre di nuovo le virtù civiche come l’onestà, la volontà di servizio, l’impegno per il bene comune, l’attenzione agli ultimi, la salvaguardia dei diritti di tutti; realizzare una stagione in cui tornino a risplendere il coraggio, la sobrietà, la responsabilità, il dialogo, l’unità e nello stesso tempo competenze politiche e tecniche da mettere insieme in un gioco di squadra, indispensabile per conseguire quel risultato che tutti attendiamo e che esprima ancora creatività e crescita per una autentica rinascita dei nostri borghi e delle nostre città. Oggi siamo tutti ammirati e commossi guardando queste pareti ricomposte e la leggerezza ed eleganza delle capriate lignee sopra le nostre teste, e sogniamo di poter presto contemplare la Basilica di San Benedetto in tutta la sua ritrovata bellezza».

Benedizione delle campane. Al termine della Messa, Vescovo, autorità e fedeli si sono recati all’esterno della Basilica per benedire due nuove campane che, non appena possibile, verranno issate nella torre campanaria della chiesa. Una è dedicata a S. Benedetto e una a Santa Scolastica.

Spirito di Assisi, musulmana ed ebrea insieme per la pace

Spirito di Assisi nel segno delle donne. Sono state infatti le rappresentanti di varie religioni le protagoniste del momento di preghiera interreligiosa svoltosi il 27 ottobre pomeriggio nel Refettorietto della Porziuncola, in collegamento con l’iniziativa del Santo Padre in San Pietro. Silvina Chemen della comunità Ebraica Bet-el in diretta da Buenos Aires, Maymouna Abdel Qader, del Centro culturale islamico di Perugia, Marinella Bulletti della Comunità Baha’i di Perugia, Mihaela Heisu, della parrocchia ortodossa romena di Perugia, (Kuhlo) Rosa Welday Tekle della chiesa ortodossa Tewahedo di Eritrea e Irene Dunn della Congregazione anglicana di Assisi hanno pregato per la pace e condiviso con i partecipanti le loro riflessioni, in occasione del trentasettesimo anniversario dello storico incontro interreligioso del 27 ottobre del 1986, voluto da San Giovanni Paolo II. “Assisi è l’emblema della garanzia della pace. Siamo eredi di un padre comune, figli e figlie di una storia che ci ha pensate insieme nella pace. In tutto il mondo, in tutti i luoghi, moschee, chiese, università e altri centri di incontro si persegua il progetto di pace di Dio su questa terra e anche da Assisi le nostre voci sono unite”, le parole di Chemen. “Fa di noi uno strumento per la pace, affinché le sofferenze siano dimenticate, soprattutto oggi in Terra Santa”, l’appello di Maymouna Abdel Qader. Tra i momenti più significativi della cerimonia, la distribuzione di ramoscelli d’ulivo da parte di un bambino, a tutti i presenti e alle esponenti religiose che, simbolicamente, lo hanno piantumato in segno di speranza.

Gli incontri per ricordare lo spirito di Assisi continueranno sabato 28 ottobre con il seminario in programma alle ore 16.30 nella sala della Conciliazione dal titolo: “Possono le religioni fermare la guerra?” al quale prenderanno parte il vescovo delle diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino e di Foligno, monsignor Domenico Sorrentino, il sindaco di Assisi, Stefania Proietti, il presidente della commissione Spirito di Assisi, don Tonio Dell’Olio, Piero Damosso, giornalista Tg1 e autore del libro ‘Può la Chiesa fermare la guerra?”, il francescano padre Enzo Fortunato, Rita Moussalem, responsabile per il Dialogo interreligioso Movimento dei focolari e Maymouna Abdel Qader, portavoce dialogo interreligioso del Centro Islamico Culturale di Perugia. Saranno in collegamento Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio ed Edith Bruck, la scrittrice di origini ungheresi sopravvissuta alla Shoah. Verrà poi trasmessa la testimonianza di Victor Fadlun, presidente della Comunità ebraica di Roma. Domenica 29 ottobre alle ore 12 nella Basilica superiore di San Francesco si terrà la celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo Sorrentino.

Perugia – celebrazione eucaristica per invocare la pace, presieduta dall’arcivescovo Maffeis ed animata dall’Ordine Equestre del Santo Sepolcro in Gerusalemme

La comunità diocesana di Perugia-Città della Pieve non fa mancare la sua vicinanza spirituale e materiale alle popolazioni della martoriata Terra Santa, raccogliendosi in preghiera insieme al suo Pastore, l’arcivescovo Ivan Maffeis, martedì 24 ottobre (ore 18), nella cattedrale di San Lorenzo dove si terrà la celebrazione eucaristica animata dai membri della Sezione Umbria dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro in Gerusalemme.

La Chiesa diocesana è da sempre attenta e solidale con i fratelli e le sorelle che vivono i luoghi in cui ha origine il Cristianesimo, sostenendo nel corso degli anni progetti umanitari volti all’integrazione tra popolazioni di culture e fedi diverse e per lo sviluppo di realtà socio-caritative impegnate anche nell’accoglienza dei pellegrini. A queste realtà saranno devolute le offerte raccolte durante la celebrazione in cattedrale del 24 ottobre, accogliendo anche l’invito della Custodia di Terra Santa a “pregare e digiunare per la pace”.

Omelia dell’arcivescovo Ivan Maffeis pronunciata alla celebrazione eucaristica per la pace in Terra Santa
“Ancora una volta il mio pensiero va a quanto sta accadendo in Israele e in Palestina. Sono molto preoccupato, addolorato, prego e sono vicino a tutti coloro che soffrono, agli ostaggi, ai feriti, alle vittime e ai loro familiari. Penso alla grave situazione umanitaria a Gaza e mi addolora che anche l’ospedale anglicano e la parrocchia greco-ortodossa siano stati colpiti nei giorni scorsi. Rinnovo il mio appello affinché si aprano degli spazi, si continuino a far arrivare gli aiuti umanitari e si liberino gli ostaggi.
La guerra, ogni guerra che c’è nel mondo – penso anche alla martoriata Ucraina – è una sconfitta. La guerra sempre è una sconfitta, è una distruzione della fraternità umana. Fratelli, fermatevi! Fermatevi!”
Così il Papa, domenica scorsa, a conclusione della preghiera dell’Angelus.

Davanti agli occhi e nel cuore di ciascuno di noi scorrono le immagini di una violenza cinica e disumana, che non esita a infierire su bambini, donne e anziani. Scontri e massacri. Stragi di innocenti. Ostaggi. Civili in gabbia. Razzi su ospedali, bombe su chiese, quartieri devastati e privati di luce, acqua, pane, medicine. Cedere a questa logica di morte significa ritrovarsi tutti quanti in trappola, senza via d’uscita, senza un varco, come migliaia di sfollati davanti a una frontiera sigillata.

Il veleno, iniettato nelle vene di questa nostra storia, divide dal di dentro le nostre stesse società. Ma non può trovare alcun consenso e non giova nemmeno alla causa del popolo palestinese l’antisemitismo che in questi giorni ha manifestato in diverse piazze europee, anche del nostro Paese. Nel contempo, il diritto di difesa che la comunità internazionale ha riconosciuto a Israele non può risolversi in ritorsione e vendetta: significherebbe rispondere all’orrore con altro dolore innocente, una recrudescenza utile solamente ad aggiungere altri anelli alla già pesante catena della violenza. Così, schierarsi da una parte o dall’altra non aiuta a ristabilire vie della giustizia e della convivenza, né contribuisce ad assicurare ad alcuno stabilità e sicurezza.

“Non dobbiamo abituarci alla guerra, a nessuna guerra” – sono ancora parole di Papa Francesco, pronunciate solo ieri, che continuano così: – “Non dobbiamo permettere che il nostro cuore e la nostra mente si anestetizzino davanti al ripetersi di questi gravissimi orrori contro Dio e contro l’uomo”.

Gli errori e le guerre del passato sono memoria e monito, testimonianza che non esiste alternativa alla pace. Pace che è frutto di un processo ostinato, di un percorso di cooperazione e di integrazione, costruito sulla “giustizia, il dialogo e il coraggio della fraternità” (Papa Francesco).

Questa prospettiva non è un’utopia; attinge, piuttosto, la sua forza dal Vangelo, dalla fede nel Signore Gesù. È lui l’uomo delle beatitudini, colui che le ha incarnate nei comportamenti e nelle scelte di vita, nel suo modo di relazionarsi al Padre e ai fratelli. È lui il povero, il mite, il misericordioso, il costruttore di pace, colui che ha fame e sete della giustizia, a causa della quale è perseguitato. Seguirlo, partecipare alla sua vita, porta a non scoraggiarsi di fronte alle difficoltà e alle ingiustizie sociali; in sua compagnia si diventa umili, puri di cuore, trasparenti e accoglienti, incapaci non solo di dominare, ma anche di essere felici senza gli altri.

Non stanchiamoci di lasciarci interpellare dalla Parola del Signore; non stanchiamoci di pregare e digiunare per la pace (il Papa ha indetto una seconda giornata per venerdì prossimo, 27 ottobre). Su questa strada torneremo a disarmare gli animi, a riconciliarci con la nostra storia, a sanare le ferite, a essere misericordiosi e operatori di pace, a riconoscerci fratelli tutti.

Don Ivan Maffeis, vescovo

Al termine della celebrazione eucaristica per la pace tenutasi nella cattedrale di San Lorenzo di Perugia, il 24 ottobre 2023, è intervenuto in video da Gerusalemme il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton. Di seguito la trascrizione del video-messaggio rivolto alla comunità diocesana perugino-pievese.

Giornata di fraternità del Clero umbro, “L’abuso di potere nell’esercizio del ministero presbiterale”. Il vescovo delegato per il Clero mons. Gualtiero Sigismondi: «Una forma di abuso è la paura di perdere consenso e non prendere decisioni»

«Ritrovarsi al Seminario regionale per i preti umbri è come un tornare a casa, perché qui ognuno di loro ha vissuto gli anni belli e impegnativi della formazione. Oggi ci siamo ritrovati e abbiamo sentito che nell’esercizio del ministero l’abuso di potere non è un pericolo lontano anni luce, ma si nasconde dentro le pieghe dell’esercizio del ministero stesso quando non lo si esercita, quando non si prendono le decisioni che devono essere adottate, perché si ha paura di perdere consenso». Lo ha evidenziato mons. Gualtiero Sigismondi, vescovo di Orvieto-Todi e delegato Ceu per l’Area pastorale Clero e vita consacrata, alla Giornata di fraternità del Clero umbro tenutasi il 19 ottobre, presso il Pontificio Seminario Regionale “Pio XI” di Assisi, promossa dalla stessa Ceu.

No alla tattica delle pacche sulle spalle. «La paura di perdere consenso – ha commentato mons. Sigismondi – è una forma di abuso di potere, perché si offende il servizio che si è ricevuto per grazia e allo stesso tempo, con la tattica delle pacche sulle spalle, si tira avanti. Non si guida così la Chiesa, ma lo si fa guardando negli occhi e parlando a viso aperto».

Partecipanti e relatore. Alla Giornata regionale del Clero hanno partecipato più di 200 sacerdoti e diaconi permanenti insieme ai vescovi delle otto diocesi della regione, che hanno salutato con un caloroso lungo applauso il neo rettore del Seminario Umbro, don Francesco Verzini, del Clero di Perugia-Città della Pieve. L’occasione è stata anche quella di dare il benvenuto, nella comunità del Seminario regionale, a mons. Domenico Cancian, vescovo emerito di Città di Castello, quale nuovo padre spirituale. Relatore dell’incontro, caratterizzato anche da un interessante e proficuo dibattito tra i convenuti e dalla adorazione eucaristica, è stato don Giuseppe Forlai, della Diocesi di Roma, attuale direttore spirituale del Pontificio Seminario Romano Maggiore.

L’unica autorità è aiutare le persone a fare esperienza di Cristo. «L’abuso di potere – ha sottolineato don Forlai – ci dà l’illusione di non morire mai e in noi presbiteri nasce quando non riconosciamo più nella nostra vita la signoria di Dio, ossia, quando ci occupiamo delle cose di Dio ignorando Dio. Il germe dell’abuso di potere si alimenta quando non riusciamo a dominare la nostra interiorità e cerchiamo di mettere delle toppe esteriori, quando non riceviamo dai superiori la giusta gratitudine, quando qualcuno viene premiato anche se la comunità è consapevole che non ne è degno. O ancora, quando si è coscienti di situazioni gravi, che per quieto vivere non vengono affrontate, cioè quando per non scontentare nessuno non prendiamo decisioni impopolari e usiamo la bontà per non assumerci le nostre responsabilità. La nostra unica autorità è quella di aiutare le persone ad avere un rapporto autentico con Gesù Cristo, compiendo gesti evangelici che dimostrino la necessità di rinunciare per cambiare, di favorire l’unità pastorale e non polarizzarla come spesso invece avviene dando importanza o solo alla carità, o solo alla liturgia, o solo alla catechesi».

Un tempo per… Iniziative del Seminario per giovani e preti. Ai partecipanti alla Giornata di fraternità del Clero, è stato consegnato un pieghevole da diffondere nelle parrocchie sui prossimi appuntamenti in programma in Seminario, «un’occasione – scrive il neo rettore don Verzini – per contribuire alla vita ecclesiale umbra e, al contempo, per crescere nella carità pastorale».

Per i giovani: Esercizi spirituali, dal 2 al 5 gennaio 2024, predicati da mons. Luciano Paolucci Bedini, vescovo di Città di Castello e di Gubbio; la Settimana di fraternità con la comunità del Seminario, dal 15 al 19 aprile 2024. Per i sacerdoti: Conversazioni pastorali sui temi “La spiritualità diocesana del prete”, 13-14 novembre 2023, e “Parrocchia e accompagnamento vocazionale”, 16-16 gennaio 2024.

Per info e iscrizioni: rettore@seminarioumbro.it ; www.seminarioumbro.it ; tel. 075.813604.