Contributo del Seminario regionale umbro

seminaristi del Seminario Regionale Umbro di Assisi
mediante le schede dell’Instrumentum laboris
in vista dell’Assemblea 2019

Scheda 1 – VIVERE LA CHIESA

1. Quali segnali mettono in evidenza il senso di appartenenza alla parrocchia, all’unità pastorale, alla diocesi, alla Chiesa universale?

Da una parte si nota una partecipazione più o meno costante, la quale delinea un senso di appartenenza significativo alla Chiesa. Tuttavia la partecipazione collettiva non sempre fa trasparire una azione comune all’interno della Chiesa. L’individualismo spirituale e sacramentale a volte causa una dicotomia tra vita parrocchiale e vita sacramentale, le cui differenti peculiarità e caratteristiche non sempre si sviluppano in maniera armonica e coerente. Una tendenza simile la si può notare anche in seno alle attività di tipo pastorale, in cui le differenti realtà parrocchiali faticano a cooperare e a condividere i propri carismi. Tale tendenza la si nota particolarmente tra quei movimenti già strutturati attraverso un cammino spirituale che li caratterizza in modo peculiare.
C’è infatti poca attenzione all’unità pastorale, ogni parrocchia va da sé. Le parrocchie lontane non sentono il legame con la città e con la diocesi in generale.
Si riscontra poca partecipazione agli eventi diocesani anche a causa di una mancata collaborazione inter-parrocchiale. Manca il “fare le cose insieme”, anche in ambito di pastorale giovanile, forse per un eccessivo legame al territorio e per una poca elasticità.Sentiamo la necessità di far emergere la Chiesa particolare come parte di un tutto.

2. Quanto la domenica esprime e genera gioia di fare comunità attorno al risorto e manifesta il senso della festa?
La gioia di fare comunità emerge particolarmente in quelle festività che, a livello liturgico, hanno una rilevanza maggiore (Natale, Pasqua e Battesimi). È ancora forte, purtroppo, l’individualismo spirituale e la non comprensione (se non addirittura l’ignoranza) del fatto che la celebrazione eucaristica, ma, più in generale, qualsiasi evento liturgico ha valore perché “è un evento comunitario” a cui tutta la comunità è chiamata a partecipare.

3. Come valutiamo la qualità delle celebrazioni domenicali? Circola in esse la gioia della festa e il senso di appartenenza ecclesiale?
La qualità delle celebrazioni è bassa, a volte pessima. Gli estremi sono la sciatteria e la spettacolarizzazione delle celebrazioni che molto spesso mettono in risalto il celebrante a scapito della partecipazione attiva dei fedeli. In troppe Eucaristie non circola né gioia, né senso di festa e di appartenenza. Grande è la responsabilità è dei sacerdoti. È bene ritornare allo slogan: “meno messe, più Messa.”

4. Come il clero della nostra diocesi vive e annuncia la gioia del Vangelo? In che misura la Evangelii Gaudium è stata recepita dai presbiteri e dai diaconi?
Nella nostra attività pastorale abbiamo riscontrato la mancata ricezione dell’Evangelii Gaudium, al punto che alcuni di noi hanno espresso il dubbio che in certi contesti sia stata effettivamente letta. Ciò vale anche per il clero. Forse la motivazione della difficoltà della ricezione dell’esortazione va ricercata nel fatto che la “gioia del vangelo” auspicata da Papa Francesco a volte si scontra con il rifiuto di mettere in discussione alcuni modelli che in qualche modo “tirano avanti” la parrocchia.

Scheda 2 – GLI ADULTI E LA FEDE

1. Quanto il primo annuncio della fede e la formazione cristiana permanente sono fondati sulla Parola di Dio ascoltata, meditata, celebrata, vissuta e testimoniata?
Viviamo in un contesto storico in cui, a prescindere dalle differenze locali, i vecchi strumenti usati in ambito pastorale non sono più adeguati; siamo entrati in una fase di sperimentazione, spesso “selvaggia” e si è comunque alla ricerca di modelli più efficaci, fondati specificamente sulla Parola, attraverso nuove metodologie di insegnamento ed annuncio. Va anche detto che il “Primo Annuncio”, o, meglio, la conoscenza base del Kerygma a persone battezzate, ma comunque lontane, risulta molto deficitario.

2. Quali sono le proposte e gli strumenti messi in atto dalla diocesi, dalla parrocchia e dalle associazioni per offrire agli adulti un accompagnamento costante, organico e strutturato nel percorso verso una fede sempre più pensata e adulta?
Dal confronto sono emersi questi strumenti: i cicli di catechesi, piccoli gruppi di condivisione, le cellule di evangelizzazione, la costituzione di famiglie spirituali, la “lectio divina” e naturalmente tutto ciò che le associazioni, i movimenti e le aggregazioni ecclesiali propongono.

3. Gli adulti comprendono i vari linguaggi utilizzati nella comunicazione della fede? Quali sono gli ostacoli da rimuovere affinché tale comunicazione risulti più efficace?
Il linguaggio che noi utilizziamo è spesso autoreferenziale e di tipo “didattico”, di non sempre facile ed immediata comprensione. Mancano quasi sempre riferimenti all’esperienza e alla vita concreta vista come unica possibilità per vivere una fede autenticamente cristiana e quindi incarnata. Non si fa riferimento all’amore di Cristo come a una realtà viva e presente nella vita dei credenti.

4. Il ruolo dei pastori è determinante in ordine alla trasmissione e alla maturità della fede dei fedeli: quali gioiose prospettive e quali maggiori difficoltà trova oggi il ministero ordinato nella nostra regione?
Il radicale cambiamento d’epoca in cui oggi vivono i sacerdoti e l’incapacità di leggere “i segni dei tempi” li trova completamente impreparati ad esercitare la profezia che dovrebbe naturalmente scaturire dalla fede e dal ministero. La situazione odierna dovrebbe essere invece fonte di un rinnovato entusiasmo, che dovrebbe spingere ad un ripensamento del proprio ruolo nella Chiesa e nella società. Spesso ci si limita a rimpiangere un passato mai esistito e si finisce con il vivere pervasi da un senso di frustrazione, nella solitudine, e nella diffidenza verso proposte nuove e profetiche. Questa ottusità e queste chiusure, rischiano inoltre, di generare difficoltà di tipo relazionale all’interno dello stesso presbiterio dove si arriva perfino a situazioni paradossali in cui alcuni preti anziani “illuminati” sono molto più “aperti” rispetto ai giovani.

Scheda 3 – I GIOVANI E LA FEDE

1. Quali sono gli ostacoli che rendono difficoltosa la trasmissione della nuova notizia alle nuove generazioni, e la sua accoglienza?
Una prima difficoltà risiede nel fatto che i giovani vivono un modello di relazione basato sulla comunicazione multimediale attraverso i social network. Tale elemento acuisce la solitudine e l’auto-referenzialità, per cui un modello di vita comunitario risulta di più difficile accettazione.
Una seconda difficoltà relativa alla trasmissione della fede viene principalmente dalle famiglie che ad oggi consegnano poco o niente i valori cristiani ai propri figli.

2. I giovani sono chiamati ad evangelizzare gli altri giovani. Avviene questo nel nostro territorio? Quanto viene apprezzato e valorizzato dalle comunità?
In parte avviene e non sempre viene apprezzato e valorizzato dalle comunità. Spesso i giovani non vengono sufficientemente formati e accompagnati nell’evangelizzazione.

3. Riteniamo che l’attuale impegno nella pastorale giovanile risponda alle attese e ai sogni dei giovani? Quanto li aiuta a scoprire e ad accogliere la vocazione di ognuno?
Tendenzialmente l’impegno nella pastorale giovanile non risponde alle attese e ai sogni dei giovani. Soprattutto perché il linguaggio utilizzato non differisce molto da quello proposto dall’ambiente in cui i giovano vivono. È come se a volte ci sia troppa paura a proporre quella che è l’autentica ricchezza della Chiesa. Da tutto ciò deriva la difficoltà a connettere pastorale giovanile e vocazionale.

4. Che percezione sussiste oggi in Umbria della vocazione al ministero ordinato e alla vita consacrata?
C’è un’evidente difficoltà, nella cultura odierna a coltivare dei sogni o degli ideali di vita. Qualsiasi vocazione non riesce a radicarsi, specialmente quando comporta una rinuncia di sé più radicale. In questo senso, la vocazione al ministero ordinato e alla vita consacrata, trova una difficoltà enorme, anche solo ad essere presa in considerazione.
Mancano valide testimonianze di pastori e consacrati capaci di esprimere la gioia che dovrebbe scaturire da una vita di donazione a Dio e ai fratelli. Mo

Scheda 4 – FEDE E VITA\1

1. Le nostre comunità sono capaci di un annuncio evangelico che tocca la vita delle persone nella dimensione degli affetti?
Lenostre comunità oggi presentano notevoli difficoltà in un annuncio evangelico che coinvolga la dimensione affettiva. Questo dipende spesso da un certo pregiudizio relativo all’approccio della Chiesa nei confronti dei temi della sessualità. Anche il dialogo con i singoli risulta complesso a causa della delicatezza e della confusione relativa all’argomento.

3. Quali sono le iniziative che la Chiesa mette in atto nel nostro territorio per “evangelizzare gli affetti” nelle differenti stagioni e stati delle persone?
Sono generalmente presenti corsi indirizzati, per adolescenti e giovani, sull’affettività, corsi per fidanzati, corsi pre-matrimoniali (corsi frati minori della Porziuncola) e percorsi per coppie sposate. Si riscontra una difficoltà per quanto riguarda l’accompagnamento delle persone omosessuali.

4. Come le nostre comunità stanno recependo il rinnovamento della pastorale familiare alla luce dell’Amoris Laetitia?
Si riscontrano due tendenze: da una parte il lavoro di accompagnamento famigliare è sempre più delegato a coppie sposate o a sacerdoti preparati (es. “Casa della Tenerezza”); dall’altra, molte nostre realtà non sono ancora protagoniste di un rinnovamento di questo tipo.

Scheda 5 – VITA E FEDE/2

1. Come vengono percepiti il significato e il valore del lavoro e del riposo? Come sono vissuti non solo da parte dei credenti ma anche dalle altre persone che abitano il nostro territorio?
Oggi il lavoro e il riposo hanno acquisito un significato assai diverso che in passato: il lavoro è assolutizzato, mentre il riposo viene visto, nei pochi spazi in cui se ne può usufruire, come un tempo privato da spendere per scaricare le tensioni e ricaricare le energie. Poiché domina il consumismo, ormai le domeniche si spendono per andare ai centri commerciali e alle varie fiere. Anche i cristiani sono influenzati da questa mentalità e non si distinguono più dagli altri.

2. Come si pone la comunità cristiana di fronte ai problemi dell’occupazione e della disoccupazione, del lavoro precario, del lavoro “nero” e della mancanza di lavoro per i giovani? In particolare, come si coinvolgono i credenti laici nelle situazioni concrete in cui essi stessi si trovano a vivere ed operare?
La comunità cristiana percepisce i drammi e i problemi che sono presenti nella nostra società ma non esprime una coscienza comune e vede le difficoltà nel mondo del lavoro da un punto di vista strettamente personale. D’altra parte molti cristiani credono che il clero e la gerarchia ecclesiastica possano favorire l’ingresso nel mondo del lavoro e per questo cercano di accedere a questo canale privilegiato solo per ottenere favori o raccomandazioni. Inoltre la comunità cristiana non percepisce, anche a causa delle tasse troppo alte, la gravità della piaga del lavoro “nero” e dell’evasione fiscale. È fondamentale per poter affrontare tale tematica in ambito parrocchiale che i presbiteri per primi seguano un’etica cristiana nell’esecuzione delle svariate attività economiche e commerciali (rispettare i doveri legali, fare uso sapiente del commercio online, opporsi alla mentalità consumistica del “tutto subito”).

3. Come sono vissuti il riposo e il tempo libero? Quali opportunità concrete offre la comunità per superare la visione consumistica ed evasiva del riposo?
Il tempo libero è vissuto in modo individualistico, per ricaricarsi dalle fatiche del lavoro. Ormai nei giorni di riposo i centri commerciali sono regolarmente affollati, e gli eventi sportivi attirano l’attenzione di un numero sempre crescente di persone. I cristiani si sono conformati a questo stile di vita, per cui è difficile coinvolgerli nelle attività parrocchiali. Dobbiamo riconoscere il tentativo da parte degli operatori pastorali di offrire una formazione ed una sensibilizzazione che contrasta la visione consumistica. Alcune comunità infatti organizzano eventi capaci di accogliere i fedeli a livello famigliare, offrendo momenti di spiritualità, gioia e di relax, in una cornice autenticamente cristiana.

Scheda 6 – FEDE E VITA\3

1. A. Quale atteggiamento prevalente circola nelle nostre comunità nei confronti delle persone che mostrano i segni delle ferite, a volte evidenti ma spesso nascoste?
B. Chi sono oggi nel nostro territorio quelli che “rimangono indietro, i deboli o i meno dotati”?
Tendenzialmente i momenti di attenzione si mostrano sporadici, talvolta di fronte alle ferite dell’altro si fugge, ci si nasconde forse perché spaventati e in difficoltà.
Anche se dipende dalle differenti realtà, gli ultimi del nostro tempo sembrano essere soprattutto gli anziani, gli emigrati, i separati, i precari, e chi soffre di gravi problemi di dipendenza, oltre che i giovani che spesso si isolano con gravissime difficoltà di relazione.

2. Quanti sono feriti dalla vita e sperimentano fragilità e debolezze sul piano fisico e psicologico, affettivo, morale e relazionale si sentono incoraggiati a bussare alla porta della comunità, delle famiglie e del cuore dei credenti?
Sì, e lo dimostra il grande impegno delle Caritas parrocchiali e diocesane. Gli operatori infatti riescono a svolgere il loro servizio in maniera evangelica. Questo fa sì che coloro che sperimentano fragilità e debolezzenon temano di venire giudicati e respinti.

3. Esistono in modo stabile nelle comunità o nella zona pastorale luoghi, tempi, servizi di accoglienza e di ascolto, di consolazione e di “compassione”, di “simpatia” e di misericordia per le persone in difficoltà? Se sì, quale valutazione ne diamo? Quali esperienze di sinergia esistono tra le comunità cristiane e le strutture pubbliche?
In alcune realtà, soprattutto in quelle più grandi e numerose, sono presenti servizi di accoglienza e di ascolto per le persone in difficoltà. Essi risultano particolarmente utili soprattutto perché si trovano talvolta a sopperire alle mancanze di servizi che dovrebbero essere erogati dalle strutture pubbliche. Qualche volta si riscontra una difficoltà nella collaborazione tra questi tipi di strutture.

Scheda 7 – FEDE E BENE COMUNE

1. I percorsi di evangelizzazione proposti dalle comunità generano nei cristiani la convinzione che la fede è matura e incisiva solo se si traduce nell’attenzione operosa dell’altro, chiunque esso sia?
Sì, se ne parla abbondantemente, e il valore della carità viene ribadito in molteplici contesti. A fronte dell’impegno che una fede matura comporta, è difficile riscontrare una risposta continuativa, ma una parte del popolo di Dio è capace di assumersi responsabilità in modo costante.

2. Quali sono gli strumenti messi in atto dalle parrocchie per rispondere ai bisogni del territorio? Tali strumenti educano alla carità tutti i cristiani oppure si traducono semplicemente in una delega?
Le Caritas, i centri d’ascolto, i campus estivi, il GrEst, gli Scout, l’operazione Mato Grosso, le scuole di formazione politica, il catechismo e simili sono strumenti preziosi; purtroppo queste iniziative non sempre riescono a sviluppare una prospettiva di tipo sociale e politica a lungo termine e di larghe vedute.

3. Quanto l’esercizio della carità si traduce in preoccupazione e impegno per lo sviluppo umano integrale dei più poveri, cioè in un impegno sociale e politico? Come cattolici incidiamo nell’azione politica e sociale della nostra Regione?
La nostra azione sembra essere scadente. Percepiamo l’idea di una separazione tra fede e partecipazione attiva alla vita politica, quasi che la dottrina sociale della Chiesa sia in contrasto con quanto ci si aspetterebbe da una buona politica. Una soluzione può essere l’istituzione di scuole di formazione politica valide.