Contributo diocesi di Foligno

RELAZIONE DELLA DIOCESI DI FOLIGNO

SCHEDA 1 – VIVERE LA CHIESA

1 Domanda
Appartenenza alla parrocchia. In evidenza: la conoscenza tra le persone che frequentano, lo spirito di collaborazione nelle varie attività, il senso di appartenenza alla comunità; l’assidua partecipazione dei fedeli non soltanto alle celebrazioni liturgiche ma alla vita parrocchiale stessa come luogo d’incontro e di condivisione. È avvertita la necessità di superare il senso di appartenenza alla comunità legato soltanto alla erogazione di servizi, per vivere maggiormente un cammino di fede che apra alla comunione e alla corresponsabilità. Altro segno è l’amore verso i sacerdoti, ovvero il grado di affetto che la comunità riesce a trasmettere, o meno, al proprio parroco e ai suoi più stretti collaboratori.
Appartenenza all’Unità pastorale. Si sottolineano: la conoscenza reciproca tra le persone, le iniziative che mettono insieme e migliorano le risorse e i carismi, la partecipazione a iniziative unitarie, la fedeltà nella condivisione delle feste parrocchiali che, soprattutto in nelle Unità pastorale, mantengono viva l’identità delle comunità parrocchiali.
Appartenenza alla Diocesi. Tutti citano l’accorrere di popolo in occasione delle feste e delle solennità; la partecipazione alle catechesi del Vescovo ed alle celebrazioni da lui presiedute nei momenti forti dell’anno liturgico. Alcuni aggiungono, auspicandone l’incremento, l’Assemblea diocesana, la condivisione fattiva degli indirizzi pastorali del Vescovo, la consapevolezza che solo “nella Chiesa diocesana sussiste tutta la Chiesa”.
Appartenenza alla Chiesa universale. Convergenti le risposte: ascolto del Magistero della Chiesa, comunione con il Pontefice e adesione alle iniziative da lui promosse.

2 Domanda
Si evidenziano ombre e luci e si avverte nelle parrocchie una certa «difficoltà» a fare festa. L’Ufficio liturgico diocesano “ha l’impressione che i cambiamenti sociali degli ultimi anni abbiano portato a perdere la percezione delle «priorità» soprattutto riguardanti il vivere la Domenica. La stessa partecipazione alla celebrazione eucaristica nel giorno del Signore per molti cristiani non è un elemento fondante della loro fede. Anche per quanto riguarda il senso del peccato ci troviamo di fronte ad una sorta di anestetizzazione dove tutto diventa lecito (o quasi). Nelle nostre parrocchie non viene percepita la stessa gioia e voglia di fare festa che, frequentemente, si riscontra nelle associazioni e nei movimenti. Va detto che spesso i movimenti non sono perfettamente integrati nelle parrocchie; così come molti fedeli confluiscono in essi perché nella proprie comunità di appartenenza non si riesce ad intraprendere un serio cammino di fede capace di portare a vivere la corresponsabilità. Al di là delle carenze pastorali e strutturali presenti nelle parrocchie il Vescovo ed i presbiteri possono fare ben poco di fronte a tutti quegli atteggiamenti di chiusura e di divisione che sono di ostacolo e di impedimento all’azione dello Spirito”.
Le critiche fatte alle Messe parrocchiali attestano quanto sia difficile trovare un equilibrio tra sobrietà, partecipazione dei fedeli laici, ruolo del celebrante e come non sia scontata in tutti i fedeli la consapevolezza di ciò che si celebra, come pure il loro sentirsi parte viva della comunità. La gioia della domenica è più visibile dove maggiore è la presenza delle varie componenti della comunità che condividono la stessa fede in maniera più fattiva e laddove è più consolidato il senso di appartenenza alla parrocchia di molti praticanti.

3 Domanda
La qualità delle celebrazioni domenicali è ritenuta quasi sempre accettabile. L’ Unità pastorale “Giovanni Paolo II” risponde in termini positivi: “La prima forma di evangelizzazione della Chiesa è la liturgia. Rispetto al passato, ovvero a prima del Concilio Vaticano II, si sono fatti tanti passi avanti sia in quantità e soprattutto in qualità celebrativa e partecipazione: c’è più attenzione alle scelte dei testi dei canti, il vangelo è più conosciuto e diffuso grazie anche ai media, e perché c’è un formazione più specifica. C’è più dimestichezza con la parola di Dio e la liturgia grazie anche ai ministri straordinari arriva anche a molti malati in famiglia. I sacerdoti stessi sono più attenti a queste dimensioni della comunicazione”.
Dopodiché si registrano valutazioni differenti esemplificabili con le due che seguono. La prima: “Le omelie spesso sono comprensibili e incisive. Aiutano molto le catechesi e le iniziative infrasettimanali. Molti si sono riavvicinati dopo gli incontri di preparazione ai sacramenti dei figli. La domenica con le sue celebrazioni è evidentemente il fulcro della nostra unità pastorale, bel momento di condivisione e di comunione. Purtroppo rispetto ai numeri delle nostre parrocchie siamo ancora lontani da un coinvolgimento ampio. Oltre ad un nucleo costante e attivo, c’è un ruotare di famiglie e ragazzi incostante e soprattutto tante persone che fanno mordi e fuggi e non maturano mai un senso di appartenenza profondo. La comunità qualche volta viene vista come un erogatore di servizi a cui attingere in particolari momenti della vita senza mai mettere radici. Per chi partecipa l’appartenenza alla UP è molto forte e cresciuta notevolmente in questi anni”. La seconda, invece, delinea un quadro non sempre soddisfacente circa la qualità delle celebrazioni domenicali: “Si sentono oggi critiche incrociate e contrastanti. Da una parte ci si straccia le vesti per la presunta perdita del sacro nella Messa, per aver trasformato le assemblee in concerti, gli altari in bacheche per cartelloni, i presbitèri in scene teatrali … con i preti che non hanno più il coraggio di ‘menare’ come i parroci di una volta. Dall’altra si sbuffa contro la staticità delle celebrazioni poco coinvolgenti, stancanti per bambini e adulti, buone solo per anziani che sanno pazientare. Si criticano omelie sempre uguali “che tanto si sa dopo tre secondi dove il prete va a parare; con preghiere eucaristiche ‘dette’ e non pregate”.
La sintesi delle varie risposte alla fine sembrerebbe questa: se la celebrazione è ben preparata (canti adeguati, lettori capaci, sacerdote guida e non protagonista unico), la comunità può essere meglio educata a vivere la celebrazione con partecipazione e gioia; se il sacerdote è capace di coinvolgere, allora la Messa è il momento privilegiato per vivere la Parola ed essere fonte e culmine della vita cristiana; se la comunità tutta è in grado di partecipare attivamente alla celebrazione, allora la Messa è gioia condivisa.

4 Domanda
Ogni sacerdote ha la sua personalità e le sue caratteristiche, ogni comunità parrocchiale ha la sua fisionomia, per questo non è possibile una risposta univoca. In generale il clero della diocesi è visto abbastanza bene, soprattutto per la varietà di carismi e per la ricchezza di approcci nell’azione pastorale, anche se si registra talvolta una certa stanchezza e rassegnazione, ovvero poco coraggio nel tentare nuove esperienze di missionarietà. Pur riconoscendo l’impegno del clero nell’annuncio del Vangelo, si auspica più passione ed entusiasmo nel vivere la propria missione. Unanime è anche la richiesta ai sacerdoti di una maggiore capacità di accoglienza e di ascolto delle persone, qualunque siano le loro scelte di vita, passo indispensabile per avviare cammini di conversione. Qualcuno ha ricordato, con le parole di Papa Francesco, che “la società di oggi è pervasa da una tristezza individualista, da una ricerca malata di piaceri superficiali”, e che in questo contesto è facile “ritrovare presbiteri e diaconi nel ruolo di evangelizzatori tristi e scoraggiati”. Anche altri hanno accennato a sacerdoti “pochi, anziani, soli, stanchi e forse anche depressi”, attribuendo la mancanza di nuove vocazioni anche a questa diminuita visibilità della gioia del ministero sacerdotale.
La Evangelii gaudium è poco conosciuta anche se è stata proposta in più occasioni. Non se ne è capita, forse, la portata e l’importanza. O meglio: in alcune comunità è stata già condivisa e approfondita da tempo, mentre in altre è rimasta «lettera morta». E così può capitare, a quanti provano ad applicarla nella vita pastorale, che questa non conoscenza dell’Esortazione apostolica crei resistenze nell’accettare i vari cambiamenti ivi proposti per l’evangelizzazione.

SCHEDA 2 – GLI ADULTI E LA FEDE

1 Domanda
Si fa notare la differenza tra primo annuncio e formazione e come spesso si dia per scontato che il primo annuncio ricevuto dagli adulti in occasione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana possa essersi mantenuto indenne nello scorrere del tempo. Si aggiunge però che solo quando “il primo annuncio e la formazione cristiana diventano ragione e stile di vita e la Parola modello permanente da seguire […] possiamo parlare di Parola di Dio ascoltata, meditata, celebrata, vissuta e testimoniata”. Oggi, pur resistendo tra la gente una forma di religiosità tradizionale e devozionale – in crisi però tra le nuove generazioni -, appaiono meno evidenti le espressioni di una fede più matura e responsabile. Tuttavia emerge un accresciuto sforzo per alimentare la formazione cristiana, sia nelle parrocchie che nei movimenti.
Gli obiettivi risultano condivisi, il problema è come tradurli in prassi pastorale. Si osserva come la Chiesa senta oggi l’esigenza di raggiungere il cuore delle persone, uscendo dai propri confini per annunciare una Parola che arrivi anche ai tanti che vivono nelle “periferie esistenziali” della società: una parola, dunque, annunciata e vissuta, capace di promuova la solidarietà, la costruzione della giustizia e il lavoro quotidiano volto al bene comune. I laici più partecipi, insieme ai sacerdoti, avvertono l’esigenza di un nuovo accompagnamento alla fede. Spesso però, ci si ritrova a fare i conti con una formazione cristiana degli adulti ricevuta attraverso le omelie domenicali o poco più, o con un’accoglienza nelle nostre chiese talvolta estemporanea o non sempre cordiale per tutti.
Gli spazi riservati all’ascolto e alla meditazione, che pure ci sono – vengono ricordati i centri di ascolto, gli incontri di catechesi parrocchiali per gli adulti o quelli riservati ai genitori dei ragazzi che si avviano ai sacramenti; ma vengono anche citati altri percorsi diocesani di crescita nella fede –, non sempre appaiono adeguati e continuativi soprattutto in parrocchie talvolta carenti di laici impegnati e ben formati, capaci di essere insieme al parroco il lievito della comunità. Non mancano, comunque, esperienze innovative sul piano di una catechesi non legata strettamente ai sacramenti in senso tradizionale: ci sono attività di catechismo rivolte a genitori e figli insieme; vengono offerti contenuti catechetici che, seguendo l’anno liturgico e approfondendo le letture domenicali, cercano di rendere la Parola meditata e celebrata il più possibile; ci sono seminari di primo annuncio o percorsi differenziati di formazione a seconda dell’età o dello stato di vita; si cerca di educare ad una frequentazione assidua della Parola di Dio ecc. Tutto questo nelle parrocchie. Poi c’è l’impegno formativo dei movimenti. Ma sulla loro presenza ed efficacia le valutazioni divergono: c’è chi scrive che “spesso chi fa parte di un determinato cammino/movimento si sente ‘arrivato’ e si relaziona in modo giudicante e ‘con superiorità’ verso gli altri”, e c’è chi dice che “in alcune parrocchie, grazie alla presenza di associazione e movimenti, dove è possibile ascoltare e vivere l’annuncio di fede nella condivisione accogliente della vita comunitaria, la vita di fede viene annunciata e vissuta con più facilità”.
Appare evidente che il rapporto dialettico tra l’inclusività della parrocchia, legata ad un territorio e a quanti vi abitano e l’esclusività di un movimento, scelto in base ad orientamenti condivisi dai partecipanti, attende ancora ulteriori sforzi di discernimento e di sinodalità.

2 Domanda
Ci sono alcune proposte che offrono agli adulti un accompagnamento alla vita di fede – oltre a quanto già riportato, si segnalano i laboratori della Parola, la lectio divina, la proposta delle “dieci parole”, l’adorazione eucaristica con meditazione, alcuni percorsi strutturati rivolti sia alle famiglie sia ai catechisti – , ma non sono presenti in tutte le parrocchie, o a volte sono circoscritti ai momenti forti dell’anno liturgico. Movimenti, cammini specifici e aggregazioni laicali (es. Cammino neocatecumenale, Focolarini, Agesci, Azione Cattolica) offrono il proprio servizio per permettere di recuperare una fede più adulta e pensata. Anche gli Uffici Pastorali offrono strumenti in tal senso, quali la Scuola di Teologia, la formazione sul Magistero sociale della Chiesa, il percorso “Essere famiglia oggi”, la preghiera nello stile della comunità ecumenica di Taizé, ecc. Si aggiungano anche i catechismi che accompagnano le tappe fondamentali della vita di ciascuno, anche se l’accesso al sacramento a volte viene più fruito come punto di arrivo che come passaggio significativo e stimolante di un cammino. Pure la liturgia ha un ruolo fondamentale se ben curata nei segni e nella partecipazione. Si avverte sempre di più l’esigenza di una catechesi permanente, in piccoli gruppi, dove la Parola venga condivisa e radicata nel vivere quotidiano e dove giovani ed adulti vengano accompagnati nella loro crescita umana attraverso attività e linguaggi più vicini alla sensibilità propria di ogni età

3 Domanda
Alcuni adulti comprendono il linguaggio utilizzato nella comunicazione della fede, ma crescono coloro che lo ritengono distante da loro. Ciò può avvenire “sia all’interno delle celebrazioni per un uso troppo ricercato del linguaggio, sia per mancanza di conoscenza e di esperienza personale di Cristo”, sia per dei “preconcetti degli stessi adulti che non ritengono necessaria una formazione costante della fede”. C’è anche chi fa notare come la fede cristiana non possa essere annunciata se non è tradotta nel linguaggio degli uomini del nostro tempo; ma questo sforzo di tradurre la fede nel linguaggio e nei modi di pensare della cultura secolare moderna è oggi un compito arduo e difficile, perché tale cultura si è molto distaccata dal linguaggio tradizionale della fede cristiana, formatosi dall’incontro del Vangelo con la cultura pre-moderna. Si apre qui il discorso sulla nuova inculturazione della fede, verso la quale dovrebbe insistere la nuova formazione del clero e del laicato più impegnato. Intanto, per rendere almeno più efficace la proposta di formazione cristiana degli adulti, occorrerebbe rimuovere alcuni atteggiamenti: “evitare di far percepire una sorta di assenza di interesse alla persona e alla cura della sua anima quasi come se la si volesse accalappiare”; “individuare tempi più adeguati rispetto al ritmo frenetico di vita che caratterizza la realtà odierna”; “evitare un approccio cattedratico e moralistico”; “portare più attenzione alle persone che al loro ruolo (spesso ci interessano gli adulti solo in quanto genitori o sposi e meno in quanto persone)”; “prestare meno attenzione al numero dei presenti per dare più importanza alla credibilità della proposta, che deve essere più progettata e meno estemporanea”; “usare un linguaggio più attento e rispondente ai bisogni del contesto socio-culturale”.

4 Domanda
Sul ruolo fondamentale dei pastori sono già state avanzate osservazioni e valutazioni diverse. Talvolta si ha l’impressione che il loro dover correre magari con generosità su tutti i fronti – anche a causa del crollo delle vocazioni sacerdotali e dell’invecchiamento del presbiterio – e alcune difficoltà legate ad una vita per certo aspetti isolata dal contesto sociale, possano finire con il renderli un po’ lontani dal vissuto concreto delle persone e persino in affanno nel relazionarsi con le nuove problematiche dei giovani-adulti. Aiuterebbe i sacerdoti sia vivere in contesti comunitari con i laici quali fratelli di cammino, sia relazionarsi tra loro in Unità pastorali per svolgere insieme una pastorale comune e condivisa. In tal senso sono già avviate esperienze positive in Diocesi. Importante appare l’aggiornamento teologico e culturale oltre che pastorale dei preti e la capacità di creare nelle loro parrocchie un clima di accoglienza e di incontro. Ricorre nel laicato l’invito ai sacerdoti affinché ascoltino i bisogni delle persone e si radichino sempre meglio nel contesto sociale delle proprie comunità. Scrive la Zona pastorale di Spello: “La prospettiva gioiosa che può trovare il ministero ordinato è quella di sentirsi in cammino con i suoi fedeli, consapevole di essere creatura in continua evoluzione, chiamata ad evangelizzare ma anche a lasciarsi evangelizzare. Una delle difficoltà maggiori è quella di entrare in relazione con i più lontani. Spesso si perdono occasioni importanti che permetterebbero di entrare in questa relazione: pensiamo alla preparazione del Battesimo, alle famiglie colpite da lutti, a quelle che hanno difficoltà di relazione con i figli, ai malati”.

SCHEDA 3 – I GIOVANI E LA FEDE

1 Domanda
Gli ostacoli sono molteplici. In via preliminare:“Parlare con i giovani non è cosa facile, spesso i ragazzi non entrano in contatto con il mondo reale, ma si rapportano con il mondo virtuale in una situazione di isolamento piuttosto marcato. Parlare con loro della buona notizia non è cosa facile, spesso abbiamo una notevole concorrenza anche da parte dei mezzi di comunicazione. Far ragionare un adolescente su temi religiosi ci mette in una posizione difficile e facilmente contestabile. I ragazzi potrebbero accogliere la Parola solo se ci fosse un contesto familiare e sociale diverso, oggi sembra quasi un messaggio antagonistico rispetto a quanto viene esaltato nel mondo”. La risposta della Parrocchia San Nicolò trova riscontro nelle “confessioni” dei 25 ragazzi di età compresa dai 15 ai 18 anni delle parrocchie Maria SS. Immacolata–San Francesco, dove la questione degli ostacoli prende in considerazione il vissuto dei ragazzi nell’era digitale, le loro distrazioni e interessi, ma anche l’ambiente che fa sempre più a meno della dimensione religiosa della vita e la comunicazione delle verità di fede che risulta in dissonanza con la cultura e il costume dei giovani.
Ritorna il discorso della famiglia e degli adulti. Famiglie dove non viene acceso nessun interesse per la fede e dove manca un’adeguata formazione ai valori e alla spiritualità diventano esse stesse un ostacolo. “La famiglia – si legge – non è in grado di mettere al centro la Parola di Dio; inoltre capita spesso che la preparazione ai sacramenti è lasciata nelle mani di laici volenterosi ma non adeguatamente formati. Mancano, insomma, adulti credibili che testimonino quotidianamente la buona notizia mettendo in relazione credo e vissuto”.
Diverse risposte sottolineano come in molti casi i ragazzi non abbiano da parte della famiglia, sin da piccoli, una educazione alla fede cristiana e come gli animatori debbano dare le prime basi non solo di conoscenza religiosa, ma anche di convivenza per un cammino di formazione da fare insieme. Anche nel dopo-Cresima quanti restano in parrocchia hanno bisogno di accompagnamenti proposti con pazienza e tanta vicinanza. Nella fascia dei ventenni, soprattutto universitari, può capitare che sia la stessa formazione culturale a suscitare pregiudizi nei confronti dalla fede.
La pastorale giovanile nella sua azione feriale intercetta piccole minoranze. Si evidenzia, infatti, una crescente “mancanza di interesse, presso le nuove generazioni e a partire soprattutto dall’adolescenza, verso tutto ciò che ha a che fare con il sacro: incide, in questo caso, nelle scelte dei ragazzi anche l’influenza dei pari, con il suo fascino irresistibile e anche con una certa tiepidezza delle famiglie che, spesso, delegano i temi relativi alla fede dei propri figli ad altri. Tra gli ostacoli di tipo ecclesiale, invece, vengono segnalati la difficoltà di comunicazione (“occorre sapere usare un linguaggio moderno, capace di raggiungere i giovani e di cogliere le sfide che i social, il web e le nuove piattaforme informatiche propongono”), il vocabolario non sempre adatto, una comunità poco attrattiva, la discontinua attenzione all’orientamento vocazionale dei giovani e alla formazione degli educatori che accompagnino i ragazzi. Si ha comunque la consapevolezza, negli adulti, che oggi la comunità cristiana fatichi molto ad ascoltare e capire le esigenze del mondo giovanile e ad accompagnare le giovani generazioni con semplicità e, soprattutto, credibilità.
Alcuni giovani della Parrocchia del Sacro Cuore si confessano: “Noi giovani, non sempre siamo in grado di percepire quanto il vangelo venga a trovarci nel nostro vissuto; questa presenza la maggior parte delle volte la ignoriamo o per pigrizia o perché distratti. La buona notizia è comunque una verità che è scomoda per noi in certe situazioni, perché ci mette in discussione e non sempre siamo pronti. Inoltre, molto spesso, anche colui che testimonia la bella notizia non parla il nostro linguaggio, pertanto il messaggio passa come esterno da ciò che viviamo, ancor peggio come condanna, costrizione, sacrificio piuttosto che salvezza o liberazione. In mezzo a noi c’è anche chi viene toccato dal vangelo, ma non sempre riesce a portarlo avanti. Il tribunale infatti dei nostri coetanei e dell’ambiente ci mette subito in discussione e se alle spalle non abbiamo l’esperienza di un gruppo o di un cammino di fede, siamo troppo fragili e cediamo alla prima provocazione”.

2 Domanda
Domanda preliminare: qualche volta i giovani parlano di Dio tra di loro? Sembra di sì, almeno a leggere la maggioranza delle risposte di alcuni gruppi parrocchiali. Confronti, opinioni, scambio di idee in maniera informale non sono affatto rari nel mondo giovanile. Altra questione è se i giovani evangelizzano o meno altri giovani. C’è chi scrive che “è molto difficile per un giovane rispondere alla chiamata di evangelizzazione” e che “sono pochissimi coloro che riescono a passare dal semplice stare insieme ad una esperienza di fede profonda”, con la conseguenza che il servizio diventa un impegno ancor più difficile da prendere. Altri, tuttavia, fa notare come molti giovani siano animatori negli oratori estivi e come in alcuni territori l’evangelizzazione da parte dei giovani in parrocchia abbia una certa vitalità ed efficacia, magari non sempre valorizzata dagli adulti, che potrebbero invece coadiuvare di più mettendo a disposizione la propria esperienza. Qualcuno è del parere che l’evangelizzazione dei giovani da parte dei giovani avvenga soprattutto all’interno dei movimenti ecclesiali, dove si propone un cammino più autentico e strutturato, mentre le parrocchie sembrerebbero meno incisive verso il mondo giovanile. Naturalmente tutti riconoscono l’importanza che siano proprio i giovani a evangelizzare i loro coetanei: perché sono più credibili, usano un linguaggio più vicino e comprensibile quando si rivolgono ai loro amici e quindi li possono accompagnare meglio nel porsi quelle domande che aprono il cuore alla ricerca di Dio. Ma perché i giovani siano in grado di evangelizzare occorre una loro formazione più profonda e un sostegno di adulti testimoni credibili ed essi stessi formati al servizio per i giovani.

3 Domanda
Impegni e generosità non mancano, ma si avverte un senso di inadeguatezza verso i cambiamenti in atto del mondo dei giovani. La Pastorale giovanile mira a promuovere e coordinare la crescita e la formazione dei giovani, quanto però a riscontri nelle parrocchie e nei movimenti sembra riuscirvi in maniera parziale. Infatti, non trovano sempre seguito le iniziative proposte dal centro e non sempre si partecipa in maniera corale agli appuntamenti diocesani. Da qui la difficoltà a condividere un progetto educativo per i giovani, che non sia solo organizzazione di momenti ma promozione di dinamiche formative assopite e di figure di riferimento che aiutino i giovani a scoprire la propria vocazione.

4 Domanda
Non mancano apprezzamenti per chi segue tale vocazione, ma la si ritiene una realtà che riguarda altri piuttosto che se stessi. Le famiglie non incoraggiano. I giovani, già titubanti verso responsabilità e impegni definitivi, è difficile che prendano in considerazione la vocazione religiosa come una possibile scelta personale di vita. C’è attenzione alle vocazioni adulte, meritevoli peròdi attento discernimento e di robusta formazione che non le isoli dai contesti sociali ed ecclesiali di appartenenza. Circa la stima o meno nei confronti dei sacerdoti ritornano valutazioni differenti, in ordine soprattutto alla testimonianza e alla capacità di stare più vicini ai bisogni della gente e del territorio.

SCHEDA 4 – FEDE E VITA: gli affetti

1 Domanda
Le nostre comunità sono pensate più per la singola persona che per la famiglia, ne segue che risulta fragile l’annuncio evangelico diretto alle relazioni familiari e alla vita delle persone nella dimensione degli affetti. Il principio che la comunità è famiglia di famiglie non ha ancora trovato realizzazione concreta nella maggior parte delle nostre comunità in modo organico e stabile. E la famiglia chiesa domestica raramente è soggetto di evangelizzazione.
L’annuncio evangelico risulta carente, concentrandosi solo nella fase pre-matrimoniale e tralasciando altre stagioni di vita dei cristiani. Manca altresì l’accompagnamento durante gli anni di vita coniugale, specialmente nelle fasi critiche, come pure l’attenzione sulla condizione dei single. Se l’annuncio evangelico è dato principalmente dalla testimonianza di Cristo nella quotidianità, oggi sembra che tale annuncio resti più legato alla dottrina che all’esperienza di un incontro che abbracci l’altro in tutta la sua persona, creando quella comunione che dovrebbe distinguere le nostre comunità cristiane.

2 Domanda
Le fragilità più evidenti: famiglie monoparentali, convivenze in crisi, solitudine di anziani, vedovi, malati, disagio giovanile. Viviamo in una società consumistica che tende a sfruttare tutto finché serve per poi liberarsene quando non offre più utilità. Una fragilità è la tendenza a consumare anche le relazioni, a viverle in maniera provvisoria, con la flebile speranza di un amore profondo e duraturo. Le fragilità che sembrano essere più evidenti nella dimensione degli affetti sono: l’idea prevalente di sposarsi perché si sta bene insieme, l’individualismo favorito anche dai social che generano relazioni soprattutto virtuali, il mancato passaggio dall’innamoramento all’amore, l’assenza di consapevolezza che l’amore si costruisce con l’intelligenza e la volontà, le famiglie ferite dai tradimenti fisici e affettivi, il mancato sviluppo del senso di responsabilità, l’eccessivo “protezionismo” genitoriale che porta la coppia a focalizzare l’attenzione quasi esclusivamente sui figli in particolare sul loro successo evitandogli qualsiasi forma di “sofferenza”.

3 Domanda
Sono presenti in molte parrocchie iniziative dirette agli anziani e alle giovani famiglie, e non solo ai ragazzi. Più difficile è individuare esperienze di accompagnamento stabile per “evangelizzare gli affetti” nelle differenti stagioni e stati di vita delle persone nei percorsi di catechesi, a parte i diversi percorsi di preparazione al sacramento delle nozze. Non risultano esperienze significative di educazione all’affettività degli adolescenti, delle persone single, delle persone in situazione di vedovanza, o che vivono esperienze di famiglie ferite, o in età anziana. Vi sono però sperimentazione in atto (es. comunità Notre Dame, “Sposi con Gesù” nell’Unità pastorale Giovanni Paolo II, un seminario “Ecco lo sposo” proposto a livello diocesano) che, per essere ancora sporadiche, non permettono valutazioni. Sembra che manchi anche una adeguata formazione dei presbiteri in tali ambiti. Più in generale sono le stesse comunità a ritrovarsi impreparate su queste problematiche: lo si evince talvolta dalle risposte che oscillano tra analisi lamentevoli (circa alcuni processi “degenerativi” del presente: i giovani figli del benessere, le coppie fragili e sfuggenti, il relativismo, le convivenze ….) e verbi di desiderio (che faticano a tradursi in azioni pastorali). Appare comunque evidente che “il problema non è la presenza di famiglie in difficoltà, separate o divorziate, il problema sta nel trovare l’approccio giusto per avvicinarci a loro”

4 Domanda
Probabilmente il rinnovamento dell’Amoris laetitia non è percepito fino in fondo nelle nostre comunità a causa della poca conoscenza del documento. Si auspica da più parti una maggiore attività catechetica sul tema, con possibilità di confronto tra fedeli e pastori, soprattutto su quelle novità del documento che hanno suscitato maggiori interessi e interrogativi. A parte l’iniziativa promossa nel 2017 dall’Ufficio di Pastorale familiare, peraltro con scarso seguito, non risulta che nelle parrocchie sia stata condotta una riflessione più adeguata. La percezione è che anche il capitolo 8, dove si è concentrata la maggiore attenzione a livello mediatico, presenti una visione non molto condivisa talvolta dagli stessi sacerdoti.

SCHEDA 5 – FEDE E VITA: lavoro e tempo Libero

1 Domanda
Comune a credenti e non è la scarsa percezione del lavoro come possibilità di realizzazione della persona e come possibilità di contribuire al bene comune. Sul lavoro come vocazione sembra prevalere l’dea di lavoro come ricerca di prestigio e successo individuale. Per i giovani, poi, il lavoro appare come una prospettiva lontana e incerta. Il riposo non è concepito come possibilità di rientro in se stessi e di relazione con gli altri e con Dio, piuttosto è vissuto come momento consumistico e di evasione. Il riposo come giorno del Signore sembra venir meno anche nella mentalità e nel costume di non pochi cristiani

2 Domanda
Non mancano iniziative di sensibilizzazione e di approfondimento da parte di associazioni, o di discussione sui media cattolici locali. Si segnalano anche alcuni eventi: l’Ufficio diocesano per i problemi sociali promuove annualmente momenti di confronto su tematiche specifiche con il coinvolgimento degli operatori economici; il progetto “Cittadini del mondo”, anche nell’ambito dell’alternanza Scuola-lavoro, si è interessato allo sviluppo di idee imprenditoriali tra i giovani; la Caritas diocesana ha curato sia uno sportello di orientamento al lavoro, con lo scopo di contrastare le crescenti difficoltà occupazionali, sia borse lavoro per far fronte alle difficoltà economiche quotidiane di alcune famiglie. La comunità cristiana di fronte ai problemi del lavoro appare tuttavia ancora impreparata, o avverte un senso di impotenza in particolare di fronte alla mancanza di prospettive per i giovani. Difficile anche prendere posizione su talune criticità. Si è consapevoli che una formazione culturale più specifica verso le tematiche sociali e del lavoro, unita a dei momenti di confronto tra le aggregazioni, possa ampliare gli orizzonti, far crescere le sensibilità, seminare tra i laici buone pratiche. Confronto che non può certo esaurirsi a livello intra-ecclesiale.

3 Domanda
Diverse sono le opportunità offerte dalla comunità: ci sono momenti di preghiera, pellegrinaggi, momenti di formazione, più o meno capaci di coinvolgere le famiglie e i giovani. Si ritiene che le comunità cristiane non debbano diventare agenzie che organizzano eventi di svago alternativi alla logica consumistica, quanto piuttosto luoghi dove vivere una progettualità comunitaria, riscoprendo il valore e l’importanza delle relazioni e della condivisione, altrimenti rischiano di trasformarsi in centri sociali o ricreativi.

SCHEDA 6 – FEDE E VITA: le fragilità

1 Domanda
Siamo tutti fragili perché tante sono le fragilità nascoste. A volte paradossalmente siamo noi stessi cristiani a creare fragilità laddove emarginiamo o non accogliamo chi è più povero, chi è di orientamento sessuale diverso, di diversa nazionalità o estrazione sociale. O quando lasciamo sole le famiglie con disabili, con malattie mentali o problemi di dipendenza, gli anziani, i divorziati. Accanto a questi, ci sono anche gli extracomunitari, i ragazzi i Rom/Sinti: si percepisce un certo razzismo e spesso non ci sono risposte alle molteplici difficoltà. Le ferite più gravi sono la mancanza di lavoro, le ferite sociali, la mancanza di relazioni costanti. Le giovani generazioni di ragazzi marocchini stanno vivendo attualmente un’educazione piuttosto conflittuale con la propria famiglia. Molte etnie, es. albanesi, faticano a seguire le proprie tradizioni religiose. Esistono, poi, i più fragili tra i fragili: quanti non hanno trovato un senso alla loro vita, i più lontani da noi, quelli che non bussano alle porte delle nostre comunità. Di fronte a questa realtà, nella nostra comunità gli atteggiamenti sono diversi: c’è chi si fa prossimo delle persone che si trovano in sofferenza; c’è chi si mostra indifferente alle difficoltà altrui, o magari mostra falso interesse per alimentare chiacchiere di paese. C’è da evitare l’atteggiamento meramente assistenzialistico di chi, limitandosi a dare il pacco viveri, appalta alla carità ciò che compete alla giustizia.

2 Domanda
Chi bussa alla porta di qualcuno ha già fatto un bel tratto di strada, avendo riconosciuto le proprie difficoltà e mostrato la capacità di chiedere aiuto. Considerando che ciò non è affatto facile, la comunità dovrebbe facilitare questo tipo di incontro e di accoglienza. Essendo ormai cambiato l’atteggiamento delle persone, sempre più diffidenti e sospettose, e facendo tutti fatica ad aprire le proprie case, ci si chiede quanto riusciamo come cristiani ad essere attrattivi verso i poveri e i diversi. Ci si chiede anche, laddove la parrocchia voglia essere sempre aperta, viva ed accogliente, se riesca davvero ad essere percepita come tale.

3 Domanda
Sicuramente la Caritas diocesana svolge un ruolo insostituibile in questo servizio ma anche nelle parrocchie ci sono diversi progetti e servizi con intenti analoghi. Certo con si può delegare solo alla Caritas un’attenzione che dovrebbe essere il DNA dei cristiani, né si può dare l’impressione che le opere di misericordia corporale e spirituale siano delegate a certi luoghi e tempi e non interessino quotidianamente la vita delle persone. Accanto a questa urgenza formativa, l’altra esigenza riguarda la sinergia con le strutture pubbliche, in parte avviata e in parte da incrementare, al fine di lavorare in rete nel rapporto con le istituzioni nel vasto campo del superamento del disagio e dell’inclusione sociale.

SCHEDA 7 – FEDE E BENE COMUNE

1 Domanda
“Purtroppo sembra che i percorsi di evangelizzazione non generino sufficiente attenzione all’altro. Esiste una fede che si limita alle pratiche di pietà e non diventa operosa nella vita quotidiana”: così per l’ Area dello sviluppo integrale della persona. Quali le possibili cause? Non è facile coinvolgere gli adulti. Le proposte formative nelle parrocchie sono insufficienti e quasi sempre rivolte all’adulto in quanto genitore o sposo, magari con l’idea che la fede riguardi solo alcuni aspetti, molto intimi e personali, come i rapporti familiari; dunque, proposte poco adeguate ad incarnarsi anche nelle altre problematiche “dure” che gli adulti devono affrontare (lavoro, vita sociale, politica, confronto culturale, testimonianza pubblica …). C’è il rischio di un ripiegamento su se stessi o di un individualismo nel rapporto tra fede e vita che, insieme alla difficoltà di un confronto ecclesiale di discernimento sulla dimensione pubblica della fede, sembra rendere oggi il laicato cattolico meno preparato ad affrontare problemi complessi (come le politiche familiari, l’accoglienza, le politiche sociali, la stessa laicità della politica).

2 Domanda
Attenzione alle famiglie, agli anziani, ai ragazzi, all’Oratorio ecc. è quanto le parrocchie segnalano. Qualcuna è anche luogo di incontro e di riferimento per le problematiche del territorio. La Caritas è molto apprezzata (anche dalla comunità civile), pur rimanendo il rischio della delega (perché “tanto c’è la Caritas diocesana che ci pensa”). Nelle parrocchie ci sono i centri d’ascolto Caritas che possono essere implementati col servizio civile. Con l’Emporio Caritas è cambiato il ruolo dei centri d’ ascolto delle parrocchie in quanto queste non svolgono più un’azione diretta di elargizioni alle famiglie in difficoltà, ma continuano ad avere un ruolo fondamentale di intercettazione delle fragilità e di accoglienza sul territorio. Aggregazioni e movimenti ecclesiali vengono sollecitati a coinvolgere quegli adulti che le parrocchie talvolta faticano ad indirizzare verso le attività formative e di servizio promosse dalla Caritas diocesana.

3 Domanda
I cammini di fede e di formazione non sono ininfluenti sulla maturazione della coscienza civile e politica. I difetti di questa chiamano in causa catechesi, predicazione, processi educativi portati a maturazione o meno. Una fede dalla ridotta sensibilità sociale fatica ad incarnarsi. Fatica ancor più a suscitare vocazioni alla politica attiva, dove oggi il laicato cattolico si mostra impreparato. Le cause? Sfiducia e ipercritica verso la politica, che hanno messo talvolta il credente alla finestra a guardare e brontolare; difficoltà a confrontarsi con le sfide della laicità, del pluralismo, dello spirito critico-democratico; richiami piuttosto selettivi alla dottrina sociale cattolica senza lo sforzo delle mediazioni necessarie sul piano della traduzione politica. Alcuni segnali preoccupano, come quando la Caritas scrive che “nelle nostre comunità c’è nei confronti dei migranti diffidenza e razzismo e non si riesce a parlare di questi temi senza temere un clima di ostilità e di contrapposizione. Si crea spesso, anche tra credenti, un conflitto esasperato tra posizioni diverse, come se il tema della sicurezza e dell’accoglienza, dell’apertura alla vita e della laicità fossero inconciliabili”. Di segno contrario l’impegno di alcune aggregazioni: attraverso la campagna “Chiudiamo la forbice”, si stanno realizzando dei momenti di riflessione socio-economico-politica aperti a tutta la città, con l’auspicio che la rete di aggregazioni si allarghi sempre di più. In città diversi cattolici si sono impegnati nei laboratori di partecipazione civica nati in vista delle elezioni amministrative di maggio. Nella pluralità delle posizioni non sono mancati momenti di frizione o di scontro, anche inediti rispetto al passato, ma il buon senso ha fatto dire un po’ a tutti quanto sia atteso e importante un confronto più maturo e sereno tra i credenti sui temi etici e la loro declinazione nelle scelte politiche concrete.