Cascia festa di Santa Rita – Solenne pontificale presieduta dal Card. Pietro Parolin Segretario di Stato di Sua Santità.

All’inizio della Messa l’Arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo così si è rivolto al Porporato: “Un saluto cordiale di benvenuto Eminenza, la sua presenza tra noi ci porta in un qualche modo alla presenza stessa di Papa Francesco al quale le chiediamo di trasmettere il nostro ricordo devote e l’assicurazione della nostra preghiera. A lei Eminenza assicuriamo il sostegno della nostra preghiera in questo particolare momento in cui il suo ministero affronta difficoltà e prove nella ricerca di un dialogo continuo, di soluzioni di pace e di giustizia per il popolo dell’Ucraina”.

L’OMELIA DEL CARDINALE PAROLIN
Carissimi fratelli e sorelle,
ringrazio il Signore di poter celebrare l’Eucarestia, in occasione della festa liturgica di santa Rita, su questo sagrato della Basilica a Lei dedicata a Cascia, dove dal 18 maggio 1947, anno della sua consacrazione, riposano le sue spoglie mortali e sono custoditi alcuni preziosi ricordi, come il suo anello nuziale e il Crocifisso dal quale partì la spina che colpì e si conficcò nella sua fronte.
Qui, ogni spazio, anche il più piccolo, narra la sua straordinaria esperienza di Dio, i luoghi in cui pregava, come il coro, e la cella dove visse e morì. Anche il vicino e antico borgo medievale di Roccaporena conserva le memorie a lei più care: la casa in cui nacque, la chiesa dove si sposò, il lazzaretto nel quale accudiva i malati e la chiesetta dove pregò Dio perché i suoi figli non si vendicassero degli uccisori del padre. E poi il suo “scoglio”, ovvero il colle su cui si ritirava a pregare da sola, inerpicandosi tra cespugli e rocce fino ad arrivare in cima, lontano dalla confusione del mondo e dal travaglio del vivere quotidiano.
Saluto con grande affetto tutti voi qui presenti e quanti ci seguite attraverso TV2000, in particolare l’arcivescovo di Spoleto-Norcia, Mons. Renato Boccardo, il priore generale degli Agostiniani, padre Alejandro Moral Anton, il provinciale d’Italia, padre Giustino Casciano, i padri agostiniani e i cari sacerdoti della diocesi di Spoleto-Norcia. Sono molto grato per il gentile invito.
Saluto anche con viva cordialità le Autorità civili e militari e le monache agostiniane, nel cui monastero Santa Rita ha vissuto ed è stata di esempio per quaranta anni.
Siamo davvero in tanti oggi a rendere omaggio a santa Rita per deporre nelle “sue mani” il proposito di imitarne le virtù, in particolar modo quelle del perdono, della pace, della carità e della sofferenza.
All’intercessione di questa umile donna di Roccaporena affido le tante intenzioni del Santo Padre Francesco, che non cessa di far sentire quotidianamente la sua voce affinché si spezzi quanto prima l’inutile spirale di morte in Ucraina. In questa terra di fede e di pace, qual è l’Umbria, auspico che siano ripresi presto i negoziati e si possa giungere finalmente alla tanto desiderata pace. La violenza – ci ricorda la vicenda di questa donna di fede – non risolve mai i conflitti, ma soltanto ne accresce le drammatiche conseguenze.
Le vicissitudini di questa monaca agostiniana, come è noto, sono state tramandate nel tempo per quella tradizione orale e popolare che la chiama la “santa degli impossibili e avvocata dei casi disperati”. Una santa cara al cuore di tanta gente semplice, che non cessa di invocarla per la conversione dei cuori e per ravvivare la speranza.
Della sua vita sappiamo che, quando fu data in sposa a sedici anni a Paolo di Ferdinando di Mancino, ebbe modo di conoscere da vicino gli effetti devastanti degli odi familiari e di addolcire, con le preghiere e con l’esempio, il carattere indocile e violento del marito. Non sappiamo perché Paolo poi fu assassinato, né le ragioni per cui, poco tempo dopo, i suoi due figli morirono in giovane età. Sappiamo però che Rita indicò loro la via della riconciliazione e del perdono.
Negli atti del processo di beatificazione, svoltosi nel 1628 sotto Urbano VIII a quasi due secoli dai fatti, è riportata la deposizione di Antonio Cittadoni, console di Cascia, di 74 anni, che ricordava i racconti uditi da bambino dal nonno Cesare: «Io, dopo che conosco bene e male, ho inteso dal detto Cesare mio avo, come da tutti gli antichi di questa terra, che la beata Rita era vissuta santamente… in particolare che aveva pregato sempre Dio per quello che gli aveva ammazzato il marito e che essa nascose la camicia insanguinata del marito… acciò i figli vedendola non si movessero alla vendetta» (Documentazione antica ritiana II, p. 37).
Davvero Rita è la donna forte e la vergine saggia che in tutti gli stati della vita indica quale sia la via autentica alla santità come sequela fedele di Cristo fino alla morte. Segregata dal mondo ed intimamente associata al Cristo sofferente, ella ha fatto rifluire nella comunità dei fratelli il frutto della sua profonda unione al Cristo morto e risorto.
Carissimi, l’esempio di questa donna innamorata di Dio ci ricorda che è ora di riproporre a tutti con convinzione questa “misura alta” della vita cristiana ordinaria.
Nell’esortazione apostolica Gaudete et Exultate (19 marzo 2018), Papa Francesco ha scritto: «Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno lì dove si trova. Sei una consacrata o un consacrato? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione. Sei sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo marito, di tua moglie […]. Hai autorità? Sii santo lottando a favore del bene comune e rinunciando ai tuoi interessi personali» (n. 14). In altri termini, la via della santità non è fatta di gesti eroici, ma di gesti ordinari compiuti, però, in modo straordinario, come quelli di santa Rita.
La vita della santa di Cascia e dei santi in genere è la massima glorificazione della natura umana, perché in essa più che mai la natura si è rivelata «narrazione della gloria di Dio» (cf. Sal 8). In nessun altro caso come nella vita dei santi si comprende bene che vivere è lodare. La santità è lo stato di colui che giunge a mettere nella vita il più di divino possibile, portando al massimo le sue capacità naturali, intellettuali e morali.
In una massima di Pascal leggiamo: «Per fare di un uomo un santo bisogna assolutamente che agisca la grazia di Dio; chi ne dubita non sa né cosa sia un santo né cosa sia un uomo». La santità, dunque, rimane una realtà soprannaturale che non si risolve nello sforzo puramente umano, né in una perfezione di tipo naturalistico. Essa ha origine in Dio, dallo Spirito di Cristo, che diffonde la carità nel cuore dei credenti (Rm 5,5). È una realtà, quindi, irriducibile ad una mera perfezione naturale dell’uomo.
Ce ne dà conferma il messaggio evangelico mediante il discorso figurato “della vite e dei tralci” (Gv 15,1-14). Gesù usa l’immagine della vite per dire quanta premura Dio ha per noi.
Ci sono tre personaggi in questa immagine: il vignaiuolo, che è il Padre, la vite, che è Gesù, e i tralci, che sono i discepoli. Il Padre, come ogni vignaiuolo, si prende cura della sua vite: la coltiva, la pota e organizza la vendemmia. Noi siamo accuditi dal Padre! Gesù si presenta come la vite, come uno che ha messo radici tra di noi. Anzi, egli non è semplicemente accanto a noi, ma noi siamo in lui. Se lui è la vite, noi siamo i tralci, i rami da cui escono i grappoli. La vite e i tralci si nutrono della stessa linfa, sono una sola pianta. Per questo, ben sette volte nel vangelo che abbiamo ascoltato Gesù usa il verbo “rimanere”, invitandoci a rimanere in lui. Solo chi ama desidera che l’altro resti, non se ne vada, continui ad essere presente.
L’immagine della vite e dei tralci permette a Gesù di accennare anche alla potatura. Tutti noi siamo tralci, ma abbiamo bisogno di essere potati per produrre frutto. Questo non vuol dire che Dio ci mandi delle sofferenze, piuttosto che ci spinge a tagliare via i nostri egoismi. Con la potatura annuale delle viti, vengono eliminati quei tralci che hanno già dato frutto e non produrrebbero più nulla, limitandosi solo a succhiare linfa in modo parassitario. Siccome il legno della vite serve solo a far passare la linfa, Gesù aggiunge che il ramo tagliato non serve a nulla, ma viene gettato nel fuoco. La potatura dunque è l’eliminazione dell’egoismo, a volte dolorosa, ma necessaria all’uomo. Il “frutto” di cui parla il vangelo sono, invece, le opere dell’amore.
Carissimi fratelli e sorelle, non scoraggiamoci se a volte ci sentiamo tralci secchi, delusi dai nostri fallimenti, tentati di ripiegarci su noi stessi. Non dobbiamo abbatterci, perché, come dice la Prima Lettera di Giovanni, anche se il nostro cuore ci rimprovera qualcosa, «Dio è più grande del nostro cuore» (1Gv 3,20). Il Signore, infatti, riesce a far circolare linfa anche nei nostri tralci secchi, ci aiuta a produrre frutto nonostante le nostre debolezze.
Riusciremo così a vivere quel programma che San Paolo propone a tutti i cristiani nel brano della Lettera ai Romani (seconda lettura): “La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda”.
Santa Rita è un ritratto vivente di questa pagina della Scrittura. Essa, soprattutto, non si lasciò vincere dal male, ma vinse con il bene il male.
Ci conduca per mano, perché ognuno di noi ritrovi la forza di continuare a sperare e a vincere ogni genere di male operando il bene.
Amen.